Voci e Volti della Nonviolenza Numero 376 del 22 settembre 2009
Guglielmo Minervini Ricorda Tonino Bello (2003)

[Dal mensile "Jesus", n. 4, aprile 2003, col titolo "Monsignor Tonino Bello.
L'uomo del Concilio" e il sommario "Strano a dirsi, il noto 'vescovo di strada' ebbe una brutta impressione al suo primo approccio con il Vaticano
II. Una volta pero' che il Concilio ebbe aperto la via del dialogo con il mondo, pochi la seguirono anima e corpo come lui. Oggi, pero', a dieci anni
dalla scomparsa, la profetica figura di don Tonino rischia di finire
rinchiusa nei cliche'"]


Nella terza ora del 20 aprile di dieci anni fa, don Tonino scioglieva il suo
soffio in un ultimo dono di speranza: "Vedrete come, fra poco, la fioritura
della primavera spirituale inondera' il mondo perche' andiamo verso momenti
splendidi della storia. Non andiamo verso la catastrofe. Ricordatevelo.
Queste non sono allucinazioni di uno che delira per la febbre. No, non e'
vero, andiamo in alto. Andiamo verso punti risolutori della storia, verso il
punto omega, cioe' la zeta, ovvero l'ultima lettera dell'alfabeto, non verso
la fine ma verso l'inizio".
Lo sguardo, nonostante il dolore e la sofferenza, le amarezze e le
sconfitte, si chiudeva riconciliato col mondo, con una fresca fiducia nel
futuro. Don Tonino era proprio cosi'. Oggi continua ad attrarre per la
fragranza evangelica che promana dalla sua testimonianza. La sua scomparsa
non ha fatto che dilatarne la popolarita'. In numerosi hanno continuato a
conoscerlo soprattutto attraverso i suoi scritti, nei quali hanno assaporato
una parola inconsueta e sorprendente, lirica ma nel contempo irrequieta,
tersa ma ancora provocatoria.
E' stato studiato, descritto, raccontato. Frammenti della sua complessa
vicenda umana e pastorale sono rimbalzati dovunque, in forme talvolta anche
disordinate, parziali o semplicemente aneddotiche. La sua fama addirittura
sembra essere avviata alla consacrazione ufficiale. Cosi' oggi circolano
tanti don Tonino non sempre congruenti tra loro. Il don Tonino sacerdote, il
vescovo, il terziario francescano, il pacifista, il salentino, il
molfettese, lo studioso mariano, il mistico, lo scrittore, il poeta, il
visionario, l'impegnato, l'eccentrico, e cosi' via. Ciascuno allarga il lato
dal quale ha fatto conoscenza di don Tonino, e tende a rappresentarlo come
unico ed esclusivo. Il risultato e', negli ultimi tempi, la tendenza a
costringere l'eccedente complessita' di don Tonino dentro una tradizionale
cornice devozionistica, meno problematica e piu' immediata da comunicare.
Don Tonino e' uno di quelli che hanno preso sul serio il Vangelo e che hanno
creduto fino in fondo alla possibilita' della sequela. La sua scelta, pero',
non si risolve solo in una personalissima esperienza di fede. Egli avverte
l'urgenza di incarnare la sua storia personale nella storia della fine del
Novecento e nella geografia dove la sua vicenda umana si consuma, nel finis
terrae dello stivale e, quindi, dell'Occidente. In questo movimento di
incarnazione in un "qui" e "ora", per dirla alla Primo Levi, sente di
interpretare la svolta segnata dal Concilio Vaticano II.
Quello sguardo di fiducia verso le cose degli uomini, che non si spegnera'
nemmeno nella sua ora ultima, trae origine proprio dal battesimo
presbiterale che don Tonino ha nel Concilio. Quando il suo vescovo e
maestro, monsignor Ruotolo (un modello di sacerdote del Sud, "una vita
povera" e "in mezzo alla gente", un prete che "profumava di popolo") lo
chiama con se', come esperto teologo, ai lavori del Concilio, don Tonino non
era che un giovane prete di 28 anni, intellettualmente vivace e di
provincia.
