Critica del Totalitarismo e Nuova Socialita' nel Pensiero di Capitini
di Ornella Faracovi

Il seguente testo di Ornella Faracovi, apparso originariamente
in "Dimensioni", n. 56-57, dicembre 1990, e disponibile nel sito
www.aldocapitini.it]


Aldo Capitini fu, come e' noto, un avversario fermo e coerente del fascismo.
Passato sufficientemente indenne attraverso quel "patriottismo scolastico",
misto di nazionalismo, di impeti carducciani, di retorica dannunziana e
militaristica, nel quale avrebbe successivamente individuato il retroterra
ideologico della scuola italiana dei primi del secolo (1), era approdato fin
dall'epoca della prima guerra mondiale ad una coscienza umanitaria e
antinazionalistica, dalle aperture socialisteggianti. Piu' tardi avrebbe
potuto scrivere di non aver mai aderito al fascismo, pur avendolo visto
sorgere, ed anzi di essere rimasto sempre rigorosamente lontano da quelle
"occasioni fasciste" che aveva visto coinvolgere coetanei e conoscenti,
anche non volgari (2).
La sua formazione culturale era stata lenta e difficile; approdato con la
passione dell'autodidatta alla maturita' classica, era stato ammesso nel
1924, a venticinque anni, alla Scuola Normale di Pisa: li' aveva completato
la propria preparazione letteraria, svolgendo una tesi su Leopardi con
l'amato maestro Attilio Momigliano (3). Assistente volontario dello stesso
Momigliano, era rimasto presso la Scuola Normale, divenendone segretario nel
1930, su proposta del direttore della prestigiosa istituzione pisana,
Giovanni Gentile.
Nell'ambiente della Normale, a contatto con studenti e professori
antifascisti, ed in particolare in rapporto di amicizia e collaborazione con
Claudio Baglietto, l'antifascismo di Capitini si era rafforzato nelle
premesse teoriche e nelle implicazioni etiche, trovando una prima
espressione nella stesura di fogli ciclostilati, fatti circolare
clandestinamente fra i giovani.
*
La posizione cosi' raggiunta ebbe modo di manifestarsi pubblicamente nel
1932, quando Capitini rispose con un rifiuto a Giovanni Gentile, che lo
invitava a prendere la tessera del partito fascista. Questo gesto gli costo'
la perdita del posto di segretario (4), e lo costrinse a vivere
modestamente, per lunghi anni, di lezioni private.
Rientrato a Perugia nella casa del padre, piccolo impiegato comunale,
Capitini si dedico' instancabilmente alla formazione e diffusione di una
coscienza antifascista, che di li a pochi anni avrebbe preso corpo nel
movimento liberalsocialista. Gli orientamenti di questo movimento, nel quale
confluirono anche elementi dell'antifascismo liberale e gobettiano, furono
da lui espressi nel manifesto Liberalsocialismo, redatto nel 1937 insieme
con Guido Calogero; un testo cui si affianca il fondamentale volume Elementi
di un'esperienza religiosa, pubblicato in quello stesso anno, grazie
all'aiuto di Benedetto Croce, presso l'editore Laterza.
Per la sua attivita' antifascista, Capitini fu infine arrestato e rinchiuso
per qualche mese, insieme a Calogero e ad altri compagni, nel carcere
fiorentino delle Murate.
Il nucleo teorico dell'antifascismo capitiniano, che investe tutti gli
aspetti dell'ideologia e del regime (5), e' costituito dalla identificazione
del fascismo come forma di totalitarismo, che subordina la libera attivita'
spirituale, e la stessa vita personale, al punto di vista dello stato
fascista, concepito "come un tutto, un assoluto che ha poteri illimitati"
(6). La nozione di totalitarismo svolge fin dagli anni trenta un ruolo
centrale anche nella critica dell'esperienza sovietica e dell'ideologia
comunista, conosciuta attraverso il contatto con l'antifascismo comunista.
