Beati I Costruttori di Pace:
A Sarajevo Per La Giornata Internazionale Dei Diritti Umani 1992


NON L’ONU DEI POTENTI E' ARRIVATA A SARAJEVO,
MA L’ONU DELLA BASE, DEI POVERI. L’ONU DEI POTENTI
PUO' ENTRARE A SARAJEVO FINO ALLE QUATTRO DEL POMERIGGIO,
L’ONU DEI POVERI SI PUO' PERMETTERE DI ENTRARE
ANCHE DOPO LE SETTE DI SERA.
Don Tonino Bello Vescovo di Molfetta,
Presidente di Pax Christi e animatore della marcia.

Azione di diplomazia popolare dell’11 dicembre 1992, “Solidarietà di Pace a Sarajevo” dove, cinquecento partecipanti, dopo aver lasciato degli ostaggi sul fronte, sono riusciti a rompere l’assedio ed entrare nella Sarajevo multietnica e multiculturale, assediata dai serbo-bosniaci, dopo l’orario di chiusura del check point dei Caschi Blu dell’ONU. Ottenendo una tregua e/o comunque una breve interruzione delle ostilita’, in un periodo, il 1992, dove le esplosioni di granate superavano i battiti che occorrono al cuore per battere un minuto. Ottenendo inoltre il riconoscimento del diritto di ingerenza umanitaria delle strutture organizzate di società civile laddove vengano violati i diritti umani. Infine strinsero rapporti con la Municipalita’ e la cittadinanza, iniziando un cammino di condivisione dell’assedio, che non era un’interposizione diretta ma piuttosto una permanenza che stabiliva un forte legame di solidarietà nel tessuto della società civile. Legame che negli anni si sarebbe sviluppato affermando le motivazioni ideali del diritto-dovere di schierarsi in difesa dei diritti umani.


“Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazioanle nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa dichiarazione possano essere pienamente realizzati”

Il significato dell’art. 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo si pone al centro dell’iniziativa politica dei Beati i Costruttori di Pace, i quali intendono interpretarlo e applicarlo alla luce di quanto enunciato nell’identico Preambolo dei due Patti Giuridici Internazionali del 1966, rispettivamente sui diritti civili e politici nonché sui diritti economici, sociali e culturali: “L’individuo, in quanto ha dei doveri verso gli altri e verso la collettività alla quale appartiene, è tenuto a sforzarsi di promuovere e di rispettare i diritti riconosciuti nel presente patto”
Andiamo a Sarajevo per condividere con i fratelli e le sorelle di Bosnia Herzegovina la speranza e l’impegno affinchè la Giornata Internazionale dei Diritti Umani 1992 segni la fine delle sofferenze in quella città martoriata. La celebreremo insieme, scambiandoci gesti di solidarietà concreta e riflettendo, in spirito di comune progettualità e responsabilità per l’azione, su ciò che implicano i principi e le norme del diritto internazionale dei diritti umani – delle persone e dei popoli – per il comportamento delle istituzioni nazionali e internazionali così come per quello delle strutture indipendenti della società civile.
Andiamo a Sarajevo sotto la responsabilità personale di ciascuno, pienamente consapevoli dei rischi che corriamo. Nella eventualità di gesti violenti nei nostri confroonti, chiediamo con fermezza che non si adottino misure di ritorsione implicanti l’uso della violenza e di quella militare in specie.

