L'idea di Omnicrazia nel Pensiero di Aldo Capitini
di Pietro Polito

Dal sito dell'Associazione nazionale Amici di Aldo Capitini
(www.aldocapitini.it) riprendiamo il seguente testo di Pietro Polito,
presentato come relazione a un convegno su "La figura e l'opera di Aldo
Capitini" svoltosi a Pisa nel 1997, e poi pubblicato nella prestigiosa
rivista fondata da Piero Calamandrei "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre
1998, alle pp. 125-143 (segnaliamo che una versione rivista e' poi divenuta
il capitolo V, "Per una critica dell'idea di omnicrazia", alle pp. 123-145
del bel volume di Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001). Pietro Polito (Forio d'Ischia, 1956), ricercatore al Centro studi Piero
Gobetti e all'Universita' di Torino, fa parte della redazione di "Teoria
Politica" e collabora con varie riviste, tra cui "Mezzosecolo" e "Nuova
Antologia"; ha pubblicato numerosi saggi sul pensiero politico novecentesco,
con particolare riguardo agli autori democratici, radicali e pacifisti del
Novecento italiano, ed ha curato diverse opere di Norberto Bobbio. Tra le
opere di Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001.



Si puo' guardare all'idea di omnicrazia, che e' un'idea prevalentemente
politica, da piu' punti di vista. In primo luogo, distinguendo la parola dal
concetto, si tratta di chiarire l'origine e il significato della parola e,
poi, senza alcuna pretesa di completezza, seguire il rilievo progressivo che
il tema viene assumendo nel pensiero e nell'azione di Aldo Capitini, che a
poco a poco giunge a porre l'omnicrazia al centro sia dei suoi impegni
politici sia della sua proposta filosofico-religioso-politica. Nel pensiero
di Capitini, infatti, la tematica politica si trova strettamente connessa
con quella filosofica e religiosa al punto che si puo' scorgere quasi una
corrispondenza tra i concetti impiegati nell'una o nell'altra (1). Pertanto,
passando dalla parola al concetto, la critica politica non puo' non essere
preceduta e accompagnata da una critica volta a definire il fondamento
filosofico e religioso dell'omnicrazia. Quanto alla critica politica, il
problema e' quello di individuare il posto che l'omnicrazia occupa tra le
idee politiche novecentesche: si tratta, cioe', di chiarire i lineamenti di
una posizione che lo stesso Capitini in un inedito del '64 presenta come
"una teoria politica che chiamerei piu' che democratica, 'omnicratica', in
vista dell'effettivo potere di tutti su tutto" (2).
*
La parola e il concetto
Etimologicamente omnicrazia significa "potere" (dal greco: kratos) di
"tutti" (dal latino: omnis, omne). Si tratta di una parola inconsueta
perche' e' composta di due elementi: omni (variante, oggi rara, di onni),
che e' il primo elemento di parole composte di origine latina o di
formazione moderna (onnipotente, onnisciente); crazia, che, invece, e' il
secondo elemento di parole composte derivate dal greco o formate
modernamente (democrazia, aristocrazia, plutocrazia). A differenza di
democrazia, la parola omnicrazia non e' entrata nel linguaggio politico e
tanto meno nel linguaggio comune. Non la si incontra nei dizionari di
politica e nemmeno nei dizionari della lingua italiana (3). Con una sola
eccezione: il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore
Battaglia, che segnala sia l'aggettivo onnicratico sia il sostantivo
omnicrazia. Battaglia presenta l'omnicrazia come una "voce dotta", di cui
da' l'etimologia e informa che si tratta di un neologismo, che, "secondo il
pensiero di Aldo Capitini", significa "partecipazione di tutti al potere e
allo Stato" (4).
Sulla base delle notizie fin qui raccolte, si puo' affermare che la storia
della parola comincia con Capitini. Ma quando la parola e il concetto
cominciano a entrare nel suo pensiero e linguaggio politico? In quali
contesti ricorre l'espressione omnicrazia? e' un tema degli anni piu' tardi
oppure se ne trovano tracce gia' in precedenza?
Per rispondere a queste domande puo' essere utile un rapido excursus sulla
parola omnicrazia, e su quelle derivate, omnicratico, omnicraticamente, nei
principali scritti di Capitini. Senza dubbio si puo' dire che il tema
dell'omnicrazia diventa dominante nell'ultimo periodo. Infatti, salvo
errore, la parola non compare negli scritti degli anni Trenta e Quaranta.
Per la prima volta la s'incontra nella Lettera di religione 32, che reca la
data del 25 gennaio 1956 (5), in cui Capitini risponde alle critiche mosse
da "un mio amico" al libro Religione aperta, uscito quell'anno. La tesi
sostenuta da "un mio amico" e' che il socialismo e' una teoria
autosufficiente che non abbisogna di alcuna aggiunta religiosa e che,
inoltre, secondo "un mio amico" ma contrariamente a quanto pensava Capitini,
era in corso di attuazione nei cosiddetti "paesi socialisti" (6).
Nella risposta Capitini ribadisce che, per lui, "la sintesi fra i tre
elementi: socialismo, liberalismo, nuova vita religiosa, e' stata sempre
viva", perche', a suo giudizio, non basta "affidarsi a un riformismo di tipo
socialdemocratico": "al riformismo di questo genere - osserva - faccio le
obbiezioni che il socialismo e' visto, nel campo nazionale o internazionale,
in modo insufficiente; che vi manca un fondamento religioso di realta' di
tutti" (7). Di qui - da tale insufficienza - l'esigenza di un ideale
politico, che poggiasse su un fondamento religioso: "nel mio pensiero (ho
detto: omnicrazia) e' l'uomo religioso, post-umanistico, che vuole vivere
unito con tutti nella massima solidarieta', anche al di la' della morte, e
percio' tende a costituire una societa' nuova in una realta' che abbia
consumato tutti i vecchi limiti, compresi il dolore e la morte (realta'
liberata); questa e' la sua apertura" (8).
Capitini ricorda che egli aveva gia' svolto in precedenza una critica
religiosa del socialismo nei libri: Elementi di una esperienza religiosa
(1937); La realta' di tutti (1948); Nuova socialita' e riforma religiosa
(1949). Ma, come si e' gia' detto, l'espressione omnicrazia non ricorre
negli scritti di questo periodo. Cio', naturalmente, non significa che il
tema e il concetto non siano gia' presenti nella sua riflessione. Esiste,
infatti, come vedremo meglio in seguito, uno stretto nesso tra il
liberalsocialismo sostenuto durante la lotta antifascista e la Resistenza e
l'ideale dell'omnicrazia. Sul piano linguistico, e' da osservare che in
Nuova socialita' e riforma religiosa, che raccoglie gli scritti politici
liberalsocialistici di Capitini, inserito in un contesto religioso e
sociale, s'incontra l'aggettivo omnicratico. Nel capitolo "Una dimensione
religiosa per la riforma in Italia" Capitini presenta l'"amore" e la
"realta' di tutti" come gli strumenti di liberazione della rivoluzione
religiosa, "i quali hanno il potere di tramutare l'uomo e la sua sostanza"
(9) e indica due "forme di lavoro in questa direzione": l'una consiste
nell'"operare per azioni politico-sociali di decentramento omnicratico dei
potere"; l'altra nel "celebrare religiosamente da se' o in gruppo, in
appositi momenti di raccoglimento o di riunione, questo capovolgimento che
sta avvenendo mediante i valori e l'uso degli strumenti di liberazione"
(10).
