Memoria di don Tonino, il Vescovo col Grembiule
di Eugenio Melandri
Venerdì 21 aprile 1995

Questa sera non vi presenterò un profilo completo di Don Tonino, anche perché ritengo che ci vorranno degli anni per capirlo fino in fondo e perché in questi due anni che ci separano dalla sua morte, leggendo e rileggendo i suoi scritti ci stiamo accorgendo che al di là della forma umana carica di amicizia e solidarietà con cui sapeva porgere il suo messaggio c'era in lui una sapienza che era frutto di studio, di ricerca, e di Spirito Santo. Cercherò solamente di ricordare alcuni flash della sua vita ripercorrendo alcuni incontri ed occasioni che più volte nella mia vita avrei voluto rivivere.

Ho abbracciato Don Tonino l'ultima volta sul molo di Ancona di ritorno da Sarajevo, ormai scavato nel volto per la sofferenza ma con la sua carica intatta di gioia, entusiasmo, amicizia, capacità di andare avanti, capacità di credere in un'utopia, di credere nel futuro: proprio Lui che sapeva che quel futuro gli si stava sempre più accorciando.

E vorrei partire proprio da qui, da questo viaggio-pellegrinaggio che tanto ha colpito Don Tonino fino al punto che uno degli ultimi messaggi che ci ha lasciato prima di morire è stato quello per la ex-Jugoslavia martoriata.

Di quel viaggio ricordo soprattutto la capacità che aveva di sdrammatizzare i momenti di tensione e la capacità che aveva di leggere le cose, i piccoli avvenimenti; leggeva le piccole cose che ci capitavano come un dono stupendo che ci veniva offerto. Aveva definito il nostro arrivo a Sarajevo miracoloso perché "l'ONU dei ricchi" non poteva entrare a Sarajevo dopo le 4 di sera mentre "l'ONU dei poveri", noi, ci eravamo riusciti!

Ricordo la stessa mattina quando siamo andati insieme con lui nella Cattedrale a pregare. C'eravamo divisi in tre gruppi: lui nella Cattedrale Cattolica, Monsignor Bettazzi guidava il gruppo che pregava nella Chiesa Ortodossa mentre un altro gruppo era andato a visitare la Moschea Mussulmana. Dopo aver pregato nella cattedrale siamo usciti per strada e pioveva: in quel nel momento una signora è uscita da casa sua e ci è venuta a portare il caffè. La notte avevamo dormito tutti insieme nella grande palestra: Tonino aveva il cancro e spesso di notte si svegliava, però aveva voluto dormire con noi.

Al mattino avevamo bevuto un te che mi disse (e quante volte l'ha ripetuto!), essere il te più buono di tutta la sua vita perché era stato fatto per noi, in una città senza acqua, senza luce, durante la notte, dagli abitanti di Sarajevo.

Ricordo ancora le cose che ci disse in quell'enorme teatro buio in cui solamente le luci di tante candele riuscivano a farci vedere l'uno con l'altro, quando, parlando, toccò il cuore di tutti come sapeva fare lui.

Avevo incontrato per caso Don Tonino. Io ero da poco direttore di "Missione Oggi" e arrivavano alla redazione della rivista molti settimanali diocesani: ne arrivava anche uno che si chiamava "Luce e vita" e che sistematicamente io non leggevo. Mi capitò per caso, ricordo, di buttare una volta gli occhi su questo settimanale e lessi il titolo: "Nuovo vescovo a Molfetta". Allora per pura curiosità presi il giornale per vedere chi era questo vescovo e rimasi fortemente impressionato dalla lettera che aveva mandato ai suoi nuovi fedeli con i quali avrebbe dovuto condividere il resto della sua vita. In particolare mi impressionò il suo linguaggio : parlava di barche che dovevano lasciare la riva, parlava di tende che si dovevano costruire insieme, parlava un linguaggio che non pareva il linguaggio solito dei vescovi o il linguaggio solito che ascoltiamo nelle prediche. Mi colpì molto una piccola frase che Don Tonino aveva detto quando aveva ricevuto alcuni preti della diocesi della sua parrocchia e aveva detto: "Verrò presto a Molfetta perché voglio vedere questa moglie che mi ha dato il Vaticano senza prima farmela conoscere".