I diritti umani e i diritti dei popoli sono riconosciuti dal vigente diritto internazionale (Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, Patti Internazionali del 1966 e le altre Convenzioni Giuridiche pertinenti) come diritti fondamentali, cioè inviolabili e inalienabili. Ne discende che, in virtù di questo nuovo diritto internazionale o diritto della comunità umana, tutte le persone, i popoli e la famiglia umana universale devono considerarsi soggetti originari di sovranità anche nel sistema dei rapporti internazionali.
I principi fondamentali di questo nuovo diritto, che anche la recente sentenza del Tribunale Permanente dei Popoli (Padova – Venezia, ottobre 1992) stabilisce essere principi di “Jus Cogens” validi cioè per tutti, sono: pricipio di vita, principio di eguaglianza degli individui e dei popoli, principio di pace, principio di interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani, principio di cittadinanza planetaria, principio di solidarietà, principio di giustizio sociale, principio di democrazia politica ed economica.
Le norme giuridiche internazionali sui diritti umani rafforzano il principio della soluzione pacifica delle controversie e quello del divieto dell’uso della forza enunciati nell’art. 2 della Carta delle Nazioni Unite.
Esiste oggi un chiaro ordine di priorità tra le norme dell’ordinamento giuridico internazionale. Al primo posto sono quelle relative ai diritti umani. Laddove sorga contrasto tra diritti umani internazionalmente riconosciuti e diritti degli stati, i primi devono prevalere. Perché non si sviluppino conflitti per l’applicazione di questi principi, occorre che la comunità internazionale adegui le proprie istituzioni o ne crei di nuove si da garantire giustizia e sicurezza per tutti.
Il diritto internazionale dei diritti umani rifiuta la logica della frontiera nazionale armata e chiusa e legittima ad agire per il nuovo ordine internazionale democratico e nonviolento, secondo quanto enunciato dall’art. 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Quindi è lecito, anzi doveroso, per qualsiasi persona, gruppo o istituzione interessarsi delle vicende relative ai diritti umani in casa propria e in casa altrui, operando per la loro promozione e tutela “dal villaggio all’ONU”. Più precisamente, le strutture indipendenti della società civile sono pienamente legittimate, anche sotto il profilo giuridico-formale, ad esercitare il diritto-dovere di portare aiuto e solidarietà alle persone, ai popoli e alle minoranze che subiscono violazioni dei loro diritti innati e di agire attivamente per ricercare e proporre soluzioni appropriate.
Tale diritto-dovere è chiaramente enunciato dallo “Institut de droit International” (Risoluzione di Santiago de Compostela del 13 settembre 1989), dal Parlamento Europeo (Sulla politica comunitaria dei diritti dell’Uomo, 1991), dalla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, CSCE (Documento conlusivo della conferenza sulla dimensione umana, Mosca, 4 ottobre 1991), dall’Assemblea dei cittadini di Helsinki (Documento di Bratislava, marzo 1992). La democrazia internazionale, in questa forma di iniziativa e partecipazione politica popolare per la prevenzione e la soluzione dei conflitti e per l’esercizio della solidarietà internazionale, è un diritto fondamentale delle persone e dei gruppi come il diritto alla democrazia in ambito nazionale.

Il diritto all’autodeterminazione dei popoli, quale espressamente riconosciuto dall’identico art. 1 dei due Patti Internazionali del 1966 e dal principio VIII dell’Atto finale di Helsinki, deve essere interpretato all’interno del quadro normativo generale di tutti i diritti umani internazionalemente riconosciuti e in base al principio della loro interdipendenza e indivisibilità.
In quest’ottica, il processo di autodeterminazione non sempre può sfociare nella creazione di un nuovo stato sovrano, ma può concludersi anche con la realizzazione di forme avanzate di autonomia territoriale, garantite sul piano internazionale. Non è questo, evidentemente, il caso di Bosnia Herzegovina, Slovenia e Croazia, il cui processo di autodeterminazione si è democraticamente perfezionato con la Dichiarazione d’Indipendenza, il riconoscimento internazionale e l’ammissione all’ONU.
In taluni territori, ove coesistano più minoranze, gruppi etnici o micronazionalità, l’esito dell’autodeterminazione può consistere nella creazione di “territori transnazionali” (regioni, provincie, municipalità, interregioni), da considerarsi come nuova figura giuridica di entità territoriale. Il territorio transnazionale, per il fatto di essere connotato dalla multiculturalità, è assunto essere “bene comune dell’umanità” dal punto di vista geo-antropologico. In altre parole, la multietnicità, la multirazzialità, la multiculturalità sono concrete “risorse di pace” per il mondo intero. Lo statuto legale del territorio transnazionale è fatto dai seguenti elementi:
1. L’accordo fra i gruppi etnici
2. L’accordo fra lo stato di cui fa parte il territorio interessato e gli stati confinanti
3. La presenza permanente sul territorio di un’autorità internazionale di garanzia
4. La presenza organizzata di strutture trnsnazionali della società civile, con funzioni di “laboratori permanenti di interculturalità”
5. Appartenenza ad una “Camera dei territori transnazionali” dentro la CSCE.
In ogni caso, tenuto conto del fatto che il diritto di autodeterminazione, pur formalmente riconosciuto, è tuttora prico di adeguati strumenti internazionali di tutela, il relativo processo deve avvenire con altissimo senso di responsabilità e nel rispetto delle seguenti condizioni da parte di chi legittimamente rappresenta la comunità umana interessata;
&Mac183; Fare immediato, esplicito riferimento al diritto internazionale dei diritti umani
&Mac183; Porsi subito sotto l’autorità sopranazionale dell’ONU e delle istituzioni regionali a questa coordinata (CSCE, Consiglio d’Europa, CEE)
&Mac183; Non usare la violenza, ma gli strumenti propri del metodo democratico: negoziato, referendum, plebiscito, elezioni, ecc …
&Mac183; Rispettare tutti i diritti umani, in particolare i diritti delle minoranze
&Mac183; Impegnarsi affinchè la eventuale nuova entità territoriale, esito finale del processo di autodeterminazione, non sia armata
&Mac183; Impegnarsi ad adottare una costituzione democratica che riconosca esplicitamente il primato del diritti internazionale dei diritti umani rispetto a qualsiasi altro ordinamento.
Nell’esigere il rispetto di queste condizioni, la comunità internazionale deve a sua volta adempiere ai seguenti impegni:
a) Nel territorio ove si ponga un problema di autodeterminazione, essere subito presente con un’apposita struttura di garanzia sopranazionale articolata in:
&Mac183; Struttura di monitoraggio
&Mac183; Struttura di supervisione dei processi di manifestazione della volontà popolare
&Mac183; Struttura di interposizione, (se necessaria)
b) Allestire sistemi di sicurezza collettiva internazionale, sotto l’autorità sopranazionale delle Nazioni Unite.
c) Fare in modo che le preesistenti istituzioni regionali di cooperazione e integrazione accolgano subito al loro interno le nuove entità territoriali
d) Democratizzare tutte le istituzioni internazionali (ONU, CSCE, Consiglio d’europa), mediante forme di legittimazione diretta degli organi principali e di partecipazione politica popolare ai loro processi decisionali.