Quanto agli anni Cinquanta, oltre che nella gia' ricordata Lettera di
religione 32, nel 1958 Capitini ricorre alla parola "omnicrazia" per
distinguere la sua posizione da quelle genericamente democratiche. Sembra
avere qualche dubbio riguardo all'uso del termine. Tuttavia, rispondendo a
un'inchiesta di "Milano Sera" a proposito di "Democrazia e classe
dirigente", osserva: "Se fosse possibile, a evitare gli equivoci delle
imperfettissime democrazie finora attuate, sostituirei la non bella parola
di omnicrazia" (11).
Ma e' negli anni Sessanta - quando il tema acquista un rilievo centrale nel
pensiero e nell'azione di Capitini - che espressioni come omnicrazia,
omnicratico, omnicraticamente diventano frequenti soprattutto nei suoi
scritti politici e autobiografici ma, come vedremo, il tema ricorre anche
negli scritti filosofici e religiosi. I primi riferimenti s'incontrano nelle
Lettere di religione 54 e 55: nell'una (15 agosto 1963) l'omnicrazia viene
presentata come il fine della rivoluzione nonviolenta (12), nell'altra e'
associata alla prospettiva di una "riforma 'omnicratica'" (13).
La prima ampia riflessione sull'omnicrazia e' costituita dall'inedito Teoria
politica e struttura sociale dell'omnicrazia, ricordato all'inizio (14). E'
importante richiamare l'attenzione sulla data in calce al manoscritto: 10
gennaio 1964. Per Capitini, infatti, il 1964 e' un anno significativo dal
punto di vista dell'impegno politico diretto. Il lavoro avviato nel 1952 a
Perugia col Centro di coordinamento internazionale della nonviolenza e
soprattutto la famosa Marcia per la pace e la fratellanza dei popoli
(Perugia-Assisi, 24 settembre 1961) cominciano a dare i loro frutti. Il 1964
e' l'anno in cui fonda "Azione nonviolenta", l'organo dei Movimento
nonviolento fondato nel '61, ed e' anche l'anno in cui inizia le
pubblicazioni il foglio mensile "Il potere e' di tutti". A partire gia' dal
titolo, l'inedito del 1964 rappresenta una significativa anticipazione della
sua opera piu' importante sull'argomento, Omnicrazia, compresa nel volume Il
potere di tutti, uscito postumo nel 1969, in cui Capitini "approfondisce la
ricerca sistematica del nesso omnicrazia, realta' di tutti, compresenza,
nonviolenza" (15).
Negli anni che lo separano dalla morte, avvenuta il 19 ottobre 1968, il
problema dominante dei suoi scritti diventa il problema dei potere.
L'omnicrazia, il potere di tutti, appunto, e' la risposta che Capitini da'
al problema del potere, ritenuto "il problema dei nostro tempo".
Alla luce di quanto abbiamo appena detto si spiega e si comprende, dunque,
perche' Capitini pone il tema dell'omnicrazia al centro dei suo interesse
per la politica.
A suo modo, egli e' stato un uomo politico anche se non un politico di
professione. Instancabile suscitatore, animatore, organizzatore,
protagonista di decine e decine di azioni, individuali e collettive, piu'
che un politico fu un uomo d'azione. Per lui agire politicamente significava
agire socialmente (e l'accento e' da porre piu' sul sociale che non sul
politico). Nel principale dei suoi scritti autobiografici, Attraverso due
terzi di secolo (16) - composto a pochi mesi dalla morte e uscito postumo
nel 1968 ne "La cultura", la rivista diretta da Guido Calogero -, scrive:
"Ma un campo, ancor piu' strettamente connesso con la profezia e
l'apostolato religioso, e' quello della trasformazione della societa', per
cui, rifiutando ogni carica offertami nel campo politico, ho piegato la
politica, e l'interesse in me fortissimo per essa, alla fondazione di un
lavoro per la democrazia diretta, per il potere di tutti o omnicrazia (come
la chiamo)" (17).
Ai fini del nostro discorso mi sembra rilevante sottolineare come nell'idea
di omnicrazia giungano a unita' i principali impegni politici di Capitini.
Si puo' scorgere una linea di continuita' tra le prime iniziative subito
dopo la Liberazione a Perugia nel 1944 e le ultime avviate nel nuovo clima
di rinnovamento che col Sessantotto scuote anche l'Italia; tra le
discussioni che avevano luogo nel Centro di orientamento sociale (18), e
quelle promosse dal foglio mensile, "Il potere e' di tutti", che, come si e'
gia' detto (sono parole di Capitini), "propugna la democrazia diretta (o
omnicrazia come la chiamo)" (19). "Il lavoro per i Cos, per il pacifismo
integrale, per la proprieta' pubblica aperta a tutti e creante continue
eguaglianze - scrive in Attraverso due terzi di secolo -, non sono che
effettuazioni dell'interesse per l'omnicrazia" (20).
*
Il fondamento filosofico e religioso dell'omnicrazia
Un'efficace sintesi del nesso che lega strettamente piano filosofico, piano
religioso, piano politico nel pensiero di Capitini ci e' stata data da
Norberto Bobbio. "Il concetto filosofico della realta' di tutti, trasferito
sul piano della riflessione politica - scrive Bobbio -, diventa l'ideale
della societa' di tutti, cioe' di una societa' completamente
de-istituzionalizzata. Al tema religioso della compresenza corrisponde sul
piano politico il tema dell'omnicrazia, che e' una risposta ulteriore e piu'
radicale all'esigenza posta ma non risolta dalla democrazia (sia
rappresentativa sia diretta)" (21). D'altra parte lo stesso Capitini pone
l'omnicrazia al centro, oltre che, come si e' visto, dei suoi impegni
politici, della sua proposta filosofico-religioso-politica: "Il tema
[dell'omnicrazia] si riconduce [...] a quella riforma che io propugno in
nome dello sviluppo della 'realta' di tutti'" (22).
Forse bisognera' dedicare una maggiore attenzione a un'espressione
ricorrente in modo quasi ossessivo nel singolarissimo linguaggio di
Capitini. Mi riferisco alla parola "tutti", che ritroviamo in alcune formule
come "realta' di tutti", "societa' di tutti", "democrazia di tutti", "potere
di tutti". Nel paragrafo intitolato La realta' di tutti, che non a caso apre
il saggio Omnicrazia, scrive: "Una volta si e' parlato tanto di Dio, oggi si
parla sempre piu' di 'tutti'. L'idea di 'tutti' e' servita per aprire
riforme religiose e rivoluzioni politiche e sociali" (23).
Altrove, riferendosi al periodo dell'opposizione al fascismo, Capitini
ricorda che "questa idea di 'tutti' mi prese sempre piu'" (24) e la presenta
come la "direzione" di ricerca che gli consenti' di andare oltre Croce, il
quale - osserva in Antifascismo tra i giovani - "restava estraneo alla
direzione dei mio lavoro, di capovolgere l'esistenzialismo dall'io al tu e
di intendere la compresenza di tutti alla produzione dei valori: egli vedeva
il Tutto incombere in ogni punto della storia, non i Tutti; era piu'
preparato a capire Dio che i Tutti, come religiosamente permanenti e
compresenti" (25).