*
Capitini, che cita assai raramente Marx, prende posizione nei confronti del
comunismo essenzialmente in rapporto al modello sovietico e all'ideologia
propria dei militanti comunisti: se gia' nel 1937 parla di crisi del
marxismo, e' per identificare quest'ultimo senz'altro come "il principio
motore dell'attuale comunismo russo" (7).
Il giudizio sul comunismo e' dunque giudizio sull'URSS; e la caratteristica
propria del modello sovietico e' quella di dar vita a "una soluzione
totalitaria, in cui non si distingua piu' fra pubblico e privato, tra
politica ed economia". E' un modello nel quale "manca plasticita' e liberta'
di ricerca specialmente nel campo filosofico, etico e religioso" (8); esso
nasce da una "assolutizzazione della sfera economico-politica", e reca il
marchio di una "faciloneria materialistica", che identifica nella
trasformazione economica "il bandolo della matassa della realta'".
Ma cio' che specifica il totalitarismo comunista e' il collegamento che esso
stabilisce fra la presa del potere e l'instaurazione di una futura, nuova
socialita'; il far dipendere dalla dittatura del proletariato, e per esso
del partito che pretende di rappresentarlo, l'avvento del futuro "regno
della liberta'". Proprio questo richiamo alla dittatura costituisce, secondo
Capitini, il carattere essenziale del comunismo sovietico, il suo nucleo
centrale (9), in esso radica la sua improponibilita', che nasce dalla
mancata messa a fuoco del rapporto fra mezzi e fini della trasformazione.
Su questo punto la posizione di Capitini e' netta e definitiva, senza
ripensamenti: non puo' esservi incongruenza fra i mezzi e i fini dell'azione
volta al rinnovamento, poiche' l'uso di mezzi incompatibili finisce per
modificare e stravolgere i fini; la violenza, la coercizione, la dittatura,
non sono mezzi per il raggiungimento della liberta'. "Dobbiamo pur vivere
queste poche ore o pochi anni, esplicare al massimo la nostra fede e i
nostri compiti, e se, invece, diciamo a noi stessi: lasciate che venga
un'ondata di materialismo, di dittatura, di economicismo di massa, lasciate
che trionfi il regno della necessita', cosi' dovra' essere per decenni e
forse per secoli; poi verra' il regno della liberta'; questo ragionamento
non puo' essere accettato da chi vede nella produzione e nella affermazione
del valore spirituale il centro della realta'" (10).
Il fondamento filosofico della critica capitiniana del totalitarismo
fascista, che subordina la persona allo stato, e di quello sovietico, che
stravolge il rapporto fra mezzi e fini, puo' essere individuato in "un certo
moralismo kantianeggiante e antistituzionale", in quel "teismo razionale di
tipo spiccatamente etico e kantiano", che costituisce il riferimento
essenziale dell'elaborazione teorica di Capitini negli anni della Normale.
Il richiamo a Kant aveva definito allora il terreno sul quale era nato
l'avvicinamento a Baglietto, studioso di Heidegger fra i primi in Italia,
assistente a Pisa di Armando Carlini fino al 1932, prima del volontario
esilio in Svizzera (11).
"Nel campo rigoroso del pensiero - scrive Capitini, rievocando il sodalizio
con Baglietto - eravamo in sostanza kantiani fino al teismo, con una
distinzione netta fra realta' e valore" (12). Altrove aggiunge di essere
stato, gia' prima di leggere Croce - che peraltro considero' sempre un
riferimento imprescindibile - "da molti anni un libero religioso,
implicitamente un kantiano con una prevalente attenzione alla finitezza
dell'uomo" (13).
Kant, dunque, come alternativa all'idealismo dominante; ma un Kant ritrovato
attraverso una sensibilita', non priva di venature esistenzialistiche, al
tema del limite, della finitezza dell'uomo; quella stessa sensibilita' che
avvicino' Capitini ai testi di Michelstaedter, dal cui lessico assunse, per
farne un tema centrale della propria elaborazione, il termine "persuaso"
(14).