Di fronte ai drammatici avvenimenti della Bosnia Herzegovina e, più in generale, nella ex Yugoslavia, sulla Commissione Internazionale – Stati, ONU, CEE, CSCE – pesa la gravissima responsabilità di non essere intervenuta in via preventiva e con mezzi realmente efficaci per la soluzione pacifica dei conflitti.
Non meno gravi responsabilità specifiche pesano su quei leaders e gruppi politici che cinicamente tentano di conservare, in condizioni di palese illegalità e con forme di repressione violenta, delle istanze democratiche, regimi politico-miltari che altrimenti sarebbero già scomparsi.
Le cosiddette operazioni di pulizia etnica insieme con le estese e flagranti violazioni dei diritti delle minoranze, inoppugnabilmente accertate dall’Inviato Spaeciale dell’ONU, costituiscono crimine contro l’umanità e violazione palese della Convenzione Internazionale per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948.
Tra le colpe più evidenti della comunità internazionale e soprattutto della classe governante europea, è quella di essere rimasta inerte sul terreno della progettualità di fronte ai radicali mutamenti che avrebbero esigito e tuttora esigono intelligenti e coraggiose risposte nel segno dell’innovazione e della solidarietà; fondamentalmente la creazione di un sistema paneuropeo dotato di efficaci istituzioni per la sicurezza economica, sociale e di ordine pubblico, insomma la messa in opera della grande intuizione della “Casa Comune Europea”.
L’attuale leadership politica europea e mondiale, nel suo insieme, passerà alla storia come quella che non ha saputo o voluto cogliere i segni dei tempi, per aprire senza indugio una nuova fase di reale pacificazione e sviluppo nei rapporti fra popoli e fra stati pagandone il costo in termini di solidarietà economica e sociale oltre che politica.
Va denunciato con forza che il settore in cui la comunità degli stati è stata meno inerte è quello della produzione e del traffico di armi. Questo fatto rende ancora più colpevole la mancanza di progettualità politica di segno positivo.

In questa situazione, che tanti morti e sofferenze ha già provocato e continua a provocare, e il cui costo è di gran lunga superiore a quello di un serio programma di solidarietà economica, la società civile internazionale sta da tempo reagendo, facendo appello all’etica della responsabilità, della giustizia e della solidarietà, nonché ai doveri giuridici che discendono dalle norme internazionali sui diritti dell’uomo e dei popoli.
Noi, Beati i Costruttori di Pace, pienamente consapevoli del dovere morale e giuridico di agire per la promozione e la tutela dei diritti fondamentali delle persone, dei popoli e delle minoranze, proponiamo di discutere con i fratelli e le sorelle bosniache alcune linee di un progetto politico che possiamo insieme avanzare alle competenti istanze governative nazionali e internazionali e al mondo delle strutture indipendenti di società civile.
Ciò che proponiamo di discutere affonda le proprie radici nei principi e nelle norme del Codice universale dei Diritti Umani che è la nostra legge fondamentale e che, giova ripetere, ci legittima, in quanto parte attiva e responsabile di società civile internazionale, ad assumere iniziative miranti a porre fine ad uno stato di cose assolutamente intollerabile perchè disumano.

