Walter Binni Ricorda Aldo Capitini in Occasione delle Esequie

Le parole di commiato pronunciate da Walter Binni al funerale di Aldo Capitini, a Perugia, il 21 ottobre 1968. Il testo, gia' apparso nel fascicolo speciale di "Azione Nonviolenta" del novembre-dicembre 1968, lo riprendiamo da Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977, dove si trova con il titolo "Un vero rivoluzionario" alle pp. 497-500.


Walter Binni e' nato a Perugia nel 1913, ha studiato alla Normale di Pisa,
antifascista, impegnato nella Resistenza, poi deputato alla Costituente;
docente universitario, tra i massimi studiosi della letteratura italiana; e'
scomparso sul finire del novembre 1997. Opere di Walter Binni: nella sua
vastissima produzione, tutta di grande valore, segnaliamo particolarmente
gli studi leopardiani: fondamentali La nuova poetica leopardiana, e La
protesta di Leopardi, editi da Sansoni; ed il giustamente celebre saggio
metodologico Poetica, critica e storia letteraria, edito da Laterza. Come e'
noto sono classici i suoi studi sulla poetica del decadentismo, il
preromanticismo italiano, Ariosto, Michelangelo scrittore, Metastasio,
Parini, Goldoni, Alfieri, Monti, Foscolo, Carducci, De Sanctis.