Al Concilio don Tonino non ci resta molto tempo, pero'. Solo una manciata di
giorni. Non regge molto a quella geometria di "monsignori con la sottana
paonazza, con la fascia paonazza, con le calze paonazze" che il suo occhio
acuto e gioviale coglie in "curioso contrasto con altri preti stranieri che,
sotto una sottanina trasparente che arriva a mezza gamba, lasciano emergere
mezzo metro di calzoni e un paio di scarpe smisurate". L'insofferenza per i
formalismi e le ritualita' prevale sulla sua curiosita'. Ma quella seppur
breve esperienza e' cosi' profonda da lasciare una traccia indeledibile. Per
la verita' cade in un terreno gia' fertile, perche' solcato, sui temi
sociali, dalla formazione nella scuola bolognese del cardinale Lercaro. Il
mondo non e' la parte impura della creazione, il suo lato "selvatico e non
divino", un impiccio per la Chiesa, un ripostiglio di errori. Al contrario
e' il luogo dove la creazione trae compimento, la storia di salvezza si
dispiega e Dio rinnova la sua alleanza con l'uomo.
Quando il Concilio rovescia gli atteggiamenti verso il mondo contemporaneo
per attrezzarsi di fronte ai profondissimi mutamenti in atto, don Tonino era
gia' pronto, la sua sensibilita' gia' matura. Appena a margine del Concilio
scrive: "Forse la poverta' che il mondo d'oggi attende dalla Chiesa e'
soprattutto poverta' culturale, e cioe' la purezza evangelica del suo
messaggio e la fiducia nella ragione umana". La fede si apre alla storia non
per attendere arcigna l'apocalisse o il trionfo del male ma per farsi
viandante, compagna di strada che sostiene la ricerca di senso. Quest'idea
si conficca non solo nella testa ma anche nel cuore. E feconda di ragioni la
sua cultura di meridionale e salentino, inguaribilmente intrisa di
semplicita', apertura e accoglienza.
Allora, la domanda cui don Tonino ha, con la sua testimonianza, inteso
rispondere e': l'immagine di Chiesa, cioe' di fede, di sacerdozio, di
laicato, disegnata dal Concilio, e' realizzabile? E' possibile tradurre,
anche nella pastorale, la scelta di una Chiesa che non si isoli ne' si
sovrapponga al mondo per "prendere da esso le distanze, e tanto meno per
giudicarlo e per condannarlo" ma che semplicemente gli si faccia accanto
"per comprenderlo, per amarlo, per farne propri, per quanto e' possibile e
sempre criticamente, le istanze e i valori"?
E' questo il filo rosso che congiunge i molteplici aspetti delle sue
attivita' e dei suoi interessi ma anche le distinte stagioni della sua vita.
E' questo soprattutto il tema generatore con cui si possono leggere gli
intensi dieci anni di episcopato vissuti a Molfetta come anche la
trascinante pagina della presidenza nazionale di Pax Christi.
Don Tonino accetta di divenire vescovo, peraltro dopo ripetute
sollecitazioni, perche' intende giocarsi la sfida della costruzione, da
pastore appunto, di una Chiesa di strada, partecipe delle cose degli uomini
e delle donne, una Chiesa, come quella disegnata dal Concilio, con al centro
non se stessa ma l'annuncio da offrire al mondo.
Don Tonino raccoglie questo suo manifesto di rinnovamento della Chiesa nel
piano pastorale "Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi", la
sua unica opera compiuta e sistematica. La stessa genesi del testo
costituisce un'assoluta novita'. Invece di somministrare il suo pensiero
alla diocesi, don Tonino disegna un complesso itinerario attraverso il quale
matura una vera e propria "scrittura collettiva" del piano pastorale. Le
decine di matrici da ciclostile che furono perforate nelle afose notti
dell'estate del 1984 (era vescovo da poco piu' di un anno) si trasformarono,
per la prima volta, in un decisivo timone restituito nelle mani del suo
popolo per orientare la rotta del proprio futuro.
