Una Definizione di "Disobbedienza Civile"
di Norberto Bobbio

Il seguente articolo di Norberto Bobbio (scritto tre decenni fa, il lettore ne tenga conto), tratto dal Dizionario di politica diretto da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino, Utet, Torino 1976, 1983, Tea, Milano 1990, 1992, pp. 316-320.


I. Obbedienza e resistenza
Per comprendere che cosa s'intende per "disobbedienza civile" bisogna
partire dalla considerazione che il dovere fondamentale di ogni persona
soggetta a un ordinamento giuridico e' il dovere di obbedire alle leggi.
Questo dovere e' chiamato obbligo politico. L'osservanza dell'obbligo
politico da parte della grande maggioranza dei soggetti, ovvero la generale
e costante obbedienza alle leggi, e' insieme la condizione e la prova della
legittimita' dell'ordinamento, se per "potere legittimo" s'intende
weberianamente quel potere i cui comandi vengono, in quanto comandi, cioe'
indipendentemente dal loro contenuto, obbediti. Per la stessa ragione per
cui un potere che pretende di essere legittimo incoraggia l'obbedienza,
scoraggia la disobbedienza: mentre l'obbedienza alle leggi e' un obbligo, la
disobbedienza e' un illecito e come tale variamente punita.
La "disobbedienza civile" e' una forma particolare di disobbedienza, in
quanto viene messa in atto allo scopo immediato di mostrare pubblicamente
l'ingiustizia della legge e allo scopo mediato di indurre il legislatore a
mutarla; come tale viene accompagnata da parte di chi la compie con tali
giustificazioni da pretendere di essere considerata non soltanto come lecita
ma anche come doverosa, e da esigere di essere tollerata, a differenza di
qualsiasi altra trasgressione, dalle pubbliche autorità. Mentre la
disobbedienza comune e' un atto che disintegra l'ordinamento e quindi deve
essere impedita o rimossa affinche' l'ordinamento venga reintegrato nel suo
pristino stato, la disobbedienza civile e' un atto che mira in ultima
istanza a mutare l'ordinamento, e' insomma un atto non distruttivo ma
innovativo. Si chiama "civile" appunto perche' chi la compie ritiene di non
commettere un atto di trasgressione del proprio dovere di cittadino, ma anzi
ritiene di comportarsi da buon cittadino in quella particolare circostanza
piuttosto disubbidendo che ubbidendo. Proprio per questo suo carattere
dimostrativo e per questo suo fine innovativo, l'atto di disobbedienza
civile tende ad avere il massimo di pubblicita'. Questo carattere della
pubblicita' serve a contraddistinguere nettamente la disobbedienza civile
dalla disobbedienza comune: mentre il disobbediente civile si espone al
pubblico, e solo esponendosi al pubblico puo' sperare di raggiungere il
proprio scopo, il deviante comune deve, se vuole raggiungere il proprio
scopo, compiere l'atto nel massimo segreto.
Le circostanze in cui i fautori della disobbedienza civile ritengono venga
meno l'obbligo dell'obbedienza e ad esso subentri l'obbligo della
disobbedienza sono sostanzialmente tre: il caso della legge ingiusta, il
caso della legge illegittima (cioe' emanata da chi non ha il potere di
legiferare), e il caso della legge invalida (o incostituzionale). Secondo i
fautori della disobbedienza civile, in tutti questi casi la legge non e'
vera e propria legge: nel primo caso non lo e' sostanzialmente, nel secondo
e nel terzo non lo e' formalmente. L'argomento principale di costoro e' che
il dovere (morale) di ubbidire alle leggi esiste nella misura in cui viene
rispettato dal legislatore il dovere di emanare leggi giuste (cioe' conformi
ai principi di diritto naturale o razionale, ai principi generali del
diritto o come altrimenti li si voglia chiamare) e costituzionali (cioe'
conformi ai principi sostanziali e alle regole formali previste dalla
costituzione). Tra cittadino e legislatore esisterebbe un rapporto di
reciprocita': se e' vero che il legislatore ha diritto all'obbedienza, e'
altrettanto vero che il cittadino ha diritto a essere governato saggiamente
e secondo le leggi stabilite.