E così è cominciata per me una sorte di consuetudine: da allora infatti non ho più smesso di leggere " Luce e vita"perchè mi incuriosiva vedere quello che questo vescovo avrebbe fatto. A Natale lessi una lettera che aveva mandato a Gesù Bambino. Sapete che Tonino aveva il vizio di mandare lettere a tutti: scriveva alla Madonna, a S. Giuseppe, ad Abramo, a Isacco o Rachele, a tutti e quella lettera mi colpì perche’ scriveva a Gesù Bambino raccontandogli tutti i problemi della diocesi. Presi allora mano il telefono e lo chiamai anche se non lo avevo mai sentito prima e gli chiesi il permesso di pubblicare su "Missione oggi" questa lettera. Per prima cosa mi disse di essere un mio lettore e questo mi fece molto piacere, accettò naturalmente la mia richiesta e da allora iniziò un rapporto di stretta amicizia.

Un giorno mi vidi arrivare per posta un pacchetto con un libro: era il primo pastorale di Don Tonino per la diocesi di Molfetta intitolato "Alla sequela di Cristo al passo degli ultimi". Con una dedica che sapeva anche di rimprovero da un certo punto di vista: "A Eugenio, che vuole camminare con gli ultimi, ma va sempre col passo dei primi". E partì così anche perché Lui era diventato presidente di "Pax Christi" questo impegno comune per la pace, per la lotta contro gli armamenti e per ottenere, al riguardo, una legislazione chiara che togliesse il traffico clandestino di armi, e limitasse il commercio dall'Italia.

Tutta quella campagna che andò sotto il nome di "campagna contro i mercanti di Monaco" mise in luce la capacità profetica di Don Tonino e dall'altra parte la sua capacità di mediazione. Molte volte ci chiedevamo: "Ma perché stiamo qui a discutere su una legge che regolamenti il commercio delle armi quando dovremmo dire che le armi vanno distrutte? Ma perché dobbiamo cercare di mettere un articolo dietro l'altro per regolamentare qualcosa che è una vergogna per tutti noi. Però nello stesso tempo quante volte ci siamo detti che era opportuno fare anche questa battaglia perché ce n'era bisogno, se non altro di far fare dei passi avanti anche alla politica. E ricordo quella che chiamavamo la "via crucis dei vari gruppi parlamentari" a presentare le nostre proposte. Ricordo la loro difficoltà a capire. Ricordo che da parte di molti politici anche cattolici si rispondeva che questa era utopia e che non si poteva portare utopia nella politica. Ricordo che un deputato gli disse "se lei fosse stato vescovo ai tempi del nazismo avrebbe favorito il nazismo col suo pacifismo". Ma ricordo anche la sua capacità di rispondere con brio e profezia alle provocazioni che venivano. Un giorno in commissione di difesa della Camera mentre discutevamo di questo a un certo punto Don Tonino mise tutti a tacere dicendo: "Ma che cosa state a dire? Noi siamo qui a proporre di bloccare solamente i matti più matti di questo manicomio quando di dovrebbero bloccare tutti i matti, e voi ci dite di no anche a questo!". Scoprimmo un po' alla volta così questo vescovo che sapeva parlare di pace, di armi, di politica, di pace in modo concreto; sapeva prendere delle posizioni concrete sempre a partire dalla parola di Dio, dalla sua fede, dal messaggio che lui come vescovo doveva portare.. Mi ricordo una volta che mi raccontò una predica che aveva fatto il giorno in cui c'era il Vangelo della moltiplicazione dei pani. Mi disse che l'aveva colpito il fatto che Gesù fece sedere tutti su un prato verde. E lui aveva fatto l'omelia di quella domenica partendo da questo verde; dicendo che il prato, i campi, dovevano essere il luogo della convivialità. Dovevano essere il luogo dove ci si siede insieme per mangiare lo stesso pane, oppure doveva essere il luogo da cui partire per fabbricare, per fare il pane comune. In Puglia in quel periodo infuriava la polemica sugli F16 e sui campi militari. Esponendosi in prima persona durante l’omelia disse queste parole: "Non rispondiamo al Vangelo se facciamo calpestare i nostri prati dai cingoli dei carri armati o dalle ruote degli F16". E come potete immaginare tutto questo gli costò insofferenza, incomprensione, spesso anche l’ invidia di molti.