Schematicamente possiamo dire che la considerazione filosofica dei tutti si
esprime nella realta' di tutti, la considerazione religiosa nella
compresenza, quella politica nell'omnicrazia. I tre modi di considerare i
tutti - filosofico, religioso, politico - si configurano come diversi
aspetti di una analoga sfida: "l'apertura a una realta' di tutti, liberata
dalla finitezza, il cui superamento e', si', gia' nella coscienza
appassionata della finitezza stessa, ma procede e sbocca escatologicamente
in una realta' di tutti, dove anche il malato, lo sfinito, il morto sono
compresenti e cooperanti con noi nella produzione dei valori piu' alti"
(26).
Sul piano piu' strettamente filosofico, in La compresenza dei morti e dei
viventi, l'omnicrazia e' intesa come una reazione contro "l'oligarchia della
ragione": "Quando si sia accettato, sul fondamento della prassi religiosa
dell'apertura a tutti, che la ragione meglio detta compresenza, si estende a
tutti, e tutti gli esseri fa partecipi del piu' alto, che e' la cooperazione
eterna ai valori, e' evidente che cessa ogni motivo per cui debba esserci
una rivolta di cio' che e' bollato per irragionevole contro cio' che presume
se' ragionevole, perche' la ragione e' riconosciuta come trovantesi, pur
invisibile e non pienamente consapevole, in tutti, e allora il moto non e'
piu' di rivolta contro un'oligarchia, essendosi stabilita, invece,
un'omnicrazia, per cui il moto e' interno, di diventare sempre piu'
consapevoli della cooperazione ragionevole della compresenza" (27).
Come si e' detto, il problema filosofico della realta' di tutti corrisponde
al problema religioso della compresenza: "Insomma, era il problema religioso
di trovare un posto per il malato, l'esaurito, colui che la civilta'
attivistica butta via come inutile ormai e improduttivo; e il posto e' nella
compresenza dei viventi e dei morti dove anche lo sfinito intimamente mette
la sua parte preziosa" (28). E, a sua volta, il problema religioso della
compresenza corrisponde al problema politico dell'omnicrazia. Scrive
Capitini in Attraverso due terzi di secolo: "Per me [l'interesse per
l'omnicrazia] e' intrinsecamente connesso con la religione che, per me, e'
piu' della compresenza che di Dio; e percio' la compresenza di tutti
(religiosamente dei viventi e dei morti) deve continuamente realizzarsi
[...] nell'omnicrazia, e chi e' centro della compresenza, e' centro anche di
omnicrazia; ed e' [l'interesse per l'omnicrazia] intrinsecamente connesso
con la nonviolenza, di cui e' l'idea politico-sociale" (29).
Il nesso tra il piano filosofico-religioso e quello politico emerge con
chiarezza da quella sintesi della teoria della compresenza che Capitini ci
offre in Educazione aperta. Mi limito a ricordare il brano fondamentale: "La
metafisica dell'Uno puo' generare l'autoritarismo; la metafisica della
compresenza genera la democrazia anzi l'omnicrazia (potere di tutti)" (30).
Giustamente Fabrizio Truini ha osservato che, per Capitini, "l'omnicrazia e'
basata sulla teoria della compresenza e mira a superare sul piano politico
le conseguenze sia della concezione hegeliana sia di quella marxista, che
dominano il mondo" (31). Agli occhi di Capitini, il pensiero di Hegel e
quello di Marx sono le due piu' grandi espressioni storiche della
"metafisica dell'uno": lo Stato etico (Hegel), la Classe onnipotente (Marx):
"La soluzione dell'omnicrazia e' diversa dall'una e dall'altra. Pone come
superiore al mondo degli interessi particolari la compresenza, che e' la
realta' di tutti e dei valori in un infinito accrescimento, e promuove non i
modi della guerra e dell'autoritarismo dall'alto, ma i modi della
nonviolenza e della permanente valorizzazione dal basso come assemblea e
produzione dei valori" (32).
*
L'idea di omnicrazia
Passiamo ora a esaminare il posto che l'omnicrazia occupa tra le idee
politiche novecentesche. In estrema sintesi si puo' dire che l'omnicrazia,
da un lato, si oppone alle idee politiche che nel corso dei Novecento si
sono risolte storicamente in una ipostatizzazione dei potere: specie il
fascismo e il nazismo, ma anche il comunismo; dall'altro - direbbe
Capitini -, si aggiunge nel solco delle idee politiche - liberalismo,
democrazia, socialismo - che, al contrario, possono essere interpretate come
le tappe storiche progressive di un processo di allargamento dei potere a
tutti.
In primo luogo, quindi, la critica politica omnicratica si esprime nella
critica del potere. Negli scritti di Capitini la critica negativa prevale
sulla critica positiva del potere. I lineamenti istituzionali del "potere di
tutti" restano alquanto imprecisati (tornero' su questo punto nelle
conclusioni). Mentre impareggiabile per continuita' ed efficacia si rivela
la critica negativa del "potere che viene dall'alto" in ogni sua forma.
Gli strali piu' ricorrenti della polemica capitiniana riguardano, da un
lato, la Chiesa cattolica, dall'altro, lo Stato. La polemica contro il
potere religioso e' rivolta contro il Dio-potenza in nome del Dio di tutti
della religione aperta; la polemica contro il potere politico e' rivolta
contro lo Stato-potenza in nome dei potere di tutti. Ha scritto Bobbio: "Vi
e' un Dio-potenza delle religioni tradizionali e uno stato potenza delle
societa' storiche, anche di quelle piu' avanzate, che e' il vero idolo da
abbattere. Dio e stato secondo Capitini debbono essere di tutti" (33).
Le societa' storicamente piu' avanzate sono le societa' democratiche, che,
pero', anch'esse non si sono liberate completamente della presenza dello
Stato-potenza. Il capitolo piu' importante della critica politica
dell'omnicrazia riguarda il rapporto tra la democrazia e il potere di tutti.
Ma la critica che Capitini conduce della democrazia non va confusa con la
critica degli scrittori conservatori in nome di un senso piu' profondo
dell'unita' sociale, o degli scrittori reazionari che ai "vizi" della
democrazia preferiscono una presunta bonta' delle dittature. Anzi, per
Capitini, l'omnicrazia e' l'esatta antitesi della dittatura in quanto
rappresenta contemporaneamente un'affermazione, integrazione e sviluppo
della democrazia.
La posizione di Capitini emerge chiaramente dal giudizio sull'esperienza
storica del fascismo. Nel saggio Apertura e dialogo (1963), egli descrive
l'"apertura all'omnicrazia contro il fascismo" come la prima di una serie di
aperture che attraverso l'"apertura contro stati di incivilta'" e
l'"apertura ai singoli tu", si conclude nell'"apertura alla realta' di
tutti" (34). Per Capitini, storicamente il fascismo ha rappresentato l'inter
ruzione violenta del processo di formazione di una democrazia "sana",
"cioe', aperta internamente a tutti": "Tale democrazia in Italia era
lentamente in formazione avanti al fascismo, ma non affatto sicura. Nel suo
urto contro il fascismo, violento senza il potere e violento con il potere,
si disfece, ma ebbe il tempo di dare alcune figure di eroi, o vittime che
assumevano cosi' la sofferenza, la testimonianza. Qualche italiano si
accorse di questo; la democrazia moriva bene, e morir bene, vuol dire
rinascere" (35).