Riprendiamo con convinzione e determinazione l’idea, irrinunciabile, di una Casa Comune Europea dentro la quale spegnere i conflitti fratricidi e costruire rapporti di reciproco aiuto e rispetto. Proponiamo subito i primi due mattoni o premesse essenziali della strategia di casa Comune, quale riferimento indispensabile per le proposte riguardanti la situazione bosniaca.
Primo mattone;
Il fondamento etico e giuridico della Casa Comune Europea è costituito dai valori umani recepiti dal Codice Internazionale dei Diritti delle Persone e dei Popoli.
Secondo mattone;
Le istituzioni europee principalmente – CSCE, Consiglio d’Europa, CEE – invece di agire (o restare inerti o pasticciare) ciascuna per proprio conto, devono:
&Mac183; Cooperare fra loro
&Mac183; Democratizzare le proprie strutture
&Mac183; Coordinarsi con l’ONU, anche questa da democratizzare e trasformare in ONU dei Popoli
&Mac183; Accogliere tutti gli stati e i popoli europei grandi e piccoli, alla sola condizione che essi si impegnino a rispettare il Codice Internazionale dei Diritti Umani ( e non limitarsi quindi a forme, comunque insufficienti, di mera assistenza d’emergenza)
A questi compiti devono sovraintendere:
a) Una Unità Inter-istituzionale paneuropea, composta dai rappresentanti al massimo livello di tutte le istituzioni europee.
b) Una Istituzione parlamentare paneuropea, composta dai rappresentanti del Parlamento Europeo, dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa, dei Parlamentari di tutti gli stati europei, con funzioni di indirizzo e controllo nei confronti dell’Unità Inter-istituzionale. La prospettiva è evidentemente quella della creazione di un Parlamento paneuropeo eletto a suffragio universale.