Non che Capitini non riconosca alcuni debiti nei confronti della filosofia
che domina l'ambiente italiano degli anni venti e trenta, il neoidealismo
gentiliano. In uno dei suoi lavori filosoficamente piu' impegnativi, il
Saggio sul soggetto della storia, del 1947, chiarira' decisamente il proprio
collocarsi dalla parte della filosofia del soggetto, dell'idealismo
soggettivo, contro l'oggettivismo antico; e si mostrera' consapevole di aver
tratto proprio da Gentile lo stimolo ad approfondire il tema dell'atto,
dell'iniziativa spirituale, intesa come principio assoluto. "Quanto all'Atto
di Gentile, io sono tra quelli che hanno sentito il fascino di quel
concentrare tutto qui, per tutto rifare in un totale impegno", scrive ad
esempio in Educazione aperta (15).
Ma l'idealismo gentiliano gli sembra poi venir meno alle proprie premesse
etiche, all'accentuazione dei motivi dell'iniziativa spirituale, nel momento
in cui diventa esaltazione del fatto, anziche' richiamo al valore; esso gli
appare percio' divenire un "falso idealismo, che naturalizza lo spirito, in
quanto lo concepisce come 'realta'", come fatto, anche se definito "farsi"
(16). Nel momento in cui l'accento viene posto sugli atti nei quali si
manifesta la vita dello spirito, si ottiene una sorta di sacralizzazione dei
fatti, e quindi anche dell'efficacia, del successo, della forza; si cade in
una forma di "facile storicismo, giustificatore del fatto compiuto,
accoglitore della realta' della potenza, seguace di cio' che da astratto
ideale si fa movimento di moltitudini, peso concreto nella storia,
istituzione, governo" (17). Uno storicismo nel quale converge anche l'opera
di Croce, maestro di antifascismo, punto di riferimento della migliore
gioventu' italiana, ma troppo pronto a identificare il reale col reale, ad
accettare realisticamente il primato della forza, a scorgere in tutto cio'
che comunque si afferma - come scrisse Guido Calogero - "una provvidenziale
epifania della liberta'" (18).
*
L'identificazione idealistica fra reale e razionale finisce per giustificare
l'accaduto, e sfocia nella accettazione del primato della forza. Il recupero
del richiamo kantiano al dover esser convince invece Capitini della
necessita' di tornare a distinguere con nettezza tra fatti e valori.
"Io vedevo chiaro che la liberta' ha altra origine dai fatti della
situazione". Nelle questioni di fatto, il condizionamento della realta' e'
insormontabile: se voglio mangiare, devo tener conto di cio' che la realta'
mi offre, e posso dover accettare un cibo invece di un altro, che
preferirei. Non cosi' nel caso della liberta' come liberta' di informazione
e di critica, di associazione e di espressione, di proposte e di controllo,
essa e' invece un "principio che debbo calare nella realta'". Non posso
affermare di dover impedire l'espressione o la critica, per il fatto che
cio' e' richiesto dalla realta'. La realta', infatti, "non ha esigenze di
tal genere verso di me, e deve soltanto darmi il campo, l'occasione, la
materia, perche' vi applichi, se mi riesce, il principio della liberta'"
(19).
L'alterita' del valore rispetto al fatto, la non derivabilita' del
dover-essere dall'essere, costituiva il primo dei Punti principali, stesi da
Capitini, insieme con Baglietto, sui tavoli della Normale.
L'affermazione che apriva quel testo era di una esattezza sorprendente,
cosi' insolita in una tradizione come quella italiana, da sempre attenta
alle suggestioni del realismo politico, autorevolmente riaffermato anche da
Croce: "La realta' non importa nulla quando si faccia altra questione che
non sia di fatto... Importa quello che e' meglio fare, quello che si deve
fare (il meglio, il bene, il valore). Che si trova pensandoci: la decisione
avviene in sede morale, caso per caso, secondo leggi generali (ma per vedere
se il singolo caso rientra nella legge, devo decidere sul caso particolare)"
(20).
*
La posizione etico-politica di Capitini scaturisce dunque dalla distinzione
fra essere e dover essere, e conseguentemente dal rifiuto del primato dei
fatti, primo fra essi quel "fatto assoluto" che sono la forza e il potere.