Quando prese con forza posizione contro la Guerra del Golfo e, dopo essere intervenuto ad una puntata della trasmissione Samarcanda, se ne tornò a casa a Molfetta, trovò dei manifesti contro di lui appesi in città.

Quando parlando dei poveri, della scelta degli ultimi si sentì a volte rispondere "Ha parlato il tribuno della plebe" oppure quando a un certo punto si trovò isolato dai capi dell'esercito, dai militari, ecc..., perché veniva ritenuto come un loro nemico.

Ricordo quando lo chiamarono a benedire, non so che cosa d'armato, e, alla fine disse: "Evviva l'esercito purché armato di strumenti musicali". Tutti questi episodi bloccarono un po' il rapporto di queste forze nei suoi confronti ma incontrò grosse difficoltà anche all’interno della Chiesa.

Io credo che Don Tonino sia stato amato da tutti in Italia, anche da coloro che non condividevano le sue idee perché non si poteva non amare quest'uomo. Bastava guardarlo in faccia, ascoltare le cose che lui diceva, condividere una piccola esperienza con lui, andarlo a trovare alla sua casa sempre con la porta aperta o anche solo sperimentare quella caratteristica che è rimasta tipica poi nella sua famiglia: un ospite non se ne deve mai andare via senza un regalo. Tutte le volte che andavo a trovarlo me ne tornavo a casa con un piccolo grande regalo o con qualcosa che significa la gioia che lui aveva avuto nell'incontrarti. continuano a fare così.

Eppure ha incontrato tante difficoltà. E' stato non capito anche all'interno della chiesa. Alcune volte aveva ricevuto richiami formali e informali per le sue prese di posizione. Oppure quando per alcune sue prese di posizione, effettivamente fuori dalla norma, almeno dalla norma tradizionale, gli fu mandato un visitatore apostolico. Ad esempio era un po' fuori dalla norma il fatto che di fronte alla diatriba se degli appartamenti appartenessero a una parrocchia o a un'altra parrocchia, la risposta che lui diede fu questa: "Prima cosa diamo ne una parte ai più poveri della città e poi per il resto decideremo". Voi capite che alienare i beni della chiesa in questo modo era qualcosa che andava fuori dalla tradizione.

E quante volte ho sperimentato parlando con lui la solitudine, nonostante avesse tanti amici intorno.

Cosa c'era dietro Don Tonino? Vedete, io sono stato amico di un sacerdote che aveva un motto, che mi pare estremamente importante diceva: "Don Abbondio gli puoi mettere tutto lo Spirito Santo chi vuoi, ma rimane sempre don Abbondio." Per me questo vuol dire che dietro a un'umanità così ricca ci sta senz'altro alla fine Dio, ma ci stanno un papà, una mamma, una famiglia, un ambiente da cui è venuto fuori. E Don Tonino sapeva questo, il ricordo della mamma, dei genitori, del suo ambiente, del rapporto col suo mare, con la sua terra, col suo meridione, col suo sud l'avevano plasmato così. Aveva un temperamento estremamente ricco, forte, intelligente. Ma dietro ci stava, e io me ne sono accorto in due occasioni soprattutto, una fede semplice, ma enorme nei confronti di Dio. Ci stava il fatto che lui si fidava. Se voi andate a vedere i suoi interventi, il suo impegno di annunciatore, evangelizzatore di pace, se voi andate a vedere tutti i suoi interventi, anche su "il Manifesto", a "Samarcanda", nella Commissione di difesa delle Camere, non è che citasse la frasetta del Vangelo, come tante volte può apparire per dimostrare che si parte dalla fede, ma si vedeva che partiva dalla fede perché diceva le cose più assurde credendoci.