Partendo dal riferimento ai due primi mattoni della Casa Comune Europea, avanziamo le seguenti proposte per quanto riguarda specificamente la situazione in Bosnia e nella ex Yugoslavia.
1. Costituzionedi una Tavola Rotonda permanente di società civile della Bosnia, composta da tutte le espressioni di società civile che si riconoscono nel Codice Universale dei Diritti Umani operante sul territorio. La Tavola Rotonda dovrebbe alimentare un dialogo permanente, col duplice obiettivo principale di influire efficacemente sulle scelte delle istituzioni politiche e di sviluppare forme di cooperazione multietnica e multiculturale.
Facciamo appello, per questo, allo spirito di iniziativa e all’autorità morale e politica della Helsinki Citizens Assembly (HCA), perché aiuti le varie espressioni di società civile in Bosnia ad avviare e rafforzare il dialogo interculturale e interconfessionale e mobiliti risorse di concreta solidarietà transnazionale attorno alla Tavola Rotonda di società civile bosniaca. La HCA dovrebbe altresì operare affinchè a tale Tavola Rotonda venga riconosciuto, in via straordinaria, lo “Status Consultivo” presso la CSCE, il Consiglio d’Europa, il Consiglio Economico e sociale delle Nazioni Unite e l’Unesco.
2. Trattato multilaterale per la pace, la sicurezza e lo sviluppo umano in Bosnia. Le iniziative negoziali finora sperimentate si sono rilevate fallimentari o dilatorie. Si rende necessaria un’iniziativa molto più forte e sincera, sotto la Presidenza di un Pool di Istituzioni Internazionali, ovvero di un’Agenzia Internazionale per la Pace, la Sicurezza e lo Sviluppo Umano in Bosnia, composta da ONU, CSCE, Consiglio d’Europa, CEE, e coordinata dal Segretario Generale dell’ONU alla quale devono partecipare le parti più direttamente in causa: Bosnia Herzegovina, Serbia e Montenegro, Croazia e un gruppo di paesi confinanti con i territori della ex Yugoslavia, in particolare: Slovenia, Ungheria, Italia, Austria, San Marino, Romania, Bulgaria, Grecia, Turchia, Albania.
Gli obiettivi sul quale raggiungere l’accordo sono:
a) Cessate il fuovo
b) Disarmo delle parti
c) Ritiro delle forze di occupazione
d) Smilitarizzazione del territorio
e) Presenza adeguata dei Caschi Blu
f) Presenza di un’alta autorità internazionale di garanzia
g) Rientro dei profughi
h) Ristabilimento dei confini preesistenti allo scoppio della guerra
i) Sottoscrizione di un trattato multilaterale di garanzia, buon vicinato e cooperazione tra Bosnia e paesi confinanti, sottoscritto anche e garantito – per la sua applicazione – dall’Agenzia Internazionale per la Pace, la Sicurezza e lo Sviluppo Umano in Bosnia.
Al tavolo del negoziato deve partecipare, in veste consultiva, la rappresentanza della Tavola Rotonda permanente di società civile della Bosnia. Nello svolgimento delle operazioni di cui alle lettere dalla a) alla g), devono essere rigorosamente applicate le norme del diritto internazionale umanitario riguardanti il trattamento di prigionieri, feriti, popolazione civile, ecc … (Convenzioni di Ginevra)
3. Perché il negoziato si avvi, occorre una forte iniziativa di diplomazia popolare che amplifichi ulteriormente l’impatto della manifestazione di Sarajevo per la celebrazione della Giornata Internazionale dei Diritii Umani 1992. Si tratta di mobilitare una estesa adesione popolare, col coinvolgimento anche di personalità del mondo culturale, artistico, religioso e politico, al presente documento. Le firme dovranno essere raccolte con la collaborazione di quante più possibili associazioni di promozione umana (da quelle eco-pacifiste a quelle di solidarietà sociale di base) attraverso la tecnica del “banchetto”, lettere ai giornali, sottoscrizioni nelle librerie, nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle chiese.
4. Il cessate il fuoco, il disarmo dei gruppi armati e l’embargo sul traffico di armi verso le zone di conflitto sono un abiettivo da conseguirsi in via prioritaria. A queste operazioni deve presiedere l’Agenzia Internazionale per la Pace, la Sicurezza e lo Sviluppo Umano in Bosnia. Un ruolo importante deve essere svolto dalle strutture indipendenti di società civile mendiante la tecnica della denuncia dei traffici d’armi e il blocco dei mezzi che le trasportano.
In questo contesto deve essere avviato un proceso di smilitarizzazione del territorio, sotto l’egida dell’ONU, secondo le proposte contenute nell’importante rapporto di Boutros Ghali, Segretario Generale della Nazioni Unite, intitolato “Agenda per la Pace” (New York, giugno 1992).
5. Programma di cooperazione economica, sociale e umanitaria. L’Agenzia Internazionale per la Pace, la Sicurezza e lo Sviluppo Umano in Bosnia, deve elaborare un piano di aiuti finalizzati alla ricostruzione economica, sociale e culturale, nelle zone danneggiate dal conflitto, mobilitando le necessarie risorse finanziarie e umane presso gli stati, gli organismi economici internazionali, gli ambienti produttivi.
Alla realizzazione di questo piano devono essere ufficialmente associate le organizzazioni nongovernative (ONG) e le strutture di volontariato, non soltanto perché indispensabili per la loro intrinseca capacità di operare in situazioni di difficoltà estrema, ma anche per evitare il ripetersi di quelle strumentalizzazioni e devianza che caratterizzano i programmi di cooperazione intergovernativa allo sviluppo con i paesi del sud del mondo. Di questo piano, una parte importante deve riguardare la incentivazione di iniziative per l’educazione alla pace, ai diritti umani e al dialogo interculturale, con la collaborazione di ONG, scuole, università, enti locali dei paesi membri della CSCE. Priorità deve essere data all’installazione sul territorio di Centri per la promozione e la tutela dei diritti umani e delle minoranze, in rapporto diretto con le competenti istituzioni dell’ONU, della CSCE, del Consiglio d’Europa e del Parlamento Europeo.
All’interno di questo programma, un ruolo educativo di particolare rilievo può essere svolto dagli obiettori di coscienza e dalle donne. In particolare gli obiettori di coscienza con l’aiuto delle loro strutture organizzate anche sul piano internazionale, si propongono tra i soggetti più idonei a educare alla pratica della nonviolenza e quindi a dare un supporto popolare alla strategia di smilitarizzazione del territorio sotto egida ONU. Utili indicazioni per un programma di “peace building” sono contenute nel citato Rapporto di Boutros Ghali.
L’esperienza dell’Agenzia Internazionale per la Pace, la Sicurezza e lo Sviluppo Umano in Bosnia, potrbbe rivelarsi utile per fronteggiare situazioni analoghe in altre parti del continente europeo.

Padova, 13 novembre 1992


Vedi anche
Passo Passo Anch'io a Sarajevo
di Beati i Costruttori di Pace
Edizioni Massaggero Padova 1993


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