Nasce di qui il rifiuto del fascismo, con il suo culto della decisione,
dell'efficacia, del successo, che sono fatti, non valori, e il suo
contrabbandare una particolare istituzione, lo stato fascista, come massima
incarnazione della vita dello spirito, che e' invece tensione infinita,
sforzo mai concluso di superamento del limite.
Di qui, anche, la critica al comunismo, per il suo far dipendere il dover
essere, la nuova socialita', da un elemento di fatto e di forza, la
dittatura del proletariato.
Di qui, infine, la critica ai partiti, portata avanti con tanta coerenza da
indurre Capitini a tenersi fuori dal Partito d'Azione, nel quale
confluirono, dopo la caduta del fascismo, la maggior parte degli aderenti al
movimento liberalsocialista: "I partiti esistono per il 'potere', per
acquistarlo o per sostenerlo. Da cio' la loro ragione d'essere, e tutti i
loro limiti, il machiavellismo, la disciplina interna, le gelosie, il
settarismo, il patriottismo di partito. La conquista del potere e'
l'assoluto per il partito. Ma qui sorgono gravi difficolta'. Puo' il mezzo
essere diverso dal fine? E se il fine e' il potere ma esercitato per il bene
di tutti, risponde la preparazione che si riceve nel partito, chiusa ed
esclusiva, a questo termine, aperto e universale? Quanto piu' i partiti sono
militarmente organizzati, centralisticamente disciplinati, tanto minori
garanzie daranno di difendere e promuovere la liberta', la tolleranza,
l'aperto sviluppo di tutti" (21).
*
Il rifiuto dello storicismo, del realismo politico, delle soluzioni
totalitarie, non induce pero' Capitini a isolare l'ideale dal reale,
confinandolo nella dimensione della trascendenza.
Il valore non dipende dal fatto, non e' immanente al fatto, ma nemmeno vive,
definito una volta per tutte, in una dimensione di assolutezza, cio' che
porterebbe come corollario la rinuncia a modificare una realta' che non
potrebbe comunque mai accogliere il valore, e dovrebbe essere accettata
cosi' come e'. Il valore scaturisce al contrario dalla riflessione e dalla
decisione morale, volta a volta personalmente rinnovata. Sono la riflessione
e la decisione morale che determinano il valore; esso dunque non e' gia'
dato, non ha la forma del comandamento, della prescrizione positiva. Di
nuovo, dunque, Kant; e kantiano e' quel senso religioso della morale, che
Capitini senti' tanto profondamente, in parte anche riprendendo le
suggestioni del Gesu' Cristo e il cristianesimo di Martinetti (22).
Ma il richiamo al dover essere, a cio' che e' meglio fare, e si ritrova
"razionalmente", ed e' "atto morale", si sgancia in Capitini dal dualismo
fra mondo fenomenico e realta' noumenica e parallelamente da ogni
pregiudiziale pessimismo riguardo alla realizzabilita' del valore. Se Kant
ha ragione di censurare coloro che scartano un programma, adducendo "il
vergognoso e troppo misero pretesto della sua inattuabilita'" (23), va
affermata la fiducia nella possibilita' di rendere il valore sia pur sempre
soltanto parzialmente, in un rapporto di infinita tensione.
L'immanentismo, dunque, come idea regolativa; come compito infinito, mai
come dato; come fine al quale indirizzarsi, cominciando da subito, anche da
soli.
*
"Mi vengono a dire che la realta' e' fatta cosi, ma io non accetto", scrive
Capitini (24); e subito aggiunge che questa non accettazione non deve
tradursi in rinuncia, ne' in ribellismo sterile, ma deve calarsi in opere e
in comportamenti che consentano la tramutazione, per quanto piccola e
modesta essa sia, della realta'. La distinzione tra fatti e valori sfocia
cosi nella messa in questione del fatto, nell'impegno attivo a modificarlo;
il compimento dell'iniziativa morale non e' rinviato ad un inesistente al di
la', fuori della storia, e' invece reso stringente e obbligatorio qui e ora,
nel mondo.