Quando si riferisce alla sua idea di democrazia, Capitini e' attento sempre
a specificare: democrazia di tutti, per distinguerla dalla sua degenerazione
che chiama: democrazia di amministrazione (36). Contrariamente a quanto
riteneva, per esempio, Croce, al fascismo, secondo Capitini, avrebbe dovuto
succedere la prima e non la seconda: "Il Croce - si legge in Antifascismo
tra i giovani - disse che il liberalsocialismo non era altro che il
socialismo democratico e non si rese conto della differenza, nel suo fondo,
del punto a cui volevano arrivare alcuni di noi, e che non era il semplice
risuscitamento degli strumenti della democrazia parlamentare, insieme con
riforme 'sociali'" (37).
Gia' negli anni Trenta e Quaranta, quindi, nella concezione di Capitini,
scopo del liberalsocialismo non era il semplice ritorno alle condizioni
preesistenti al fascismo bensi' una trasformazione radicale, da lui
riassunta nella formula democrazia di tutti: "Nel regime fascista [...] vidi
la chiusura nei riguardi dell'autonomia della coscienza, della possibilita'
di strutture socialistiche della democrazia di tutti. [...] Ora venivo
costruendo il mio liberalsocialismo [...]. Qui 'apertura' significava
sostituzione, alla dittatura, di strutture socialistiche al servizio della
maggiore liberta' dell'individuo e del suo sviluppo nella permanente
liberta' di informazione e di critica; l'autonomia della coscienza
concretata in forme di autogoverno; una costante e ampliantesi democrazia di
tutti" (38).
L'ispirazione primigenia del liberalsocialismo torna nella considerazione
dei rapporti tra democrazia e omnicrazia. Come si e' gia' detto, Capitini si
considera un teorico dell'omnicrazia piu' che della democrazia. E' evidente
che quella tra democrazia e omnicrazia non e' solo una differenza di
carattere linguistico. Con l'idea di omnicrazia Capitini vuole rimandare
chiaramente a un altro ideale di societa' - il potere di tutti -, che non si
e' inverato storicamente nelle democrazie attuali. E' vero che storicamente
la societa' democratica ha rappresentato il superamento delle societa'
militari e religiose. Infatti, se il valore che ispirava le societa'
militari e' "l'obbedienza pronta e cieca"; quello che ispira le societa'
religiose e' "la formazione della fede", il valore della democrazia e' "lo
spirito critico": "Una societa' democratica - scrive Capitini - che stia
immobile, si corrompe e si muta: essa ha bisogno di rinnovarsi continuamente
dal di dentro; la sua salute sta nel movimento, e il movimento e' impresso
dal libero giuoco delle proposte riformatrici" (39).
Per questa sua caratteristica, lo abbiamo gia' accennato, la democrazia puo'
essere considerata come la tappa storica piu' prossima all'avvento di una
societa' omnicratica. "Lo sviluppo della democrazia, - scrive in Il potere
di tutti - in quanto cerca di allargare il potere al maggior numero
possibile di individui, superando le difficolta' conseguenti alle diversita'
di razza, di classe sociale, di ricchezza, di coltura, tende al potere di
tutti ma non lo raggiunge effettivamente" (40).
Tra le due forme di societa' non c'e' contrasto, nel senso che la democrazia
puo' avvicinare e preparare l'omnicrazia, mentre l'omnicrazia e' lo
svolgimento e l'inveramento della democrazia. In poche parole: l'omnicrazia
viene, verra', dopo la democrazia (41).
*
Dalla democrazia al "potere di tutti"
A un certo punto della sua vita, - nell'inedito del '64 Teoria politica e
struttura sociale dell'omnicrazia - Capitini lascia trapelare la convinzione
che stia sopraggiungendo "un momento storico" in cui attraverso un'azione
riformatrice consapevole sarebbe diventato possibile influire sulle
strutture politiche e sociali contemporanee in vista dell'effettivo potere
di tutti su tutto. Ma come? Capitini avanza quattro proposte riformatrici
che caratterizzano l'omnicrazia intesa come una "teoria politico-religiosa
che fonda nella 'comunita' aperta' questa sintesi di compresenza e di
centro" (42). Si tratta di quattro proposte che si aggiungono alla
democrazia.
Le prime tre aggiunte in senso lato possono essere considerate di carattere
istituzionale.
La prima aggiunta e' diretta allo sviluppo di una sempre maggiore estensione
del controllo dal basso. Dopo avere ricordato ancora una volta l'esperienza
dei Centri di orientamento sociale, Capitini scrive: "Sono tornato da allora
piu' volte a proporre la costituzione di decine di migliaia di centri
sociali per l'esame pubblico dei problemi con periodiche riunioni, come
preparazione e attuazione del controllo dal basso" (43). li suo
atteggiamento verso l'istituto parlamentare non va confuso col generico
antiparlamentarismo che in diverse situazioni storiche accomuna l'estrema
sinistra all'estrema destra. Per Capitini si tratta di andare oltre la
democrazia parlamentare, conservandone gli istituti che la
contraddistinguono, a cominciare da quella istituzione fondamentale della
democrazia che e' il parlamento: "Non sono d'accordo - scrive nel saggio
Omnicrazia - con i distruttori del sistema rappresentativo che le democrazie
occidentali hanno costruito; ma ne vedo i limiti. Bisogna - continua - esser
vissuti sotto una dittatura per capire che il libero funzionamento della
rappresentanza parlamentare e' qualche cosa di positivo [...] Non accetto la
frase del 'cretinismo parlamentare'" (44).
Pur ribadendo l'utilita' del parlamento, Capitini ne vede i limiti. Quali?
Un primo limite e' che la lotta politica in parlamento e' piu' facilmente
influenzabile "da parte di interessi particolari e settari". Un altro limite
e' che attraverso il parlamento si privilegia la formazione delle "persone
colte" che "hanno altri modi per esercitate una qualche influenza pubblica"
piu' che l'"educazione critica delle moltitudini popolari, quelle a cui
bisognerebbe tenere di piu'" (45).
Ma il limite principale e' che il parlamento, che pure e' dal basso per la
sua derivazione dall'elezione, "rischia di diventare "dall'alto", cioe'
dalla capitale, da un cerchio di conoscenze speciali e di interessi
riservati a pochi". Di qui l'esigenza "che esso ha bisogno di essere
integrato da moltissimi centri sociali, assemblee deliberanti o consultive
in tutta la periferia. Questa integrazione e' dal basso" (46). L'istituto
fondamentale dell'omnicrazia non e' il parlamento ma l'assemblea: "Il
principio che l'assemblea ha il potere - scrive - e' valido, perche' e' cio'
che assomiglia piu' di ogni altra cosa alla realta' di tutti che e' dal
basso e omnicomprensiva" (47).