*
II. Varie forme di resistenza
Il problema se sia lecito disubbidire alle leggi, in quali casi, entro quali
limiti e da parte di chi, e' un problema tradizionale che e' stato oggetto
d'infinite riflessioni e discussioni tra filosofi, moralisti, giuristi,
teologi, ecc. L'espressione "disobbedienza civile" che vi si riferisce e'
invece moderna ed e' entrata nell'uso corrente attraverso gli scrittori
politici anglosassoni, a cominciare dal classico saggio di Henry David
Thoreau, Civil Disobedience (1849); nel quale lo scrittore americano
dichiara di rifiutare il pagamento delle tasse al governo che le impiega per
fare una guerra ingiusta (la guerra contro il Messico), affermando: "il solo
obbligo che io ho il diritto di assumere e' di fare a ogni momento cio' che
io ritengo giusto"; e quindi, di fronte alla conseguenza del proprio atto
che potrebbe condurlo in prigione, risponde: "Sotto un governo che
imprigiona chiunque ingiustamente, il vero posto per un uomo giusto e' in
prigione".
In senso proprio la disobbedienza civile e' soltanto una delle situazioni in
cui la violazione della legge viene considerata, da chi la compie o ne fa la
propaganda, eticamente giustificata. Si tratta delle situazioni che vengono
di solito comprese dalla tradizione prevalente di filosofia politica sotto
la categoria del diritto alla resistenza. Alessandro Passerin d'Entrèves ha
distinto otto diversi modi di comportarsi del cittadino di fronte alla
legge: 1° obbedienza consenziente; 2° ossequio formale; 3° evasione occulta;
4° obbedienza passiva; 5° obiezione di coscienza; 6° disobbedienza civile;
7° resistenza passiva; 8° resistenza attiva. Le forme tradizionali di
resistenza alla legge cominciano dall'obbedienza passiva e terminano con la
resistenza attiva: la disobbedienza civile, nel suo significato ristretto,
e' una forma intermedia. Seguendo il Rawls, il d'Entrèves la definisce come
un'azione illegale, collettiva, pubblica e non violenta, che si appella a
principi etici superiori per ottenere un cambiamento nelle leggi.
Le situazioni che rientrano nella categoria generale del diritto di
resistenza possono essere distinte in base a diversi criteri, cioe' secondo
che l'azione di disobbedienza sia: a) omissiva o commissiva, consista cioe'
nel non fare quel che e' comandato (per esempio il servizio militare) o nel
fare quel che e' proibito (e' il caso del negro che si va a sedere in un
locale pubblico interdetto agli uomini di colore); b) individuale o
collettiva, secondoche' sia compiuta da un individuo isolato (tipico e' il
caso dell'obiettore di coscienza, che generalmente agisce da solo e in
virtu' di un dettame della propria coscienza individuale), o da un gruppo i
cui membri condividono gli stessi ideali (ne sono esempio tipico le campagne
gandhiane per la liberazione dell'India dal dominio britannico); c)
clandestina o pubblica, ovvero preparata e compiuta in segreto, come accade
e non può non accadere nell'attentato anarchico che deve contare sulla
sorpresa, oppure proclamata prima del compimento, come sono abitualmente le
occupazioni di fabbriche, di case, di scuole, fatte allo scopo di ottenere
la revoca di norme repressive o preclusive considerate discriminanti; d)
pacifica o violenta, cioe' compiuta con mezzi non violenti, come il sit-in,
e in genere ogni forma di sciopero (s'intende dove lo sciopero e' illegale,
ma anche la' dove lo sciopero e' lecito, vi sono sempre forme di sciopero
considerate illecite) oppure con armi proprie o improprie, come accade
generalmente in ogni situazione rivoluzionaria (da notare che il passaggio
dall'azione non violenta all'azione violenta coincide spesso col passaggio
dall'azione omissiva all'azione commissiva); e) volta al mutamento di una
norma o di un gruppo di norme oppure dell'intero ordinamento; cioe' tale che
non mette in questione tutto l'ordinamento, come e' proprio dell'obiezione
di coscienza all'obbligo di prestare il servizio militare, specie in
circostanze eccezionali, quale una guerra sentita come particolarmente
ingiusta (per fare un esempio recente che ha rimesso in discussione con
particolare intensita' il problema della disobbedienza civile, la guerra del
Viet-Nam) oppure tale che tende a rovesciare l'intero sistema, come e'
proprio dell'azione rivoluzionaria. inoltre, la disobbedienza può essere,
secondo una distinzione che risale alle teorie politiche dell'eta' della
riforma, passiva o attiva: e' passiva quella che e' rivolta alla parte
precettiva della legge e non alla parte punitiva, in altre parole, quella
che e' compiuta con la precisa volonta' di accettare la pena che ne
seguira', e in quanto tale, mentre non riconosce allo Stato il diritto di
imporre obblighi contro coscienza, gli riconosce il diritto di punire ogni
violazione delle proprie leggi; attiva, quella che e' rivolta
contemporaneamente alla parte precettiva e alla parte punitiva della legge,
cosicche' colui che l'effettua non si limita a violare la norma ma tenta con
ogni mezzo di sottrarsi alla pena.
