Ida Dominijanni Intervista Michelangelo Bovero su Norberto Bobbio

[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 ottobre 2009 col titolo "Il catalogo
del presente" e il sommario "'Viviamo in regimi autocratici, in cui le
elezioni funzionano come un rito di identificazione di una massa, locale o
nazionale, in un capo, locale o nazionale'. Intervista a Michelangelo Bovero
su attualita' e smentite del pensiero di Norberto Bobbio alla vigilia del
centenario della nascita del grande maestro"]


Norberto Bobbio e' morto il 9 gennaio del 2004 a novantaquattro anni, e ne
compirebbe cento domenica prossima se fosse vivo. I cinque anni che sono
passati dalla sua fine hanno, se possibile, ulteriormente drammatizzato
tutti i nodi del presente che Bobbio aveva evidenziato soprattutto
nell'ultima stagione del suo lavoro: le promesse non mantenute della
democrazia e lo scarto fra le democrazie reali e democrazia possibile; il
rapporto fra opacita' del potere e passivita' dei cittadini nelle "societa'
dell'applauso", come lui le definiva gia' nei primi anni '90; la forbice fra
le fortune del liberismo e le disgrazie del liberalismo nelle destre che
impugnano la bandiera della liberta', ma anche nelle sinistre moderate che
non sanno come riprendersela; l'alterno andamento della fede nei diritti
nella sinistra ex comunista che pure non cessa di proclamarla; la crisi del
diritto internazionale in cui versa il mondo globale, e la crisi del nesso
fra democrazia e diritto in cui versa cio' che resta degli stati nazionali
occidentali. Piu' che un rito alla memoria di quello che e' unanimemente
riconosciuto come l'intellettuale piu' significativo del Novecento italiano,
il centenario si presenta dunque come un'occasione di dialogo con il
pensiero vivo di un grande e piu' che mai imprescindibile maestro. Ce ne
parla Michelangelo Bovero, allievo e collaboratore di Bobbio (in comune la
Teoria generale del diritto), suo successore all'insegnamento di Filosofia
politica all'universita' di Torino, autore fra l'altro di Contro il governo
dei peggiori e Quale liberta' (Laterza, 2000 e 2004).
*
- Ida Dominijanni: Qual e' per te il senso di questo centenario?
- Michelangelo Bovero: Per quanto non sia possibile sottrarsi
all'ufficialita' e alla solennita' della circostanza, il nostro intento non
e' quello di una celebrazione accademica di Bobbio: il personaggio non si
presta, e poi non e' tempo di celebrazioni. Del resto, nel convegno che si
apre oggi c'e' un solo momento, la tavola rotonda di sabato, dedicata
direttamente a Bobbio, in particolare alla sua incidenza in varie aree
culturali del mondo. Per il resto, l'idea e' piuttosto quella di discutere
alcuni problemi di fondo del nostro tempo che nell'opera di Bobbio trovano
tematizzazione e riscontro. Che vuol dire riproporlo per quello che
effettivamente e' stato, un interlocutore della cultura politica e giuridica
internazionale. Bobbio e' stato l'intellettuale italiano piu' influente nel
mondo nella seconda meta' del Novecento, piu' di quanto lo sia stato Croce
nella prima, e la sua e' stata un'influenza non solo teorica ma anche
direttamente politica. Quando fu scritta la Costituzione spagnola, nel 1978,
la rappresentante del Psoe formulo' la sua proposta sulla base delle Lezioni
di democrazia di Bobbio. Quando Bobbio ando' in Cile, tre anni prima della
caduta di Pinochet, superando il timore di legittimare con quella visita la
dittatura e decidendo alla fine di accettare l'invito per sostenere
l'opposizione al regime, fu accolto dai resistenti con un enorme striscione
di benvenuto, un gesto politico che li metteva piu' a rischio di quanto gia'
non fossero. Potrei farti altri esempi, ma vorrei ricordare che a questa
influenza internazionale va aggiunta la popolarita' di cui godeva in Italia,
grazie anche alla sua collaborazione con "La Stampa" dal '76 in poi. Com'e'
stato detto una volta in una laudatio per Bobbio a Stoccolma, il caso di
Bobbio non e' paragonabile nemmeno a quello di un altro intellettuale
influente su tutta la scena occidentale come Habermas, il primo essendo
stato letto e amato in Italia molto piu' di quanto non lo sia il secondo in
Germania. Questa "popolarita'" di Bobbio, o meglio questo legame con il suo
pubblico, e' un dato non secondario, che ha contribuito non poco a farne una
presenza simbolica cosi' forte in Italia, un punto di riferimento
etico-politico in cui la sostanza del pensiero del filosofo e' tutt'uno con
la sostanza morale dell'uomo. Questa funzione simbolica di Bobbio non si e'
esaurita con la sua morte, anzi e' destinata a crescere in un'Italia come
quella di oggi dove manca non solo un'opposizione politica ma anche, fatte
salve alcune voci singolari, un'opposizione culturale e morale identificata
e identificabile come tale.
*
- Ida Dominijanni: Quali sono i problemi del presente pensati da Bobbio che
il convegno rimette a tema?