Specie da vescovo e' stato poco nei ranghi. Scende in piazza con gli operai,
lotta con i marittimi, accoglie sfrattati e prostitute in episcopio,
solidarizza con i profughi albanesi, s'indebita (se stesso, non la diocesi)
fino all'ultimo capello per fondare comunita' d'accoglienza, gira di notte
nelle zone d'ombra della citta' raccogliendo ladri, ubriachi e sbandati,
litiga con gli amministratori pubblici, denuncia l'impianto clientelare
delle politiche sociali. Dinanzi all'omicidio del sindaco mette sul banco
degli imputati le responsabilita' collettive della citta' piuttosto che
quelle soggettive del "mostro", promuove petizioni per lo sviluppo civile e
non militare del suo territorio, raccoglie firme degli altri vescovi per
impedire di rovesciare la Puglia "da arca di pace in un arco di guerra",
sostiene leggi per l'inasprimento dei controlli e dei vincoli sul commercio
delle armi made in Italy.
Ancora: scrive a parlamentari, ministri, presidenti del consiglio per
ricordare lo sbarramento insormontabile posto dall'articolo 11 della
Costituzione alla guerra ("l'Italia svergogna la guerra"). E, infine, dona
la sofferenza del suo cancro a una Sarajevo violentata dalle bombe e dalla
guerra. Un folle di Dio, secondo alcuni. Un'ira di Dio, secondo molti altri.
Don Tonino e' stato l'ultimo riformatore sociale del Mezzogiorno. Ha
infranto le regole del buoncostume episcopale, frantumato le sbarre
invisibili dell'esclusione sociale, sovvertito l'ordine dei valori
dominanti. Come tutti i grandi riformatori, ha misurato la fatica del
cambiamento prima sui problemi concreti, strutturali, quelli che si toccano:
la casa, la disoccupazione, il disagio, le criminalita', lo sviluppo. La
polvere e la strada. E poi sulle cose che non si toccano e, quindi, forse le
piu' dure: le culture, le relazioni, lo scetticismo, le coscienze.
Cosa ricordare, a dieci anni dalla sua morte? La domanda, in questo tempo di
cesure, passaggi e, dunque, bilanci, e' ancora piu' pertinente perche' e'
sul giudizio attorno al Concilio che si giocano il futuro e le prospettive
della Chiesa. Allora, la figura di don Tonino diviene un ricchissimo scrigno
di stimoli e di indicazioni per sostenere il piu' ampio cammino di una fede
che non cada nella tentazione di ergersi maestra sulla realta', di
rinchiudersi nella protezione di alcuni spazi mondani, ma continui ad
alimentare l'ansia di cambiamento con le armi della profezia e della
verita'.
Il mondo di oggi ha ancora la febbre. Oscilla ancora tra la misura della
giustizia e della convivenza e quella dell'esclusione e della guerra. Ma il
bisogno piu' intimo e' di una coscienza. Di una voce morale profonda. Una
Chiesa cosi' come lui l'ha sognata: "Come Chiesa non siamo chiamati a
entrare in competizione, non dobbiamo rivestirci dei segni del potere. Noi
abbiamo il potere dei segni, non i segni del potere... Abbiamo invece il
potere di collocare dei segni sulla strada a scorrimento veloce su cui
cammina la gente, segni di condivisione, di poverta'".
*
Postilla.
Don Tonino Bello era nato ad Alessano (Lecce) il 18 marzo 1935. Ordinato
prete nel '57, esercito' il ministero anzitutto come animatore in seminario
e come parroco. Nel 1982 fu nominato vescovo di Molfetta, e dal 1985 divenne
presidente nazionale di Pax Christi.
Per il decimo anniversario della scomparsa di don Tonino, i suoi "eredi"
hanno organizzato due convegni di studio. Il primo, ad Assisi dal 4 al 6
aprile, e' promosso dalla Fondazione intitolata all'ex vescovo di Molfetta e
dalla Biblioteca della Pro civitate christiana, ed e' dedicato a "Don Tonino
Bello, costruttore di speranza nella Chiesa italiana di fine Novecento". La
seconda iniziativa e' il convegno nazionale "Don Tonino, un vescovo secondo
Concilio", organizzato dal 24 al 26 aprile a Molfetta dalla diocesi, dalla
Fondazione, da Pax Christi, dalla Facolta' teologica di Molfetta e dalle
edizioni La Meridiana. Intervengono, tra gli altri, monsignor Giancarlo
Bregantini, vescovo di Locri, e l'ex presidente della Repubblica Scalfaro.


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