Combinando ognuno dei diversi caratteri di ogni singolo criterio con tutti
gli altri si ottiene un notevole numero di situazioni che non e' qui il caso
di enumerare. Tanto per fare un esempio. L'obiezione di coscienza al
servizio militare (la' dove le leggi non la riconoscono) e' omissiva,
individuale, pubblica, pacifica, parziale, e realizza una forma di
disobbedienza passiva. Per fare un altro esempio classico, il tirannicidio
e' commissivo, generalmente individuale, clandestino (cioe' non dichiarato
in anticipo), violento, totale (tende, come quello dei monarcomachi delle
guerre religiose del Cinque e Seicento o quello degli anarchici delle lotte
sociali dell'Ottocento, a un mutamento radicale dello Stato presente), e
inoltre realizza una forma di disobbedienza attiva. Venendo alla
disobbedienza civile, cosi' com'e' di solito concepita nella filosofia
politica contemporanea, che prende in considerazione le grandi campagne
nonviolente di Gandhi o le campagne per l'abolizione delle discriminazioni
razziali negli Stati Uniti, essa e' omissiva, collettiva, pubblica,
pacifica, non necessariamente parziale (l'azione di Gandhi fu certamente
un'azione rivoluzionaria) e non necessariamente passiva (le grandi campagne
contro la discriminazione razziale tendono a non riconoscere allo Stato il
diritto di punire i pretesi crimini di lesa discriminazione).
*
III. I caratteri specifici della disobbedienza civile
Allo scopo di distinguere la disobbedienza civile da tutte le altre
situazioni che rientrano storicamente nella vasta categoria del diritto di
resistenza, i due caratteri piu' rilevanti tra quelli elencati sopra sono
l'azione di gruppo e la non violenza. Il primo carattere serve a distinguere
la disobbedienza civile dai comportamenti di resistenza individuale sui
quali si sono soffermate generalmente le dottrine della resistenza nella
storia delle lotte contro le varie forme di abuso di potere. Tipico atto di
resistenza individuale e' l'obiezione di coscienza (almeno nella maggior
parte dei casi, in cui il rifiuto di portare le armi non sia fatto in nome
dell'appartenenza a una setta religiosa, come quella dei Mormoni o dei
testimoni di Geova) o il caso ipotizzato da Hobbes di colui che si ribella
al sovrano che lo condanna a morte e gli impone di uccidersi. Individuale
anche se fa appello alla coscienza di altri cittadini il gesto di Thoreau di
non pagare le tasse. Individuale il caso estremo di resistenza
all'oppressione, il tirannicidio. Il secondo carattere, quello della non
violenza, serve a distinguere la disobbedienza civile dalla maggior parte
delle forme di resistenza di gruppo che, a differenza di quelle individuali
(generalmente non violente), hanno dato luogo, la' dove sono state
effettuate, a manifestazioni di violenza (dalla sommossa alla ribellione,
dalla rivoluzione alla guerriglia).