"C'e' un'unica realta', con cui, qui ed ora, debba fare i conti" (25). Non
si tratta di costruire utopie. "Io non dico - leggiamo in una pagina
straordinaria degli Elementi - fra poco o molto avremo una societa' che
sara' perfettamente non violenta, regno dell'amore che noi potremo vedere
con i nostri occhi. Io so che gli ostacoli saranno sempre tanti, e
risorgeranno forse sempre, anche se non e' assurdo sperare in un certo
miglioramento. A me importa fondamentalmente l'impiego di questa mia
modestissima vita, di queste ore o di questi pochi giorni; e metter sulla
bilancia intima della storia il peso della mia persuasione, del mio atto,
che, anche se non e' visto da nessuno, ha il suo peso alla presenza e per la
presenza di Dio" (26). Non dunque un'etica di pura testimonianza, come
quella alla quale sembro' approdare infine Baglietto, quando in una lettera
ad un amico scrisse: "Ognuno deve andare per la sua via, fare quello che
dopo avervi ben pensato, gli pare giusto, e poi quello che ne verra' sara'
sempre bene. Nessuno ha il dovere di arrivare a persuadere gli altri delle
sue idee. Si starebbe freschi! Qui puo' essere per me di importanza molto
limitata e particolare quello che idee da me accettate possono produrre in
altri. In senso assoluto, anzi, io non ho da occuparmi affatto di cio'"
(27). Un'etica, invece, che ebbe e volle avere efficacia politica, poiche' i
principi della noncollaborazione, della nonviolenza, della nonmenzogna, che
da essa Capitini ricavo', anche in rapporto alla scoperta e alla meditazione
dell'opera di Gandhi (28), costituirono altrettante indicazioni per
l'opposizione antifascista prima, per i motivi pacifisti del dopoguerra poi
(29).
*
Il recupero della distinzione fra essere e dover essere diventa dunque in
Capitini il punto di appoggio per un attivo impegno di trasformazione, di
modificazione dell'esistente per quanto modesti e limitati possano essere i
risultati immediati dei tentativi che da esso scaturiscono.
E' un impegno tenace, ostinato, che chiude pregiudizialmente la porta allo
scoraggiamento e alla rinuncia. "I nostri ideali non derivano dai fatti -
scrive Capitini nel giugno del 1940, nel momento buio del crollo della
Francia davanti all'attacco nazista -, ma tendono ad essi, a modificarli, a
innalzarli; e se questi non rispondono subito e si volgono ostilmente,
l'anima resta viva ad aver ragione, pur vedendo rinviate le scadenze credute
prossime. Non c'e' situazione avversa in cui non resti sempre qualcosa da
fare. L'essenza del nostro miglior agire e' dare senza sempre e subito
chiedere. Questo si vede soprattutto nei rovesci, nel dolore. Allora il
debole e' sopraffatto e dubita. Ma se al dubbio non era arrivato prima, deve
arrivarci per l'insuccesso? Come se la garanzia del proprio ideale si
trovasse nel successo immediato! La storia procede per opera di coloro che,
elaborato un profondo ideale, secondo le migliori esigenze di tutta l'anima,
vanno a infonderlo in mille modi nella realta'... Le sconfitte passeranno
nell'urto dei mesi o degli anni: il valore spirituale respirera' coi decenni
e coi secoli, perche' l'umanita' (che e' un tutto a cui e' presente Dio)
ricerca prima o poi e ritrova nel suo intimo il bene che noi, anche se
oscuri ma persuasi, vi deponiamo" (30).