La seconda proposta e' quella di aggiungere al metodo democratico il "valore
del metodo nonviolento". Manca un lavoro sulla teoria capitiniana della
nonviolenza che meriterebbe di essere oggetto di una indagine analitica e di
un lavoro a parte (48).
Per quanto riguarda il rapporto con l'omnicrazia, la nonviolenza viene
intesa da Capitini come un metodo piu' avanzato del metodo elettorale
perche', nel momento stesso in cui viene praticato, fa vivere l'esigenza
concreta del potere di tutti. A suo giudizio era ormai maturo il tempo per
cogliere il valore dei metodo nonviolento applicato a tutte le lotte: "Negli
ultimi decenni - osserva - usi cospicui di tale metodo sono state le lotte
per la liberazione dell'India e dei negri degli Stati Uniti. Le tecniche dei
metodo nonviolento insegnano il valore della collaborazione e della
noncollaborazione, del consenso e del dissenso, diffondendo a tutti i
cittadini la convinzione che si puo' sempre fare qualche cosa, e che si
debbono attuare larghe solidarieta', infondono in tutti i cittadini la
persuasione di possedere un potere di influenza, di controllo e di azione
sulla societa', e preparano percio' la trasformazione della societa' di
pochi in societa' di tutti" (49).
La terza aggiunta e' quella del "centro". La societa' omnicratica si
configura come una "comunita' aperta" (50), basata su "una struttura sociale
di tipo liberalsocialistico" in cui "acquista rilievo una posizione di
grandi conseguenze: la posizione del 'centro'" (51). E' stato ben detto che
l'utopia di Capitini e' lo "stato senza partiti". Alla critica dei limiti
dei parlamento, egli affianca una analoga critica dei limiti del partito,
che si rivela uno strumento inadeguato di "lavoro per la societa' di tutti".
In Nuova modalita' e riforma religiosa si legge: "I partiti esistono per il
'potere', per acquistarlo o per sostenerlo. Da cio' la loro ragione d'essere
e tutti i loro limiti, il machiavellismo, la disciplina interna, le gelosie,
il settarismo, il patriottismo di partito. La conquista del potere e'
l'assoluto per il partito. Il partito e' il mezzo e il potere e' il fine. Ma
qui sorgono gravi difficolta'. Puo' il mezzo essere diverso dal fine?" (52).
Con l'espressione "nuova socialita'" Capitini intende che "la partecipazione
dei cittadini alla discussione e alla decisione dei problemi collettivi sia
tanto intensa da non rendere necessaria l'intermediazione dei gruppi
organizzati": se il fine della politica non e' il potere ma la "nuova
socialita'" la forma della partecipazione non e' il partito ma il "centro",
"che e' non societario ma comunitario, non si schiera contro altri partiti,
ma si tiene aperto all'iniziativa di tutti, non impone dogmi ma discute
problemi, non conosce privilegi di tessera ne' poteri di funzionari" (53).
"Il centro - scrive Capitini - e' aperto al mondo circostante, non delimita
e chiude la sua azione, non registra cio' che riceve, va oltre gli iscritti,
gli iniziati, i battezzati, gli aderenti, i fruenti delle stesse idee o
degli stessi beni. Al posto della societa' circoscritta che esclude trova
posto il centro che da' e non sa piu' dove arriveranno le onde che partono
da esso" (54).
Vediamo ora la quarta aggiunta: l'aggiunta religiosa. Essa consiste nel
progressivo riconoscimento del nesso tra piano religioso e piano politico,
tra la compresenza e il problema politico e sociale, da cui scaturisce una
idea di comunita' "che - osserva Capitini - parra' insolita nelle
trattazioni giuridiche, politiche, sociali": "Della comunita' fanno parte
non soltanto i cittadini sani e attivi e producenti, ma anche i malati, gli
inerti, i disfatti e i morti. Possiamo essere aperti non soltanto ai
viventi, ma anche agli esseri prigionieri dei limiti del dolore e della
morte, ai crocifissi dalla realta' nella forma che essa ha attualmente; e
tale apertura a quel martirio, a quella testimonianza dell'insufficienza
della realta' attuale, fa accertare in noi una virtu' piu' profonda e
autentica, che e' quella della compresenza di tutti" (55).
Oltre ai limiti politici, per Capitini, la democrazia presenta dei limiti
religiosi. Tra l'omnicrazia e la democrazia egli intravede una differenza
fondamentale, qualitativa. Da una pagina del saggio Omnicrazia, dedicata al
problema dei potere, traggo un vero e proprio catalogo dei difetti, delle
possibili involuzioni della democrazia attuale. La democrazia - "nelle forme
finora realizzate - si vale di alcuni strumenti che possono non essere
accettati": 1. "attribuisce alla maggioranza un potere che qualche volta e'
eccessivo rispetto ai diritti delle minoranze"; 2. "fa guerre di Stato
contro Stato"; 3. "conferisce alle polizie il potere di torturate (come
avviene in tutti i paesi) e molte volte un soverchio intervento all'ordine
pubblico"; 4. "non e' sufficientemente aperta a cio' che potranno dare o
vorranno essere i giovanissimi e i posteri"; 5. "preferisce strumenti
coercitivi e repressivi a strumenti persuasivi ed educativi"; 6. "si lascia
sopraffare dalle burocrazie trascurando il servizio al pubblico anonimo"; 7.
"concentra il potere preferendo l'efficienza al controllo, e finisce col non
considerare sufficientemente i mezzi e le loro conseguenze, pur di
raggiungere un fine" (56). Ma, perche', in ultima istanza, la democrazia non
realizza effettivamente il potere di tutti? Ecco la risposta di Capitini:
"la democrazia conserva riferimenti al procedere della natura, l'omnicrazia
tende a essere sempre meglio attuatrice della compresenza. Per la democrazia
la vitalita', la forza, talvolta la costrizione, la rivoluzione e la guerra
o la guerriglia hanno il loro posto; per l'omnicrazia la compresenza si
presenta come valore costante e l'individuo unito alla compresenza ha una
'forza' maggiore di tutte le forze" (57).
E' una risposta che rivela la profonda ispirazione religiosa e non politica
del suo pensiero.
*
Una speranza
Non si puo' tacere l'indeterminatezza dell'omnicrazia dal punto di vista
istituzionale. Maurizio Griffo ha posto in evidenza la "sottovalutazione del
momento istituzionale" che condurrebbe Capitini, almeno dal punto di vista
pratico, a una marcata valutazione negativa delle istituzioni liberali: "e'
un fatto - continua Griffo - che a Capitini rimase estraneo il valore che lo
Stato di diritto e le istituzioni liberali, proprio nei loro aspetti
inerziali, possono avere". Se fu sempre molto sensibile all'importanza delle
concrete liberta' politiche, da quella di parola e di espressione a quella
di riunione, e al loro effettivo esercizio, tuttavia - osserva ancora
Griffo - Capitini "non vedeva il valore positivo del meccanismo
istituzionale e amministrativo che l'esercizio regolato di quelle liberta'
impone" (58). Forse e' una critica troppo severa, che ci sembra almeno in
parte smentita dalla polemica di Capitini contro "i distruttori dei sistema
rappresentativo". Ma e' vero che non e' sul terreno del meccanismi
istituzionali, delle regole dei gioco, delle norme fondamentali che sembra
porsi l'aspirazione a un potere di tutti: "quello che chiamava 'il potere di
tutti' - qui concordiamo con Griffo - resta un'esigenza intima da affermare
piu' che un articolarsi di procedure" (59).