Ad esempio quando lui a Samarcanda ha detto che un pilota del bombardiere non deve ammazzare la gente, ma avrebbe dovuto non ubbidire agli ordini e non buttare le bombe, diceva questo perché sapeva che "Dio può toccarlo" perché credeva che la pace, la non-violenza, l'assoluta mancanza di violenza è capace di cambiare i lupi in agnelli. Dietro a questo c'era la fede profonda di un credente che sa che la pace c'è, e deve solamente scoprirla, non deve conquistarla. Certo c'è bisogno di lottare per la pace, ma chi crede in Dio sa che Dio già ha immesso la pace in questo mondo. E proprio per questo la pace è possibile, c'è già anche se non è ancora totalmente realizzata. Allora a partire da questa enorme fede diventava capace di osare tutto per la pace. Don Tonino se lo si vedesse da un punto di vista esclusivamente politico, si potrebbe dire è stato un uomo di pace spregiudicato . Se lo si guarda da un punto di vista suo, di uomo di fede, di vescovo, di annunciatore del Vangelo, ci accorgiamo che Don Tonino è stato uno che ha creduto fino in fondo che il Dio della pace non viene meno alle sue promesse. Quindi poteva proporre tutte le cose anche quelle che potevano apparire le meno concrete, le più utopiche perché sapeva che la Parola di Dio non viene meno e che Dio non manca quando fa le sue promesse. Ecco allora che la promessa del Regno si deve realizzare! Ma anche un altra cosa mi pare di vedere forte dietro questa sua esperienza: il fatto di essersi accorto che il volto di Dio e l'annuncio della Buona Notizia passano attraverso l'incontro e l'annuncio con la faccia dei poveri. Perché il fatto che avesse in casa degli sfrattati, che fosse l'unico a riuscire a calmare un ubriaco, il fatto che avesse passato una notte intera insieme ai marocchini sfrattati sotto la tettoia di un distributore dicendo: "Non torno a casa se non date una casa a loro" faceva diventare le cose più complesse le più semplici, normali le cose apparivano le più enormi.

Alla domanda: "E' più normale per un cristiano accogliere o cacciare? E' più normale per un cristiano stare vicino ai poveri o allontanarli?" Don Tonino diventava colui che ti faceva vedere la logica del Vangelo. La vedevi in faccia perché la vedevi vissuta, ma nella sua più assoluta normalità e nella capacità di viverla giorno per giorno, ora per ora, nella quotidianità. Non c'è niente di più eroico che essere santi quotidianamente. L'ultima riflessione deriva proprio dalla sua morte. Penso che per un credente la sua morte sia invidiabile perché è stata la morte di uno che ha sigillato con la capacità di morire la capacità che ha avuto di vivere. E proprio per questo io credo che la sua vita non è stato un bluff, perché l'ha autenticata, l'ha resa vera con una capacità di morire che ci ha insegnato tutto. Mi ha commosso moltissimo sapere che stava ad ascoltare alla finestra i giovani che gli cantavano "Freedom". Così come gli ultimi messaggi che ha mandato sono stati messaggi che hanno dato un colore nuovo a quello che sto dicendo, e a quello che ho detto il giorno del suo funerale. Stavamo celebrando la messa e ognuno ha detto quello che gli veniva in mente in quel momento, e io dissi : "Non c'è bisogno che Don Tonino venga proclamato Santo; se avverrà sarà la cosa più bella; ma l'ha già fatto santo la gente, l'ha già fatto santo la fila di gente dei più poveri, la gente di ogni condizione sociale che è andato a trovare quando è morto e la gente che l'ha portato in trionfo il giorno del suo funerale. Si scopre così che è vero che il giorno della morte è il giorno della nascita e che a partire da quel giorno della nascita per noi che abbiamo avuto la fortuna, il dono di averlo conosciuto, a partire da quel giorno Don Tonino non diventa solo un amico che ti è stato accanto, ma deve diventare uno stimolo, uno sprono ad andare avanti in maniere nuova e a tentare che noi possiamo imitarlo.

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