*
Il richiamo al dover essere, all'affermazione di valori spirituali nei quali
si esprime quella universalita' umana che sta al centro della religione
laica di Capitini (31), costruisce una barriera insormontabile alle
suggestioni dei diversi totalitarismi; ma fornisce strumenti critici nei
confronti di tutte le soluzioni gia' date, ivi comprese quelle proprie della
tradizione liberale, cui pure per molti versi, anche per il tramite del
magistero di Croce, egli e' idealmente vicino. E' in particolare il
"liberalismo liberistico" ad essere messo in questione da Capitini, per il
fatto che il tipo di liberta' che esso promuove rimane, "in molta parte del
suo effettivo esercizio, un privilegio di chi si trova in condizioni
economiche migliori" (32). Vi e' una crisi del liberalismo contemporaneo,
per il fatto che esso si trova troppo spesso a difendere il valore
dell'individualita' e della persona "secondo la lettera e non secondo lo
spirito". Si spiega cosi' che "certi liberali" si siano fatti sostenitori
"di regimi autoritari e non poche volte tirannici". Dove e' finito allora il
liberale? "Egli avra' difeso la sua proprieta', una dinastia, l'ordine
tradizionale; ma non e' piu' liberale, cioe' liberatore" (33).
Il rifiuto del totalitarismo non comporta dunque l'accettazione tel quel del
capitalismo liberistico; esso si salda invece al progetto di una nuova
socialita', che Capitini recepisce come l'eredita' piu' valida della moderna
tradizione socialista. Alle origini del movimento socialista Capitini
riconosce la presenza di una fondamentale istanza di liberta': il socialismo
muove dall'esigenza di liberare le moltitudini lavoratrici da una situazione
di inferiorita', e di dar loro una concreta liberta' nell'uguaglianza di
possibilita' di sviluppo nella civilta' (34). Un'istanza che la prospettiva
del socialismo coniuga con l'altra, tesa a calare nella vita sociale quei
valori di solidarieta', di "socialita' infinita e libera", nella quale
Capitini coglie una essenziale valenza religiosa per il loro riportarsi a
quella dimensione di universalita' umana, a quella relazione uno-tutti, che
costituisce per lui il terreno del rapporto con il divino (35).
*
Il compito dell'oggi e' dunque in primo luogo quello di sottrarre il
liberalismo alla tentazione di identificare il regno della liberta' con il
capitalismo liberistico, nel quale l'individuo compare come atomo, non come
centro, e dunque viene a chiudersi lo spazio per la dimensione della
solidarieta' con l'approfondimento, che essa implica, del rapporto
uno-tutti.
In secondo luogo, e' quello di sottrarre la prospettiva del socialismo alle
tentazioni statalistiche, e di far riemergere al suo interno le istanze di
liberta' dalle quali essa trae la propria origine, poiche' "quando ci si
muove a contrastare il capitalismo che toglie possibilita' di sviluppo ai
lavoratori soggiogandoli nella disparita' economica, questa e' esigenza di
liberta'" (36).
Si tratta in concreto di indirizzarsi verso "una soluzione socialista, che
mantenga una certa articolazione nel mondo economico (ampie socializzazioni,
cooperative, proprieta' individuale la' dove il lavoratore coincide col
proprietario)", anziche' "a una soluzione che statalizzi tutto, poiche'
questa potrebbe rendere piu' difficile quella destinazione di liberta' che
deve essere il continuo riferimento della socialita'" (37).
Tentare di modificare i fatti, le situazioni acquisite, sulla base dei
valori di liberta' e socialita', anziche' piegare i valori ai fatti o
identificare il valore con un fatto particolare, sia esso un partito, un
regime politico, un assetto economico, e' questo, per il kantiano Capitini,
il senso dell'impegno etico e politico.
E' una definizione dell'impegno cui e' connaturata la rinuncia al
riferimento alle soluzioni ultime, ai punti di arrivo oltre i quali non sia
piu' possibile procedere, alle realizzazioni valide in assoluto. La nuova
socialita' e' un valore, non un fatto, ne' e' mai pienamente traducibile in
un fatto o in un complesso di fatti; un'idea regolativa, un punto di
riferimento cui corrispondono sempre e soltanto realizzazioni parziali, mai
sottratte alla dimensione del rischio, dell'insuccesso, dell'errore.