Se dunque si prendono in considerazione i due criteri piu' caratterizzanti
dei vari fenomeni di resistenza, quello che distingue resistenza individuale
da resistenza collettiva e quello che distingue resistenza violenta da
resistenza non violenta, la disobbedienza civile, in quanto fenomeno di
resistenza insieme di gruppo e non violento, occupa un posto preciso e ben
delimitato tra i due tipi estremi, e storicamente piu' frequenti e anche
piu' studiati, della resistenza individuale non violenta e della resistenza
di gruppo violenta. La disobbedienza civile ha della resistenza collettiva
il carattere del fenomeno di gruppo se non in certi casi di massa, e nello
stesso tempo ha della resistenza individuale il carattere prevalente della
nonviolenza: in altre parole e' un tentativo di fare respingere dal gruppo
"sedizioso" le tecniche di lotta che gli sono piu' familiari (il ricorso
alle armi proprie o improprie) e di fargli adottare comportamenti che sono
caratteristici dell'obiettore individuale (il rifiuto di portare le armi, il
non pagare le tasse, l'astenersi dal compiere un atto che ripugna alla
propria coscienza, come l'adorare dèi falsi e bugiardi, ecc.).
La disobbedienza civile, in quanto e' una delle varie forme che puo'
assumere la resistenza alla legge, e' pur sempre caratterizzata da un
comportamento che mette in atto intenzionalmente una condotta contraria a
una o a piu' leggi. Deve essere quindi ulteriormente distinta da
comportamenti, che spesso le si accompagnano e che, pur avendo lo stesso
fine di contrastare l'autorita' legittima al di fuori dei canali normali
della opposizione legale e della pubblica protesta, non consistono in una
violazione intenzionale della legge. La prima distinzione da fare e' quella
tra la disobbedienza civile e il fenomeno recente, e altrettanto clamoroso,
della contestazione, anche se spesso la contestazione sia sfociata in
episodi di disobbedienza civile. Il miglior modo di distinguere
disobbedienza civile da contestazione e' di ricorrere ai due rispettivi
contrari: il contrario di disobbedienza e' obbedienza, il contrario di
contestazione e' accettazione. Chi accetta un sistema lo ubbidisce, ma si
puo' ubbidirlo anche senza accettarlo (anzi la maggior parte dei cittadini
ubbidisce per forza d'inerzia o per abitudine o per imitazione o per una
vaga paura delle conseguenze di un'eventuale infrazione, senza peraltro
essere convinta che il sistema cui ubbidisce sia il migliore dei sistemi
possibili). Di conseguenza, la disobbedienza in quanto esclude l'ubbidienza
costituisce un atto di rottura contro l'ordinamento o una sua parte; la
contestazione in quanto esclude l'accettazione (ma non l'obbedienza)
costituisce un atto di critica che mette in questione l'ordinamento
costituito o una sua parte ma non lo mette effettivamente in crisi. Mentre
la disobbedienza civile si risolve sempre in una azione se pur soltanto
dimostrativa (come lo stracciare la cartolina di chiamata alle armi), la
contestazione si realizza in un discorso critico, in una protesta verbale,
nell'enunciazione di uno slogan (non a caso il luogo dove si esplica piu'
frequentemente l'atteggiamento contestativo e' l'assemblea, cioe' un luogo
dove non si agisce ma si parla). L'altro comportamento che conviene
distinguere dalla disobbedienza civile e' quello della protesta sotto forma
non di discorso ma di azione esemplare, come il digiuno prolungato, o il
suicidio pubblico mediante forme clamorose di autodistruzione (come il darsi
fuoco dopo essersi cosparsi il corpo di materie infiammabili). Anzitutto
queste forme di protesta non sono, come la disobbedienza, illegali (se si
puo' discutere la liceita' del suicidio, non e' certo discutibile la
liceita' di digiunare dal momento che non esiste l'obbligo giuridico di
mangiare), e in secondo luogo mirano allo scopo di modificare una azione
della pubblica autorita' considerata ingiusta non direttamente, cioe'
facendo il contrario di quel che dovrebbe essere fatto, ma indirettamente,
cioe' cercando di suscitare un sentimento di riprovazione o di esecrazione
contro l'azione che si vuol combattere.