Queste inadeguate parole che io pronuncio a nome degli amici piu' antichi e
piu' recenti che Aldo Capitini ebbe ed ha, per la sua eccezionale
disposizione verso gli altri, vorrebbero piu' che essere un saluto estremo e
un motivato omaggio alla sua presenza nella nostra storia privata e
generale, costituire solo un appoggio, per quanto esile e sproporzionato, ad
una tensione di concentrazione di tutti quanti lo conobbero e lo amarono:
tutti qui materialmente o idealmente raccolti in un intimo silenzio profondo
che queste parole vorrebbero non spezzare ma accentuare, portandoci tutti a
unirci a lui, nella nostra stessa intera unione con lui e in lui, unione cui
egli ci ha sollecitato e ci sollecita con la sua vita, con le sue opere, con
le sue possenti e geniali intuizioni.
Certo in questo "nobile e virile silenzio" suggerito, come egli diceva,
dalla morte di ogni essere umano, come potremmo facilmente bruciare il
momento struggente del dolore, della lacerazione profonda provocata in noi
dalla sua scomparsa? In noi che appassionatamente sentiamo e soffriamo la
assenza di quella irripetibile vitale presenza, con i suoi connotati
concreti per sempre sottratti al nostro sguardo affettuoso, al nostro
abbraccio fraterno, al nostro incontro, fonte per noi e per lui di
ineffabile gioia, di accrescimento continuo del nostro meglio e dei nostri
affetti piu' alti. Quel volto scavato, energico, supremamente cordiale,
quella fronte alta ed augusta, quelle mani pronte alla stretta leale e
confortatrice, quegli occhi profondi, severi, capaci di sondare fulminei
l'intimo dei nostri cuori ed intuire le nostre pene e le nostre
inquietudini, quel sorriso fraterno e luminoso, quel gestire sobrio e
composto, ma cosi' carico di intima forza di persuasione, quella voce dal
timbro chiaro e denso, scandito e posseduto fino alle sue minime vibrazioni.
Tutto cio' che era suo, inconfondibilmente e sensibilmente suo, ora ci
attrae e ci turba quanto piu' sappiamo che e' per sempre scomparso con il
suo corpo morto ed inanime, che non si offrira' mai piu' ai nostri incontri,
al nostro affetto, nella sua casa, o in questi luoghi da lui e da noi tanto
amati, su questi colli perugini, malinconici e sereni, in cui infinite volte
lo incontrammo e che ora ci sembrano improvvisamente privati della loro
bellezza intensa se da loro e' cancellata per sempre la luce umana della sua
figura e della sua parola.
Ed ognuno di noi, certo, in questo momento, e' come sopraffatto dall'onda
dei ricordi piu' minuti e percio' struggenti, quanto piu' remoti risorgono
dalla nostra memoria commossa in quei particolari fuggevoli e minimi, che
proprio dalla poesia del caduco, del sensibile, dell'irripetibile, traggono
la loro forza emotiva piu' sconvolgente e ci spingerebbero a rievocare, a
recuperare quel particolare luogo di incontro, quella stanzetta della torre
campanaria in cui un giorno - quel giorno lontano - parlammo per la prima
volta con lui, o quella piazzetta cittadina - quella piazzetta - in cui
improvvisamente ci venne incontro con la gioia dell'incontro inatteso, o
quel colle coronato di pini in cui insieme ci recammo con altri amici.
E ognuno di noi ripensa certo ora alla propria vicenda o al segno profondo
lasciato dall'incontro con Capitini, fino a dover riconoscere - il caso di
quanti furono giovani in anni lontani - che essa sarebbe per noi
incomprensibile e non ricostruibile come essa si e' svolta, senza
l'intervento di lui, senza la sua parola illuminante, senza i problemi che
lui ci aiuto' ad impostare e a chiarire, spesso contribuendo a decisive
svolte nella nostra formazione e nella nostra vita intellettuale, morale,
politica.
Ma appunto proprio da questo, dalla considerazione dell'immenso debito
contratto con lui, dalla nostra gratitudine e riconoscenza per quanto, con
generosita' e disponibilita' inesauribile, egli ci ha dato, veniamo
riportati - al di la' del nostro dolore che sappiamo inesauribile e pronto a
risorgere ogni volta che ci colpira' un'immagine, un'eco, una labile traccia
della sua per sempre scomparsa consistenza concreta - a quel momento
ulteriore della nostra unione con lui, in occasione della sua morte, che
soprattutto dalle sue parole e dalle sue opere abbiamo appreso a considerare
come l'apertura del "muro del pianto", della buia barriera della morte.
Perche' qualunque siano attualmente le nostre diverse prospettive
ideologiche, esistenziali, religiose o non religiose (e cosi',
coerentemente, pratiche e politiche), una cosa abbiamo tutti, credo, da lui
imparata: la scontentezza profonda della realta' a tutti i suoi livelli, la
certezza dei suoi limiti e dei suoi errori profondi, la volonta' di
trasformarla, di aprirla, di liberarla.
E' qui che il ricordo e il dolore si tramutano in una tensione che ci unisce
con Aldo nella sua piu' vera presenza attuale, nella sua non caduca presenza
in noi e nella storia, e ci riempie di un sentimento e di una volonta' quale
egli ci chiede e ci domanda con tutta la sua vita e la sua opera piu'
persuasa di combattente per una verita' non immobile e ferma, ma profonda ed
attiva, concretata in quella prassi conseguente di cui egli sosteneva
proprio in questi ultimi giorni, parlando con me, l'assoluto primato. Il
morto, il crocifisso nella realta', come egli diceva, suggerisce infatti
insieme e il senso della nostra limitatezza individuale in una realta' di
per se' ostile e crudele (quante volte abbiamo insieme ripetuto i versi di
Montale con il loro circuito chiuso: la vita e' piu' vana che crudele, piu'
crudele che vana!) e la nostra possibilita' o almeno il nostro dovere di
tentare di spezzare, di aprire quella limitatezza, di trasformare la
realta', dalla societa' ingiusta e feroce alla natura indifferente alla
sorte dei singoli e al loro dolore. Li' e' il punto in cui convergono tutte
le folte componenti del pensiero originalissimo di Capitini: il tu e il
tu-tutti, il potere dal basso e di tutti, la nonviolenza, l'apertura e
l'aggiunta religiosa. Li' convergono in una profonda spinta rinnovatrice le
idee, le intuizioni (tese da una forza espressiva che tocca spesso la
poesia), gli atteggiamenti pratici di Capitini.
Non accettare nessuna ingiustizia e nessuna sopraffazione politica e
sociale, non accettare la legge egoistica del puro utile, non accettare la
realta' naturale grezza e sorda, e opporre a tutto cio' una volonta'
persuasa del valore dell'uomo e delle sue forze solidali e arricchite dalla
"compresenza" attiva dei vivi e dei morti, tutte immesse a forzare ed aprire
i limiti della realta' verso una societa' e una realta' resa liberata e
fraterna anzitutto dall'amore e dalla rinuncia alla soppressione fisica
dell'avversario e del dissenziente, sempre persuadibile e recuperabile nel
suo meglio, mai cancellabile con la violenza.
Di fronte a questo sforzo consapevole ed ai modi stessi della sua attuazione
e della sua configurazione precisa alcuni di noi possono essere anche
dissenzienti o diversamente disposti e operanti, ma nessuno che abbia
compreso l'enorme portata della lezione di Capitini puo' sfuggire a questo
nodo centrale del suo pensiero, nessuno puo' esimersi di dare ad esso
adesione o risposta, tanto esso e' stringente, perentorio, come perentoria
e' insieme la lezione di intransigenza morale e intellettuale di Capitini,
la sua netta distinzione di valore e disvalore, la severita' del suo stesso
amore, pur cosi' illimitatamente aperto e persuaso del valore implicito in
ogni essere umano.
Proprio per questo amore aperto e severo, questa nostra unione in lui e con
lui - in presenza della sua morte - non puo' lasciarci cosi' come siamo di
fronte alle cose e di fronte a noi stessi, non puo' non tradursi in un
impegno di suprema lealta', sincerita', volonta' di trasformazione.
Capitini fu un vero rivoluzionario nel senso piu' profondo di questa grande
parola: lo fu, sin dalla sua strenua opposizione al fascismo, di fronte ad
ogni negazione della liberta' e della democrazia (e ad ogni inganno
esercitato nel nome formale ed astratto di queste parole), lo fu di fronte
ad ogni violenza sopraffattrice, in sede politica e religiosa, cosi' come di
fronte ad ogni tipo di ordine e autorita' dogmatica ed ingiusta (qualunque
essa sia), lo fu persino, ripeto, di fronte alla stessa realta' e al suo
ordine di violenza e di crudelta'. Questo non dobbiamo dimenticare, facendo
di lui un sognatore ingenuo ed innocuo, e sfuggendo cosi' alle nostre stesse
responsabilita' piu' intere e rifugiandoci nel nostro cerchio
individualistico o nelle nostre abitudini e convenzioni non soggette ad una
continua critica e volonta' rinnovatrice.
Forse non a tutti noi si aprira' il regno luminoso della realta' liberata e
fraterna nei modi precisi in cui Capitini la concepiva e la promuoveva, ma
ad esso dobbiamo pur tendere con appassionata energia.
Solo cosi' il nostro compianto per la tua scomparsa, carissimo, fraterno,
indimenticabile amico, diviene concreto ringraziamento e la risposta alla
tua voce piu' profonda: solo cosi'' non ti lasceremo ombra fra le ombre o
spoglia inerte e consumata negli oscuri silenzi della tomba, e proseguiremo
insieme, severamente rasserenati - come tu ci hai voluto - nel nostro
colloquio con te, con il tuo tu-tutti, attuandolo nel nostro faticoso e
fraterno impegno di uomini fra gli uomini, come tu ci hai chiesto e come tu
ci hai indicato con il tuo altissimo esempio.

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