Non a caso, infatti, piu' volte il pensiero di Capitini e' stato considerato
una profezia (60). Personalmente, nell'idea di un potere di tutti preferisco
scorgere piuttosto la prefigurazione di una speranza (61). Giova ripetere
ancora una volta che, per Capitini, il problema politico e'
indissolubilmente legato al problema etico-religioso. Il problema
dell'avvento di una societa' integralmente democratica - l'omnicrazia - e'
imprescindibile dal problema della formazione, nel linguaggio di Capitini,
della tramutazione, dell'uomo democratico, sic et simpliciter dell'uomo. La
"riforma omnicratica" mira a far nascere congiuntamente un "uomo nuovo" e
una "nuova societa'". Si spiega cosi' la centralita' dell'educazione, intesa
come informazione e formazione, acquisizione e produzione di problemi e di
valori, processo permanente e totale che coinvolge l'essere e tutti gli
esseri. Il luogo in cui questo progetto educativo si realizza e' il
"centro", che forma all'azione nonviolenta e prepara all'esercizio effettivo
del potere di tutti. Perche' cio' sia possibile il singolo come la societa'
devono farsi "centro", aprirsi alla trasformazione-rivoluzione della realta'
attuale, limitata, insufficiente, chiusa.
Nessuna trasformazione istituzionale sarebbe possibile se non e'
accompagnata da una rivoluzione interiore che trovi la propria origine nella
"coscienza produttrice dei valori". Piu' che come un progetto politico,
l'omnicrazia sembra configurarsi, ripeto, come una speranza, come un ideale
morale cui dovrebbero tendere gli uomini democratici. Particolarmente
significativa mi sembra la risposta di Capitini ai dubbi di una lettrice
circa il titolo della rivista, "il potere e' di tutti": "Il nostro titolo -
scrive Capitini - ha evidentemente un valore paradossale, o per meglio dire,
di realta' indubitabile [...] non ancora reale, ma che ispira seriamente il
nostro lavoro, e percio' possiamo dire in certo modo che e' [...] gia'
cominciata. Se dicessimo sia di tutti, sarebbe una specie di ordine; se
diciamo: e' di tutti, significhiamo una nostra persuasione su cui costruire"
(62).
Il saggio Omnicrazia e' percorso dalla contraddizione tra "un oggi
drammatico e un domani sperabile" e si conclude con la prefigurazione di
"una speranza" (63). Nell'idea di un potere di tutti e' racchiusa la
speranza, la persuasione, che l'uomo possa liberarsi dai "gruppi di
condizionamento" in cui si trova costretto: "lo Stato, l'Impresa, la Natura"
(64). Non e' un atto di fede. Direi, piuttosto, che il "potere di tutti"
puo' essere inteso e accolto come un ideale-limite, appunto, come una
speranza che potrebbe accomunare laici e religiosi.
*
Note
1. Opportunamente si e' parlato di una "unita' profonda e sostanziale del
pensiero capitiniano". Traggo il riferimento dalla Introduzione di G.
Cacioppo a Il messaggio di Aldo Capitini. Antologia dagli scritti, Manduria,
Lacaita, 1977, p. 10. Presentando l'articolazione in cinque sezioni
dell'antologia, Cacioppo osserva che essa "e' estremamente artificiosa"
perche' in ciascuna sezione confluiscono motivi delle altre e, inoltre,
"pagine importanti per un determinato argomento si trovano in opere che
sembrerebbero dover parlare di tutt'altro" (ibidem). L'antologia comprende
le sezioni: 1. Il pensiero religioso, a cura di L. Schippa; 2. La
riflessione filosofica, a cura di A. Granese; 3. La proposta della
nonviolenza, a cura di P. Pinna; 4. L'elaborazione politica, a cura di G.
Cacioppo; 5. La concezione educativa, a cura di A. Savelli; oltre alle
testimonianze di F. Berti Arnoaldi, G. M. Bertin, W. Binni, N. Bobbio, D.
Dolci, A. L'Abate, E. Spano Nivola, B. Talluri, G. Zanga, e alla
Bibliografia, a cura di A. Stella, fondamentale per gli studi capitiniani.
Segnalo i volumi: Scritti sulla nonviolenza, a cura di L. Schippa, Perugia,
Protagon, 1992, e Scritti filosofici e religiosi, a cura di M. Martini,
Perugia, Protagon, 1994, che raccolgono alcune delle principali opere di
Capitini. Si tratta, purtroppo, di opere difficilmente reperibili. Inoltre
e' da segnalare che manca ancora una raccolta degli scritti politici,
nonche' degli scritti pedagogici e di quelli letterari.
2. Mi riferisco al saggio Teoria politica e struttura sociale
dell'omnicrazia, un manoscritto di due carte (quattro facciate), datato "1O
gennaio 1964" e recante in calce la firma: "Aldo Capitini, prof. di
pedagogia e filosofia morale nell'Universita' di Cagliari, direttore del
Centro di Perugia per la nonviolenza". Il saggio e' articolato dallo stesso
Capitini in quattro paragrafi. Vedilo ora in "Il Poliedro", VI, n. 17-18,
gennaio-giugno 1989, pp. 47-49, introdotto da una nota di L. Merlo Pich e di
chi scrive, Aldo Capitini: per un potere di tutti, pp. 43-46. In questo
stesso testo Capitini chiarisce che la sua e' "una teoria politico
religiosa". Per Fabrizio Truini, l'omnicrazia e' "una originalissima teoria
etico-politica" (Aldo Capitini, Edizioni Cultura della Pace, Firenze, 1989,
p. 159). Sul tema vedi anche N. Martelli, Aldo Capitini, educatore di
nonviolenza, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1988, pp. 73-110.
3. Non e' presente ne' nella Enciclopedia italiana di Scienze, Lettere e
Arti, piu' nota come la Treccani, in cui la voce: Capitini, Aldo compare
nell'aggiornamento 1961-1978. vol. IV, p. 367 (l'autore e' Livio
Sichirollo); ne' nella piu' recente Enciclopedia Europea dell'editore
Garzanti; ne' nel Lessico universale della lingua italiana.
4. S. Battaglia, Grande dizionario della lingua Italiana, Utet, Torino, vol.
IX, p. 988.
5. A. Capitini. Lettera di religione 32 - Per un'aggiunta religiosa in
risposta a alcune critiche, in Id., Il potere di tutti, Introduzione di N.
Bobbio, Prefazione di P. Pinna, Firenze, La Nuova Italia, 1969. Le Lettere
di religione si trovano alle pp. 189-448, con una nota di L. Schippa, pp.
185-187. La Lettera di religione 32, alle pp. 317-322.
6. Per "un mio amico" - si ricordi che ci stiamo riferendo a una discussione
avvenuta all'inizio del 1956 - non esistono dubbi sul fatto che "nell'Urss,
nelle democrazie popolari e in Cina sta nascendo veramente l'uomo nuovo
[...] che sa di dover continuamente lottare con la natura con le sole armi
della ragione e del lavoro [...] l'uomo che sta prendendo nelle sue mani il
destino suo e della societa'" (A. Capitini, Il potere di tutti cit. , p.
