Non Uccidere
di Norberto Bobbio

Il testo seguente, e' quello del discorso pronunciato a conclusione del dibattito sull'omonimo film di Claude Autant-Lara (Torino, 4 dicembre 1961), pubblicato in "Resistenza", XV, n. 12, dicembre 1961, p. 4; successivamente ristampato in Norberto Bobbio, Il terzo assente, Edizioni Sonda, Milano-Torino 1989, pp. 139-142.


Mi propongo di chiarire il significato storico e il significato attuale
dell'obiezione di coscienza. Parto dalla definizione piu' generale:
l'obiettore di coscienza e' colui che rifiuta incondizionatamente la guerra.
Si badi: incondizionatamente, cioe' senza condizioni. In altre parole: e'
colui che non accetta nessuno dei tentativi che sono stati fatti per
giustificare la guerra.
Si dira': nulla di nuovo. Tutti condannano la guerra. La condannano, ma la
fanno. E poi, e' vero che tutti condannano la guerra? Siamo proprio sicuri
di essere tutti d'accordo che la guerra e' cosa da condannarsi
incondizionatamente?
Guardiamo la storia, la storia della nostra civilta' cristiana,
illuministica, umanitaria. Abbiamo sempre giustificato la guerra. Moralisti,
filosofi, teologi sono andati a gara a escogitare teorie per giustificare la
guerra. E la guerra, sinora, c'e' sempre stata. Noi l'abbiamo giustificata
proprio perche' c'e' sempre stata. E, del resto, come e' possibile resistere
alla tentazione di dare una giustificazione di quello che e' un elemento
costitutivo, essenziale, della nostra storia? Poiche' parte della storia e'
storia di guerre, se noi non riuscissimo a giustificare la guerra, la storia
ci apparirebbe o come un immenso errore o come una assurda follia. Per non
dover credere che la storia umana sia una storia sbagliata o assurda,
filosofi, moralisti e teologi hanno dovuto giustificare la guerra.
E' stata giustificata in tanti modi. Ne indico quattro.
Anzitutto con la distinzione, accolta per alcuni secoli dalla teoria del
diritto internazione, tra guerre giuste e ingiuste. Si dice: non tutte le
guerre sono uguali; vi e' guerra e guerra. Alcune guerre sono un male, altre
non lo sono. Sono un male, per esempio, soltanto le guerre di conquista, non
le guerre di difesa.
Seconda giustificazione: la guerra e' un male minore. Tutte le guerre sono
un male, ma vi possono essere malanni peggiori della guerra, la perdita
della liberta', dell'onore nazionale, della fede avita. Qui siamo di fronte
a un conflitto di valori. La guerra rappresenta solo la negazione di un
valore, quello della pace. Ma la pace e' il valore supremo? Non vi sono
altri valori piu' alti della pace? La liberta', la giustizia, l'onore, la
religione?
Terza giustificazione: la guerra e' un male (non si dice se maggiore o
minore, e non si fa piu' un confronto con qualche altro valore) ed e' un
male necessario. Necessario perche' senza guerra non c'e' progresso, non
c'e' sviluppo storico. La storia procede per affermazioni e negazioni: se
non ci fosse la negazione, non ci sarebbe neppure l'affermazione. E' la
concezione dialettica della storia, oppure la concezione della guerra come
molla del progresso. Il pacifista Kant aveva fatto l'elogio dell'antagonismo
e della guerra. Chi volesse raccogliere un bel florilegio di elogi della
guerra come momento necessario dello sviluppo storico, non avrebbe che
l'imbarazzo della scelta.
Quarta giustificazione: la guerra non e' ne' un bene ne' un male. E' un
fatto. Essendo un fatto, e' quello che e'. Non si discute: lo si accetta. Fa
parte del nostro destino o se volete, del disegno della provvidenza. Anche
Croce si inchinava alla tremenda maesta' della guerra, e l'immanentista
Gentile la chiamava "dramma divino". Se la guerra e' inevitabile, non
possiamo far nulla contro di essa. Magari non provocarla, ma quando scoppia
per ragioni imprevedibili e insondabili, bisogna fare il proprio dovere.
Riflettiamo su questa frase: fare il proprio dovere. Fare il proprio dovere
significa in questo contesto accettare il proprio destino, accettare la
condanna di essere uomini.
Ho voluto soffermarmi brevemente sulle principali ideologie della guerra,
perche' solo cosi' entriamo nel vivo del problema agitato dagli obiettori di
coscienza. In termini generali, si puo' dire che l'obiettore di coscienza e'
colui che non accetta in principio nessuna di queste, e di altre possibili
giustificazioni. L'obiettore di coscienza e' colui che, affermando che la
guerra e' violenza e che la violenza e' un male assoluto, conclude che la
guerra e' un male assoluto.
Primo: per l'obiettore non vi sono guerre giuste e ingiuste. E la guerra di
difesa? Anche la guerra di difesa e' violenza. E poi chi ha il diritto di
distinguere la guerra di offesa da quella di difesa? Esiste nella storia dei
rapporti tra gli stati l'innocente? Chi e' stato il primo colpevole? Chi
sara' l'ultimo innocente? O non e' forse vero che la ferrea catena di
guerre, in cui consiste la nostra storia, ci rende impossibile risalire alla
