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L'Attualita' del Pensiero Economico e Sociale di Helder Camara
Relazione della dott.ssa Sabina Siniscalchi al Convegno "La forza delle idee"


Monsignor Camara è stato un testimone straordinario per i giovani degli anni Sessanta, per noi che abbiamo avuto il privilegio di trarre insegnamento e coraggio dalla sua presenza, dalla sua capacità di comunicare, dal suo infinito amore per l’umanità.

Dom Helder ci ha insegnato che il primo impegno è quello contro la miseria e l’ingiustizia, entrambe tolgono dignità all’uomo, trasformandolo in “subuomo” se sfruttato e in “superuomo” se sfruttatore.

Una visione che Camara ha tratto dai testi conciliari e dalle grandi encicliche sociali di quel tempo: la Pacem in Terris di Papa Giovanni XXIII (1963) e la Populorum Progressio di Papa Paolo VI (1967). Due pietre miliari per chi, laico cattolico, sceglieva di impegnarsi per la liberazione dal bisogno e dalla paura dei popoli del Terzo Mondo, da poco usciti dal colonialismo.

Miseria e ingiustizia vanno affrontate insieme: questo è l’aspetto più attuale del messaggio di Monsignor Camara.

La globalizzazione che caratterizza la nostra epoca ha sicuramente mancato le speranze che aveva suscitato e che sono ben sintetizzate nelle parole di Renato Ruggiero, primo direttore dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (1995) “L’economia senza frontiere rappresenta un fattore di uguaglianza e la diffusione della tecnologia tende a creare ovunque pari opportunità”.

Purtroppo la globalizzazione si è sviluppata secondo direttrici che ne hanno provocato il fallimento: l’idea che lo sviluppo sociale ed umano coincida con la crescita economica, che il mercato possa regolare non solo l’andamento dell’economia, ma anche le relazioni sociali e culturali, l’idea che il privato sia più virtuoso del pubblico.

La globalizzazione ha applicato la teoria del trickle down (dello “sgocciolio”): lasciare che gli individui più forti e dinamici di una società producano ricchezza, senza preoccuparsi della sua distribuzione, infatti attraverso i meccanismi automatici del mercato essa “sgocciolerà” fino agli individui più poveri e deboli.

Purtroppo gran parte della ricchezza, che pure è cresciuta, non è “sgocciolata”, ma è rimasta nella mani di pochi.

Oggi anche il Fondo Monetario Internazionale, che pure ha sostenuto questo modello di globalizzazione, riconosce che essa ha prodotto ovunque maggiori disuguaglianze. Lo scorso ottobre l’OCSE (l’Organizzazione dei paesi più industrializzati) ha pubblicato un rapporto dal titolo significativo “Growing unequal”, che conferma l’aumento della forbice economica e salariale nei paesi membri. Il nostro paese non fa eccezione: il 10% delle famiglie controlla il 44,7% di tutta la ricchezza nazionale, mentre il 50% delle famiglie possiede il 9,7%.
Viviamo in un mondo in cui 3 multimiliardari hanno un reddito che equivale a quello di 600 milioni di uomini, donne e bambini che vivono nei Paesi più poveri.

La crisi finanziaria aggiunge problema a problema, dramma al dramma, privando ancora più persone di beni fondamentali come il cibo, il lavoro, la salute, la casa.

La Banca Mondiale ha recentemente rivisto le sue stime sulla povertà: nel 2009 ci saranno 100 milioni di poveri in più, che si aggiungeranno al miliardo e 200 milioni già censiti.
La FAO calcola che il numero degli affamati crescerà di 40 milioni.
Le ingenti risorse, stanziate dai Governi per i piani di salvataggio delle banche e delle grandi industrie, hanno già prodotto un ridimensionamento di altri capitoli del bilanci pubblici: la sanità, la scuola, la previdenza, la cooperazione internazionale.

Proprio in questa difficile congiuntura dobbiamo essere consapevoli che il futuro del mondo passa da una distribuzione più giusta delle risorse.

L’impegno per la giustizia è stato contaminato da ideologie e strumentalizzazioni, (Dom Helder diceva: “"Quando aiuto i poveri mi dicono che sono un santo, quando denuncio le cause della loro povertà dicono che sono un comunista”).

La teoria del “trickle down” e, in generale, tutto l’approccio economico neoliberista ha prodotto “una cultura dell’ingiustizia”: i diritti sono proporzionali alla ricchezza e chi non ha “successo” non merita sostegno. Ha indebolito i principi che rappresentano il fondamento della democrazia e del progresso: l’idea del bene comune, il valore della solidarietà e del mutuo sostegno, l’indissolubilità e universalità dei diritti umani.

Dobbiamo rilanciare questi valori per salvare l’umanità e il pianeta dalla distruzione.

La crisi dei nostri giorni, che genera tante paure e tanta sofferenza, può rappresentare una straordinaria opportunità, se produce veri cambiamenti nell’economia, ma anche nella cultura, nel modo di concepire il mondo e lo sviluppo.

Non c’è bisogno di inventare niente, ci sono già tante analisi e tanti studi che possono essere messi a frutto, pubblicati dalle agenzie dell’ONU, dalle organizzazioni non governative o da governi illuminati.
Oggi le Nazioni Unite parlano di Green New Deal: rilanciare lo sviluppo a partire dall’ambiente, incentivare l’uso delle energie rinnovabili, favorire l’”occupazione verde”, premiare le imprese socialmente ed ambientalmente responsabili, ridurre gli sprechi in tutta la catena della produzione, distribuzione e consumo.

Potenziare il capitale umano e sociale, investendo in istruzione e salute: i veri motori di sviluppo.
Rimettere l’occupazione dignitosa (il decent work secondo la definizione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro) al centro delle attività produttive, penalizzare le ristrutturazioni aziendali che comportano licenziamenti di massa.

Attuare tutti gli interventi fiscali, economici e finanziari che portano alla ridistribuzione delle risorse.

Intervenire con decisione sugli aspetti più rischiosi dei mercati finanziari: dai paradisi fiscali alle speculazioni sulle valute, dagli edge funds al segreto bancario.

Mettere fine all’economia di guerra; gli investimenti nel settore degli armamenti e le spese per la difesa sono aumentati paurosamente dopo l’11 settembre; tutti gli impegni per lo sviluppo, tutti i processi di pace vengono annientati dal commercio mondiale delle armi sempre più fiorente.

Ridare riconoscimento e vigore alle sedi multilaterali di negoziato, secondo il principio della più ampia rappresentatività.

Eleggere a modello economico, ma anche culturale, i comportamenti virtuosi dell’economia civile e della finanza etica, basati sull’idea di mutualità, condivisione e giustizia sociale.

Un’agenda di cambiamento reale, che non ci rimanda al tempo dell’utopia, ma alle scelte possibili di oggi. Un’agenda che Dom Helder appoggerebbe con tutto il suo coraggio e il suo entusiasmo.
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