318).
7. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 318.
8. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 318-319.
9. A. Capitini, Nuova socialita' e riforma religiosa, Torino, Einaudi, 1950,
p. 182. Sull'"amore", pp. 184-187; sulla "realta' di tutti", pp. 187-190.
10. A. Capitini, Nuova socialita' e riforma religiosa, cit., p. 205. Gli
scritti liberalsocialistici di Capitini sono stati raccolti nel volumetto
Liberalsocialismo, introduzione di P. Giacche', Roma, edizioni e/o, 1996.
11. A. Capitini, Risposte a un questionario, in Id., Aggiunta religiosa
all'opposizione, Firenze, Parenti, 1958. p. 86. L'inchiesta riguardava altre
due questioni: "Civilta' e guerra"; "Socialismo e cristianesimo".
12. A. Capitini, Lettera di religione 54 - Alcune ragioni del metodo
nonviolento, in Il potere di tutti, cit., p. 408.
13. A. Capitini, Lettera 55 - Il Centro si associa alla pressione dal basso,
in Il potere di tutti, cit., p. 413.
14. Quanto all'origine di questo scritto sembra inutile fare congetture.
Come si legge nella presentazione a cura di Merlo Pich e di chi scrive,
"esso non sembra concepito per una delle due riviste, quanto piuttosto per
essere letto in una delle tante assemblee cui frequentemente partecipava.
Lasciano pensare a questa ipotesi sia il tono didascalico sia il carattere
schematico e sintetico con cui Capitini riassume i punti fondamentali del
suo pensiero" (L. Merlo Pich, P. Polito, Aldo Capitini: per un potere di
tutti, cit., p. 44).
15. L. Schippa, Nota a Omnicrazia, A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p.
57. A proposito della composizione dell'opera, Schippa ricorda: "Omnicrazia
il potere di tutti e' l'ultima opera di Aldo Capitini, alla quale si era
dedicato nella primavera-estate dei 1968. Lessi il manoscritto durante il
suo ricovero in ospedale nei giorni precedenti l'intervento chirurgico; in
tale occasione mi rivelo' il proposito di rivedere gli ultimi capitoli
durante la convalescenza che non ci fu" (lbidem). Da un punto di vista piu'
strettamente filosofico e religioso, il tema dell'omnicrazia viene svolto
anche in quello che a ragione viene considerato il suo libro piu'
filosofico, La compresenza dei morti e dei viventi, Milano, Il Saggiatore,
1966, in particolare nel paragrafo, intitolato: "L'oligarchia della ragione
e l'omnicrazia", pp. 122-125; e nel capitolo 5, Teoria della compresenza, in
Educazione aperta, Firenze, La Nuova Italia, 1967, vol. I, pp. 82-96 (vedi
di seguito il par. 2, Il fondamento filosofico e religioso dell'omnicrazia).
16. Vedilo ora nella nuova edizione di A. Capitini, Italia nonviolenta
(1949), Centro studi Aldo Capitini, Perugia 1981 (da cui cito) e da ultimo
in A. Capitini, Scritti sulla nonviolenza, cit., pp. 3-17. E' stato
osservato che Attraverso due terzi di secolo e' un "compendio di vita e di
idee", che, per la prematura scomparsa dell'autore, "ha preso il posto di
una lunga e breve epigrafe o di un conciso (e anche in questo mirabile)
testamento spirituale" (P. Giacche', Introduzione a A. Capitini, Opposizione
e liberazione. Scritti autobiografici, a cura di P. Giacche', Roma, Linea
d'ombra, 1991, p. 8). Di carattere autobiografico sono anche: Antifascismo
tra i giovani, Trapani, Celebes, 1966 e il capitolo Apertura e dialogo,
compreso in Educazione aperta, cit., vol. I, pp. 6-38.
17. A. Capitini, Attraverso due terzi di secolo, in Id., Italia nonviolenta,
cit., p. 21.
18. Vedi A. Capitini, Origine, carattere e funzionamento dei Cos, in Nuova
socialita' e riforma religiosa, cit., p. 235 ss., e Id., I Centri di
orientamento sociale (Cos), in id., Educazione aperta cit., vol. II, pp.
253-266.
19. A. Capitini, Attraverso due terzi di secolo, in Id., Italia nonviolenta,
cit., p. 17. Segnalo la ristampa anastatica de "Il Potere e' di tutti",
periodico mensile, I (1964) - V (1968), Introduzione di L. Schippa, Indici
di L. Belli, Perugia, Regione dell'Umbria, 1978. Gli articoli di Capitini
apparsi sulla rivista sono stati compresi in Id., Il potere di tutti, cit. ,
pp. 151-182.
20. A. Capitini, Attraverso due terzi di secolo, in Id., Italia nonviolenta,
cit., p. 21.
21. N. Bobbio, Religione e politica (1969), in Id., Maestri e compagni,
Firenze, Passigli, 1984, p. 283.
22. A. Capitini, Attraverso due terzi di secolo, cit., p. 17. La realta' di
tutti e' uno dei grandi temi filosofici di Capitini. Vedi innanzitutto La
realta' di tutti, Pisa, Ed. Tornar, 1948; poi Trapani, Edizioni Celebes,
1965, con una Prefazione, che reca la data: "Perugia, 22 novembre 1944" .
Inoltre, vedi anche il par. VI, La realta' di tutti, in L'atto di educare,
Firenze, La Nuova Italia, 1951, pp. 42-50 e il par. 1, La realta' di tutti,
in Educazione aperta, Firenze, La Nuova Italia, 1968, vol. II, pp. 3-8.
23. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 59.
24. A. Capitini, Apertura e dialogo, in Id., Educazione aperta, cit., p. 9.
25. A. Capitini, Antifascismo tra i giovani, cit., pp. 78-79.
26. A. Capitini, Apertura e dialogo, in Id., Educazione aperta, cit., p. 10.
27. A. Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, cit., p. 122.
28. A. Capitini, Apertura e dialogo. in Id., Educazione aperta, cit., p. 10.
29. A. Capitini, Attraverso due terzi di secolo, in Id., Italia nonviolenta,
cit., p. 21. "Omnicrazia, cioe' potere di tutti, e' il neologismo coniato
appositamente per definire la proposta politica omogenea alla teoria della
nonviolenza" (E Truini, Aldo Capitini, cit., p. 158).
30. A. Capitini, Teoria della compresenza, in Id., Educazione aperta, cit.,
vol. I, p. 88.
31. F. Truini, Aldo Capitini, cit., p. 160.
32. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 104. Sul rapporto tra
compresenza e omnicrazia, vedi i paragrafi: "Le compresenza al posto dello
Stato etico e della Classe universale" (pp. 103 ss.); "Costruire
l'omnicrazia dalla persuasione della nonviolenza" (pp. 105 ss.); "il
'momento' tra la natura e la compresenza" (pp. 120 ss.); "L'integrazione
nella compresenza e nell'omnicrazia" (pp. 132 ss.).
33. N. Bobbio, Religione e politica in Aldo Capitini, in Id., Maestri e
compagni, cit., p. 283.