*
Note
1. Proprio sul terreno del patriottismo scolastico, con l'aggiunta di un
gusto tutto "meridionale" (in quanto meno abituato al civismo democratico)
dell'autorita', parve a Capitini fossero venute intorbidendosi le
"originarie premesse etiche" dell'attivismo gentiliano: cfr. A. Capitini,
Antifascismo tra i giovani, Trapani, Celebes, 1966, p. 30. Sul patriottismo
scolastico e' da vedere anche La mia opposizione al fascismo (1960), ora in
Il messaggio di Aldo Capitini, a cura di G. Cacioppo, Lacaita, Manduria
1977, pp. 301-302.
2. Della marcia su Roma, in particolare, scrivera': "Intuii che quello era
un atto di disordine, che non avrebbe portato del bene; mi ricordo
chiarissimo questo pensiero". Cfr. Antifascismo tra i giovani, cit., p. 15.
3. Il riferimento a Leopardi torna piu' volte negli scritti di Capitini.
Cfr. ad es. il capitolo L'orizzonte, nel volume Vita religiosa, Cappelli,
Bologna 1942, pp. 13-16; gli accenni contenuti in Apertura e dialogo, in "La
cultura", I, 1963, p. 2; il saggio Sugli svolgimenti interni della poesia
leopardiana, in Educazione aperta, La Nuova Italia, Firenze 1967, pp.
224-236.
4. La vicenda e' narrata nei particolari in Antifascismo tra i giovani,
cit., pp. 27-28.
5. Cfr. in particolare La mia opposizione al fascismo, cit., pp. 306-307,
dove sono puntigliosamente elencati gli aspetti del fascismo che suscitarono
l'opposizione capitiniana.
6. A. Capitini, Orientamento per una nuova socialita' (1943), in Nuova
socialita' e riforma religiosa, Einaudi, Torino 1950, p. 93.
7. Ivi, p. 87.
8. A. Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, Laterza, Bari 1937, pp.
99-100.
9. "I comunisti portano con loro un carattere essenziale. Esso e' espresso
da Lenin in questa forma: 'E' marxista solo chi estende il riconoscimento
della lotta di classe a quello della dittatura del proletariato'. I
comunisti traggono tutte le conseguenze di questo principio... Che in questo
ci sia qualche cosa anche di autoritario e' inevitabile, perche'
l'autoritarismo tiene il metodo, appunto, del potere come fatto assoluto".
Cfr. l'Introduzione a Nuova socialita' e riforma religiosa, cit., p. 25.
10. Liberalsocialismo (1937), Ivi, p. 75.
11. Per interessamento di Armando Carlini, e con il consenso di Gentile,
Baglietto aveva ottenuto nel 1932 una borsa ministeriale per un soggiorno di
studio a Friburgo. Recatosi in Svizzera, decise di non rientrare in Italia
per sottrarsi al servizio militare, in coerenza con le proprie convinzioni
di pacifista. Soggiorno' poi a Basilea fino al 1940, anno della sua morte.
12. Antifascismo tra i giovani, cit., p. 23. Sul rapporto con Kant richiama
l'attenzione N. Bobbio, La filosofia di Aldo Capitini, in Maestri e
compagni, Passigli, Firenze 1984, pp. 249-50.
13. A. Capitini, Apertura e dialogo, cit., p. 2.
14. L'attenzione per Michelstaedter, citato in apertura degli Elementi di
un'esperienza religiosa, e' costante in Capitini che progetto' anche di
raccogliere una antologia degli scritti (v. Antifascismo tra i giovani,
cit., con il resoconto delle divergenze, su questo punto, fra Capitini e
Croce). In Il fanciullo nella liberazione dell'uomo, 1953, leggiamo ad
esempio: "L'esistenzialismo segnala la frattura, l'interruzione del
continuare, della retorica (direbbe Michelstaedter), il pervenire al limite,
al fondo, proprio perche' sia possibile altro". Per il rapporto con
l'esistenzialismo e' da vedere anzitutto l'intervento Esistenza e presenza
del soggetto, pronunciato da Capitini nel corso del congresso internazionale
di filosofia svoltosi a Roma nel 1946 (ora in Il messaggio di Aldo Capitini,
cit., pp. 145-154); ma cfr. anche il capitolo sull'Esistenzialismo in
Religione aperta, Neri Pozza, Venezia 1964, pp. 186-189.