prima radice del male? E allora non bisogna spezzare questa catena? Ma per
spezzarla occorre pure che qualcuno cominci. L'obiettore di coscienza e'
colui che dice: comincio io, e accada quel che deve accadere.
Secondo: la guerra non e' un male minore; e' puramente e semplicemente un
male. Non bisogna fare il male, ecco tutto. E poi non e' il male minore,
perche' tutti i mali si generano dalla violenza. E non vi e' bene che possa
essere barattato con la perdita della pace, perche' la pace e' la condizione
stessa del fiorire di tutti gli altri valori.
Terzo: la guerra non e' un male necessario. Puo' ben darsi che, dopo la
guerra, la storia umana faccia un passo innanzi. Ma quanti ne ha fatti
indietro per causa della guerra? Tanto orrenda e' la situazione di guerra,
che, tornata la pace, ci sembra di aver fatto un passo innanzi. Ma come
possiamo sapere quale sarebbe stato il destino dell'uomo se non ci fossero
state guerre? Come possiamo saperlo se le guerre ci sono sempre state? Come
possiamo paragonare il progresso storico attraverso le guerre col progresso
storico attraverso la pace, se sino ad ora l'umanita' ha conosciuto soltanto
il primo e non anche il secondo di questi due corsi?
Quarto: la guerra non e' un fatto inevitabile. Dipende da noi, dalle nostre
passioni che possiamo reprimere, dai nostri interessi che possiamo
conciliare, dai nostri istinti che dobbiamo correggere e frenare. Se abbiamo
saputo eliminare le guerre tra individui, tra comuni, perche' dovrebbe
continuare a sussistere la guerra tra gli stati? Perche', dal semplice fatto
che un evento e' sempre stato, dobbiamo dedurne che sempre sara'? Dov'e'
scritto e chi l'ha scritto?
Ho voluto riassumere brevemente (e imperfettamente) alcuni eterni motivi
dell'obiezione di coscienza, perche' oggi ci troviamo di fronte a una
situazione nuova, a una vera e propria svolta della storia umana, di fronte
alla quale l'obiezione di coscienza, il dir di no alla guerra, assume un
significato piu' attuale, piu' vasto, piu' universale. La situazione nuova
e' quella che e' determinata dalla corsa spaventosa verso gli armamenti
atomici. La situazione e' nuova, perche' per la prima volta nella storia la
guerra totale puo' portare all'annientamento della vita sulla terra, cioe'
della storia stessa dell'uomo. Ci vuole un certo sforzo d'immaginazione per
comprendere che questo puo' accadere: ma questo sforzo dobbiamo farlo.
Di fronte all'evento possibile della distruzione della storia, ogni
giustificazione della guerra diventa impossibile. Siamo in una condizione in
cui non possiamo piu' accettare la guerra. Il che significa che siamo
diventati, che dobbiamo diventare tutti quanti potenzialmente obiettori di
coscienza. L'alternativa e' questa: o l'obiezione di coscienza, nel senso di
impossibilita' morale di accettare la guerra, o la possibile distruzione del
genere umano. Se vi paiono un po' troppo apocalittiche queste mie
considerazioni, vi invito a ragionarvi su.
Primo: di fronte alla possibile catastrofe atomica non vi sono piu' guerre
giuste o ingiuste; una guerra, qualunque essa sia, che puo' provocare la
scomparsa della vita sulla terra, e' ingiusta.
Secondo: e' semplicemente stolto considerare la guerra, che puo' avere una
simile conseguenza, come un male minore: non ci sono alternative possibili.
Di fronte alle guerre del passato puo' avere ancora un senso parlare di
alternativa tra la pace e la liberta', tra la pace e la giustizia, tra la
pace e l'onore. Ma di fronte alla guerra atomica, quale alternativa potrebbe
ancora concepirsi? O la liberta' o il suicidio universale? Chi beneficerebbe
di questa liberta'?
Terzo: la guerra non puo' piu' essere considerata come un male necessario,
come uno strumento di bene. Quale bene, se dopo non c'e' piu' nulla? La
guerra atomica non e' un mezzo per raggiungere qualche altra cosa, ma un
fine, anzi, meglio, e' la fine.
Quarto: la guerra non puo' piu' essere considerata come un fatto
inevitabile, a meno che si accetti come fatto inevitabile (badate,
inevitabile), l'autodistruzione dell'uomo.
Forse qualcuno potrebbe considerare che con questa considerazione io sia
andato fuori tema. Ma riflettiamo: obiezione di coscienza significa rifiuto
di portare armi. Ora quando nel concetto di arma rientra una bomba che, come
si legge nei giornali, ha da sola il potere esplosivo di meta' di tutte le
bombe gettate nell'ultima guerra, mi domando se il portar armi non sia
diventato un problema di coscienza non solo per l'obiettore che protesta in
nome della sua fede religiosa, ma per ciascuno di noi, in nome
dell'umanita'. Obiezione di coscienza significa letteralmente quella
situazione in cui la nostra coscienza ci vieta col suo imperativo di
compiere un'ingiustizia. Se interroghiamo la nostra coscienza, non possiamo
piu' rifiutarci di riconoscere che oggi - questa e' dunque la conclusione
cui volevo giungere - siamo, almeno in potenza, tutti quanti obiettori.

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