*
IV. La disobbedienza civile e le sue giustificazioni
La disobbedienza civile e', come si e' detto all'inizio, un atto di
trasgressione della legge che pretende di essere giustificato e quindi trova
in questa giustificazione la ragione della propria differenziazione da tutte
le altre forme di trasgressione. La fonte principale di giustificazione e'
l'idea originariamente religiosa, in seguito laicizzata nella dottrina del
diritto naturale, di una legge morale, che obbliga ogni uomo in quanto uomo,
e come tale indipendentemente da ogni coazione, e quindi in coscienza,
distinta dalla legge posta dall'autorita' politica, che obbliga soltanto
esteriormente e, se mai in coscienza, soltanto nella misura in cui e'
conforme alla legge morale. Ancora oggi i grandi movimenti di disobbedienza
civile, da Gandhi a Martin Luther King, hanno avuto una forte impronta
religiosa. Disse una volta Gandhi a un tribunale che doveva giudicarlo per
un atto di disobbedienza civile: "Oso fare questa dichiarazione non certo
per sottrarmi alla pena che mi dovrebbe essere inflitta, ma per mostrare che
io ho disubbidito all'ordine che mi era stato impartito non per mancanza di
rispetto alla legittima autorita', ma per ubbidire alla legge piu' alta del
nostro essere, la voce della coscienza" (Autobiography, Parte V, cap. XV).
L'altra fonte storica di giustificazione e' la dottrina d'origine
giusnaturalistica, poi trasmessa alla filosofia utilitaristica
dell'Ottocento, che afferma la preminenza dell'individuo sullo Stato, onde
deriva la duplice affermazione che l'individuo ha alcuni diritti originari e
inalienabili, e che lo Stato e' un'associazione creata dagli stessi
individui per comune consenso (il contratto sociale) per proteggere i loro
diritti fondamentali e assicurare la loro libera e pacifica convivenza. Il
grande teorico del diritto di resistenza, John Locke, e' giusnaturalista,
individualista, contrattualista, e considera lo Stato come un'associazione
sorta dal comune consenso dei cittadini per la protezione dei loro diritti
naturali. Cosi' egli esprime il proprio pensiero: "Il fine del governo e' il
bene degli uomini; e che cosa e' meglio per l'umanita': che il popolo si
trovi sempre esposto all'illimitata volonta' della tirannide o che i
governanti si trovino talvolta esposti all'opposizione, quando diventino
eccessivi nell'uso del loro potere e lo impieghino per la distruzione e non
per la conservazione delle proprieta' del popolo?" (Secondo trattato sul
governo, par. 229).
Una terza fonte di giustificazione e' infine l'idea libertaria della
malvagita' essenziale di ogni forma di potere sull'uomo, in specie di quel
massimo dei poteri che e' lo Stato, col corollario che ogni moto che tende a
impedire allo Stato di prevaricare e' una necessaria premessa per instaurare
il regno della giustizia della liberta' e della pace. Il saggio di Thoreau
comincia con queste parole: "Io accetto di buon grado il motto: - Il miglior
governo e' quello che governa meno - ... Condotto alle estreme conseguenze
conduce a quest'altra affermazione in cui pure io credo: - Il miglior
governo e' quello che non governa affatto -". Manifesta e' l'ispirazione
libertaria in alcuni gruppi di protesta e di mobilitazione di campagne
contro la guerra del Viet-Nam negli Stati Uniti degli anni Sessanta (di cui
una delle espressioni culturalmente piu' consapevoli e' il libro di Noam
Chomsky, I nuovi mandarini, 1968).
*
Bibliografia
AA. VV., Civil Disobedience. Theory and Practice, New York 1969; S. Gendin,
Governmental Toleration of Civil Disobedience in Philosophy and Political
Action, Oxford University Press, Londra 1972 (e bibliografia ivi citata); A.
Passerin d'Entreves, Obbedienza e resistenza in una societa' democratica,
Edizioni di Comunita', Milano 1970; Id., Obbligo politico e liberta' di
coscienza, in "Rivista internazionale di filosofia del diritto", 1973; R.
Polin, L'obligation politique, P.U.F., Parigi 1971; M. Walzer, Obligation:
Essays on Disobedience, War and Citizenship, Harvard University Press,
Cambridge, Mass. 1970.
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