15. A. Capitini, Educazione aperta, La Nuova Italia, Firenze 1967, vol. I,
p. 9.
16. Ivi, p. 149.
17. Ivi, p. 23.
18. Per questa presa di posizione cfr. G. Calogero, Ricordi del movimento
liberalsocialista, in Difesa del liberalsocialismo, Atlantica, Roma 1945,
pp. 112-122.
19. A. Capitini, Antifascista tra i giovani, cit., pp. 115-116.
20. Ivi, pp. 150-51. Sulla singolarita' di queste posizioni nell'ambiente
italiano Bobbio attira l'attenzione in questi termini: "un gandhiano nella
patria di Machiavelli, un eretico religioso nella patria della Controriforma
(e del connesso indifferentismo), un pacifista, e un religioso per giunta,
in un paese in cui una tradizione di pensiero e di azione pacifista non e'
mai esistita"; cfr. N. Bobbio, Religione e politica in Aldo Capitini, cit.,
pp. 290-91.
21. A. Capitini, Di un lavoro per la societa' di tutti, (1949), in Nuova
socialita' e riforma religiosa, cit., p. 130.
22. Il teismo razionale, aconfessionale e fermamente anticattolico di
Capitini, tutto proteso verso un'immanenza da realizzare, si esprime in una
religiosita' assai difficile da inquadrare in schemi tradizionali. Esso mise
in difficolta' anche un interlocutore ed interprete come Delio Cantimori,
Intellettuali e fascismo. Saggio su Delio Cantimori, De Donato, Bari 1978,
pp. 117-118.
23. A. Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, cit., p. 110.
24. A. Capitini, Religione aperta, cit., p. 4.
25. A. Capitini, Apertura e dialogo, cit., p. 204.
26. A. Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, cit., p. 112.
27. Cfr. la lettera di Baglietto a Claudio Varese, riportata da Capitini in
Antifascismo tra i giovani, cit., p. 31.
28. Un accenno al "teismo aperto (si direbbe kantiano)" di Gandhi e' in
Antifascismo tra i giovani, cit., p. 24.
29. Noncollaborazione, resistenza passiva, disobbedienza civile, erano gli
strumenti dai quali Capitini sperava sarebbe scaturita la liberazione
dell'Italia dal fascismo.
30. Cfr. l'Introduzione a Nuova socialita' e riforma religiosa, cit., pp.
16-17.
31. Cfr. A. Capitini, Orientamento per una nuova socialita', cit., p. 91.
32. Cfr. Liberalsocialismo, cit., p. 76.
33. A. Capitini, Problemi del socialismo, in Nuova socialita', cit., p. 100.
34. Su questo punto cfr. in particolare Premessa elementare sulla presenza
religiosa, ivi, pp. 162-179.
35. Problemi del socialismo, cit., p. 100.
36. Ivi, p. 94.

2. ET COETERA
Ornella Pompeo Faracovi e' una studiosa ed amica della nonviolenza,
direttrice del Centro Studi Enriques, collaboratrice del dipartimento di
filosofia dell'Universita' di Pisa, acuta saggista, storica della filosofia
ed autrice di vari testi su diversi temi del pensiero moderno e
contemporaneo, collaboratrice dell'Arisf (Associazione per la ricerca e
l'insegnamento della filosofia e della storia), della rivista "Bruniana &
Campanelliana" e di altre pubblicazioni. Su Capitini ha pubblicato vari
saggi. Tra le opere di Ornella Pompeo Faracovi: Sartre. Una battaglia
politica, Sansoni, Firenze 1974; Scritto negli astri. L'astrologia nella
cultura dell'occidente, Marsilio, Venezia 1996; ha curato edizioni di opere
di Marsilio Ficino e di Girolamo Cardano.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a
cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un
profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze
2005; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi,
Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una
bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito
citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito
dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it,
altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un
altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a
Luciano Capitini: capitps@libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni:
l.mencaroni@libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803,
e-mail: azionenonviolenta@sis.it

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