La speranza oltre frontiera*
Pace, nonviolenza, "Onu dei poveri":
la fede di chi sta con gli ultimi.
Un ricordo di don Bello

Quando si seppe che don Tonino Bello era andato davvero a Sarajevo, in quella specie di folle, meravigliosa crociata della non-violenza che lui definì "l’Onu dei poveri", ci si allargò il cuore, pensando che dunque stava un po’ meglio: ma l’immagine del suo viso ci tolse presto ogni illusione: il bel volto rotondo, giovanile, era ormai un volto da olocausto in cui gli occhi sembravano immensi. Come il vescovo di Molfetta (mai chiamato monsignore, tanto meno eccellenza) abbia resistito a quello sforzo nessuno riesce a comprenderlo. Esattamente come Turoldo aveva detto di se stesso, anche lui si portava dentro da tempo "un drago insediato nel ventre come un re sul trono".
Tuttavia quegli occhi erano pieni di gioia. Proprio l’altro giorno ce ne dava testimonianza un comune amico andato a trovarlo: "Dolore ma anche gioia". Erano gli occhi di una persona che si fidava di Dio e della storia e che, come papa Giovanni, vedeva volti di fratelli oltre ogni frontiera. Perciò anche il suo male, la sua sofferenza erano per lui fatica costruttiva, da muratore: quante volte l’immagine di una casa comune, di speranza, compare nei suoi scritti: lui ne era convinto: si costruisce anche soffrendo senza gridare. Dei tre profeti italiani della pace che per nostra desolazione sono morti nel giro di 14 mesi, lui era il più mite e il più umile: non aveva la voce tonante né il torrente di poesia che sgorgavano da padre Davide, non aveva la cultura maestosa e acuminata di Calducci; dei tre, era il più prete, nel senso che a differenza degli altri due non aveva frequentato conventi ne prestigiosi circoli culturali: per il tempo maggiore della sua vita era stato parroco di povera gente. E, lui vescovo, guardava a Turoldo e Balducci come a fratelli maggiori.
Ma dei tre era anche quello che prestava orecchio più fedelmente agli amici; e sapeva parlare – ascoltato da molti, e da molti amato – con il candore e il vigore di un adolescente, anche a cinquant’anni compiuti; e trovare immagini casalinghe, rurali e feriali, a tutti comprensibili, per tradurre il vangelo in parole d’oggi. Si rivolgeva ai generali, contestandone i disegni e la retorica, come a persone bisognose d’amore; levava la voce a difesa di un fratello, l’immigrato nordafricano, l’operaio cassintegrato, il vecchio in fila per i bollini; in difesa di una sorella, la donna del Sud ancora minacciata dal maschilismo.
Già, il Sud. Adesso che ci penso, quella triade di sacerdoti che predicavano la pace come Dio la comanda (e non come la comandano i potenti) incarnavano – tutt’e tre nati in poverissimi paesi – le tre parti di un’Italia che va scomparendo con tutte le sue antiche miserie e le sue nobiltà: Davide, il Nord degli alpini e degli immigrati; Ernesto, il centro dei pastori e dei minatori; Tonino, il Sud di quelli che contano poco, che sono poco ascoltati. Lui stesso, per farsi ascoltare dalla gente che non va in chiesa non aveva che piccoli giornali; e il manifesto. Strano vescovo davvero.
Lo avevamo conosciuto, mia moglie ed io, tanti anni fa quando era parocco nell’estremo Sud delle Puglie. La zona era dominata da un senatore andriottano che scendeva da Roma le estati per villeggiare in un suo bunker e le primavere per mietere i raccolti elettorali più suntuosi dell’intera nazione. Era il senatore che decideva quale forestiero dovesse trovare in luogo cordialità e amicizia, così come chi dovesse trovare un posto di lavoro e chi no; e la seconda estate che ci recammo nel paese in cui don Tonino era parroco scoprimmo che alcuni amici dell’anno prima ci salutavano soltanto da lontano. Don Tonino, così come qualche altro prete che gli stava accanto, continuarono a parlarci e a farci parlare.
Parlammo molto in quelle sere di aria marina e di vino gagliardo ma anche nelle riunioni di riflessione che don Bello organizzava per i suoi fedeli. Poi arrivò la notizia che lui era stato nominato vescovo. Dico la verità: è una notizia che spesso ci addolora, quanti bravi preti abbiamo visto mummificarsi sotto la mitra. Ci chiedemmo: e adesso? La risposta, tranquillizzante, arrivò a novembre: don Tonino era stato denunziato per avere partecipato a un blocco stradale organizzato da un gruppo di operai della sua diocesi, minacciati di licenziamento.

* articolo recuperato grazie alla preziosa collaborazione di Giuseppe Nappi e Laura Cirillo


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