- Michelangelo Bovero: Lo dicono gli stessi titoli delle relazioni, che
ricalcano i principali titoli dell'opera bobbiana: Il futuro della
democrazia, L'eta' dei diritti, Il diritto nel mondo globale, Il problema
della guerra e le vie della pace, Politica e cultura... Abbiamo ancora a che
fare con questo catalogo di questioni, no? I problemi che si sono affacciati
sulla scena del mondo nell'ultima fase della vita di Bobbio - ovvero
dall'ondata neoliberista degli anni Ottanta in poi, e soprattutto dall'89 in
poi - sono ancora i nostri problemi. Con l'aggravante che si sono
incarogniti. E che il modo di porli si e' impoverito, fino a diventare
fuorviante. Bobbio sapeva vigilare su questo. Come quando, all'indomani
della caduta del Muro di Berlino, mise in guardia dal celebrare troppo
frettolosamente il funerale di Marx e del socialismo, sostenendo che
entrambi avevano ancora molto da dire. O quando sobbalzo' sentendo che
D'Alema invocava una nuova rivoluzione liberale citando Gobetti, e replico'
che il liberalismo di Gobetti non era l'iniezione liberista che voleva
D'Alema e che se la sinistra abbandonava il principio dell'uguaglianza non
sarebbe stata piu' sinistra. Profezia realizzata, a quanto pare.
*
- Ida Dominijanni: Lasciamo perdere la sinistra e parliamo della democrazia.
I problemi di oggi sono gli stessi dell'ultimo Bobbio, d'accordo. Ma anche
le soluzioni sono le stesse? C'e' qualcosa nel presente, innanzitutto nello
stato presente delle nostre democrazie, che sfida il pensiero di Bobbio,
richiamandolo ma anche revocandolo in dubbio?
- Michelangelo Bovero: Sto giusto lavorando a un libro sulla democrazia che
riattraversa Bobbio per smentirlo. La prima parte e' una teoria delle
condizioni logiche della democrazia, delineate sulla base della teoria
bobbiana delle regole del gioco: fin qui il pensiero di Bobbio funziona
perfettamente. Nella seconda parte pero' io rovescio la sua diagnosi sul
futuro della democrazia, tracciata nel suo omonimo libro dell'84: allora,
Bobbio sosteneva che nonostante tutti i limiti, le promesse mancate e i
compromessi delle democrazie contemporanee, non si poteva comunque dire che
esse fossero degenerate in stati autocratici. Oggi viceversa possiamo dirlo,
e dobbiamo. I regimi democratici attuali sono tutti, quale piu' quale meno,
autocrazie elettive, basate sulla formula della democrazia d'investitura che
e' una democrazia plebiscitaria. E a questa conclusione si arriva
precisamente applicando alle democrazie reali i parametri di Bobbio sui
prerequisiti democratici. E' proprio se prendiamo sul serio la sua teoria
della democrazia che siamo costretti a smentire la sua diagnosi sulle
democrazie di oggi.
*
- Ida Dominijanni: Quindi Bobbio, da pensatore disincantato della democrazia
come "male minore" qual era, oggi diventa paradossalmente un pensatore della
democrazia troppo ottimista?
- Michelangelo Bovero: Nell'84 Bobbio poteva ancora sostenere che non c'era
degenerazione della democrazia in autocrazia, perche' il suo parametro di
riferimento erano i totalitarismi del Novecento. Ma oggi noi dobbiamo
confrontarci con il "cittadino diseducato", il cittadino che non ha altro
dio al di fuori dell'apparire, il consumatore di televisione che non solo
non si sottrae al Grande Fratello ma lo cerca, lo schiavo fanatico che
obbedisce a capetti fanatici che gli ingiungono di espellere i diversi,
commercializzare il corpo femminile e via dicendo. Questa non e' una
generica trasformazione antropologica, e' l'esito specifico di un processo
incardinato sull'autocrazia elettiva, cioe' su modalita' di legittimazione
elettorale che vengono agite come un rito di identificazione di una massa,
locale o nazionale, in un capo, locale o nazionale. Della democrazia, in
questo modo, resta solo il nome, o i vestiti, su una sostanza tutta diversa.
In questo scenario anche Obama e' un autocrate, per quanto simpatico.
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- Ida Dominijanni: Su questo potremmo discutere: il rito di identificazione
e' lo stesso, ma i contenuti dell'identificazione cambiano e questo ha la
sua importanza. Comunque il punto e' un altro ed e' piu' radicale: se della
democrazia resta, nelle attuali autocrazie, solo il nome, quel nome va
salvato comunque?
- Michelangelo Bovero: Bobbio diceva che gli italiani sono democratici non
per convinzione ma per abitudine. Noi oggi parliamo di democrazia per
abitudine, anche se nessuna delle democrazie reali di oggi soddisfa le
condizioni della democrazia.
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- Ida Dominijanni: Insisto e provo a spiegarmi meglio. Oggi sono molte le
voci, ad esempio Tronti in Italia, Badiou, Balibar, Nancy, Ranciere in
Francia, Wendy Brown negli Usa, che denunciano spietatamente lo stato delle
democrazie occidentali e la distanza fra il nome e la cosa, cioe' fra l'idea
di democrazia e le democrazie reali. Salvo i primi due pero' nessuno mette
in discussione la validita' di quel nome. Ma se la cosa e' cosi' malmessa,
come si fa a salvare il nome? Se la democrazia e' diventata quella che e'
oggi, si puo' ancora salvare, e come? Il circolo che unisce la
legittimazione autocratica e il cittadino diseducato, ad esempio, come lo si
spezza?
- Michelangelo Bovero: Io la metterei cosi'. La democrazia - quell'insieme
di regole che aveva reso possibile una dimensione accettabile di vita
politica democratica - e' come una statua che e' stata sottoposta ad atti
vandalici. Bisogna vedere se la statua e' restaurabile - stando pero'
attenti ai cattivi restauratori. Se il problema numero uno e' il cittadino
diseducato, io credo che si debba ripartire dalla vecchia questione
dell'educazione alla democrazia: quel cittadino diseducato o maleducato
bisogna provare a rieducarlo. Ci sono un'infinita' di cose da fare per
questo. Ripartendo da questa base, forse anche la statua puo' rimettersi in
piedi.
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