34. A. Capitini, Apertura e dialogo, in Id., Educazione aperta, vol. I,
cit., p. 10.
35. A. Capitini, Antifascismo tra i giovani, cit., p. 40.
36. A. Capitini, Nuova socialita' e riforma religiosa, cit., p. 20.
37. A. Capitini, Antifascismo tra i giovani, cit., p. 101.
38. A. Capitini, Apertura e dialogo, in id., Educazione aperta, vol. I.,
cit., pp. 8-9. Sul tema vedi P. Bagnoli, Il liberalsocialismo, Firenze,
Nuova Guaraldi, 1981; A. d'Orsi, Aldo Capitini dall'antifascismo alla
nonviolenza, in AA. VV. , La cultura della pace dalla Resistenza al Patto
Atlantico, a cura di M. Pacetti, M. Papini, M. Sarcinelli, Bologna, il
lavoro editoriale, 1988, pp. 38-74; P. Polito, Il liberalsocialismo di Aldo
Capitini, in AA. VV. , I dilemmi del liberalsocialismo, a cura di M. Bovero,
V. Mura, F. Sbarberi, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1994, pp. 165-188.
39. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale dell'omnicrazia, cit.
40. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 64.
41. In una lettera a Tristano Codignola del 27 novembre 1946, Capitini
affermava che "c'e' da temere che il riformismo diventi un socialismo e un
illuminismo annacquati, che non contino nulla, che siano quotidianamente
disposti a compromettersi", "mentre c'e' da affermare [...] la
postdemocrazia e il postcomunismo, che i migliori democratici e i migliori
comunisti vogliono". Cito da A. Capitini, T. Codignola, Lettere 1940-1968, a
cura di T. Borgogni Migani, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p. 33.
42. A. Capitini, Teoria politico e struttura sociale dell'omnicrazia, cit.,
pp. 47-48.
43. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale dell'omnicrazia, cit.,
p. 47.
44. A. Capitini, Il Potere di tutti, cit., p. 88.
45. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 88.
46. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 88.
47. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 90. Quello dell'assemblea, e
dei suoi limiti, e' un tema capitiniano, quant'altri mai, che meriterebbe di
essere discusso nel contesto di una rivisitazione storica degli anni
Sessanta e Settanta. Sull'argomento egli ha scritto "pagine dove sono
anticipate tante idee che divennero attuali dopo il '68, che e' l'anno in
cui mori'" (N. Bobbio, Transizione e tramutazione, in AA. VV., Nonviolenza e
marxismo, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 119).Qui mi limito a un'altra
citazione: "L'assemblea non e' infallibile, puo' sbagliare, ma il concreto
atteggiamento e' di stare dentro per mostrarle i suoi sbagli; e purtroppo
l'insufficienza umana si vede in questo evitare di farsi presente in
un'assemblea con il proprio dissenso costruttivo. Chi e' aperto deve sempre
collocarsi nelle assemblee, perche' esse sono qualitativamente superiori
all'autorita' del monarca" (Il potere di tutti, cit., pp. 89-90).
48. Le linee fondamentali della sua "filosofia della persuasione" e della
sua etica della nonviolenza sono gia' prefigurate negli Elementi di
un'esperienza religiosa del '37. Dopo gli Elementi, egli torna ripetutamente
e ininterrottamente sulla nonviolenza, che e' un tema comune a tutte le sue
opere. Inoltre essa e' l'argomento specifico di due suoi libri degli anni
Sessanta: La nonviolenza oggi (Milano, Edizioni di Comunita', 1962) e Le
Tecniche della nonviolenza (Milano, Feltrinelli, 1967). Inoltre, a essa egli
dedico' decine e decine di articoli composti in diversi periodi a partire
dai secondi anni Quaranta ai primi anni Sessanta, raccolti in Italia
nonviolenta (1949) e nel volume A. Capitini, Scritti sulla nonviolenza,
cit., che comprende anche la terza parte di Il problema religioso attuale,
Bologna. Guanda, 1948, che e' dedicata alla nonviolenza, Le lettere di
religione, gia' comprese in Il potere di tutti, cit., pp. 185-448, oltre al
libro di documenti e testimonianze sulla Marcia della pace (Perugia-Assisi,
27 settembre 1961), In cammino per la pace, Torino, Einaudi, 1962. Sono da
vedere anche le pagine che Capitini dedica alla nonviolenza in Religione
aperta, 1964, pp. 141-162.
49. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale dell'omnicrazia, cit.,
pp. 47-48.
50. Capitini usa anche l'espressione "societa' aperta" che pero' sviluppa in
una direzione diversa da quella religiosa di Henri Bergson e da quella
razionalistica di Karl Popper. Secondo Franco Bozzi, la societa' aperta di
Capitini non e' "artifizio di ispirati [il modello bergsoniano] o di
tecnocrati [il modello popperiano], ma lavoro di popolo, in nome di un
socialismo sempre progettato e sempre rimesso in dubbio, instancabilmente
riesaminato, e proprio per questo finalmente liberatorio" (La societa'
aperta nel modello di Capitini, "Mondoperaio" , a. 35, n. 4, aprile 1982, p.
121).
51. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale dell'omnicrazia, cit.,
p. 48.
52. A. Capitini, Nuova socialita' e riforma religiosa, Torino, Einaudi,
1950, p. 130
53. N. Bobbio, Religione e politica in Aldo Capitini, in Maestri e compagni,
cit., p. 267.
54. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale delíomnicrazia, cit.,
p. 48
55. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale dell'omnicrazia, cit.,
p. 48.
56. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 64.
57. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., pp. 64-65.
58. M. Griffo, Rileggere Capitini. in "Il Poliedro" , a. VI, n. 17-18,
gennaio-giugno 1989, p. 39.
59. M. Griffo, Rileggere Capitini, cit., p. 39.
60. "La profezia capitiniana non e' descrizione di quello che sara' ma
proposta di una realta' che potra' essere se si lavorera' in una certa
direzione, in cui egli ritiene si debba lavorare. Il futuro non e' da
scoprire ma da inventare e realizzare" (G. Cacioppo, Introduzione a Il
messaggio di Aldo Capitini, cit., pp. 18-19).
61. Di seguito, riprendo spunti gia' presenti in L. Merlo Pich, P. Polito,
Aldo Capitini: per un potere di tutti, cit., pp. 44-46.
62. A. Capitini, Il Potere e' di tutti e Azione nonviolenta, in "Il Potere
e' di tutti", a. III, n. 7-8-9, luglio-agosto-settembre 1966, p. 4, firmato:
"A. C.". Capitini risponde a Eugenia Bertolazzi, che aveva scritto alla
redazione del giornale una lettera di commento all'articolo di L.
Capuccelli, Potere, opinione pubblica e democrazia, uscito nel numero
precedente 3-4-5-6, marzo-giugno 1966, pp. 1-2, non firmato. Vedi nel n.
7-8-9 l'articolo di Capuccelli, Una lettera sul potere, che riassume e
commenta la lettera di Bertolazzi (p. 2).
63. Vedi i parr. "Un oggi drammatico e un domani sperabile" e "Una
speranza", in Il potere di tutti, cit., pp. 61-62 e 143-147.
64. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., pp. 142-147.


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