La rivoluzione non si fa in tre giorni
di Danilo Dolci

Inventare il futuro, Danilo Dolci, Laterza, Bari 1969 (seconda edizione), pp.51-53
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Masse enormi di persone, a centinaia e centinaia di milioni, sono di fatto ancora impossibilitate a partecipare alle decisioni fondamentali della vita del mondo. L'impegno a operare quei cambiamenti che permettano la partecipazione e la valorizzazione degli oggi totalmente o parzialmente esclusi, tende anche a evitare l'esplodere di conflitti dannosi per tutti. D'altra parte le enormi masse di persone oggi escluse dall'amministrazione e dalla direzione della vita del mondo (e questo non solo nelle zone agricole sottosviluppate ma anche nelle zone industrializzate, anche nel cuore delle grandi città industriali), non possono certo ingenuamente aspettare venga loro regalata l'effettiva possibilità della partecipazione, venga loro dal cielo; non possono aspettarsi che chi oggi ha in mano il potere usandolo violentemente, sia spontaneamente disponibile a parteciparlo agli altri per trasformare il mondo: devono chiaramente sapere che la costruzione di un nuovo mondo non può essere che una loro conquista, frutto di precisa fatica, paziente sacrificio, sapiente organizzazione, indispensabile pressione: e senza pretendere di fare la rivoluzione, ogni rivoluzione, tutta la rivoluzione in tre giorni.
Se l'insensibilità e l'impreveggenza dei conservatori di ogni parte del mondo, nei più diversi sistemi, non possono che far malamente scoppiare i problemi irrisolti acutizzandoli, la genericità, la rassegnazione e la paura degli esclusi d'altra parte, consolidando le vecchie strade, non possono che produrre altrettanto.
Il nuovo è difficile a realizzarsi, è difficile a comprendere. Le nuove proposte, nella misura in cui di fatto sono rivoluzionarie, in quella misura sono difficilmente apprezzabili. Occorre anche tenere presente che mentre i progressisti sono per lo più mossi in avanti da un volontarismo generico, i conservatori, i reazionari, spinti dal proprio immediato interesse, anche se meno intelligenti, spesso risultano (naturalmente nella propria direzione) più capaci ed efficaci.
È di fondamentale importanza dunque, in ogni condizione e ad ogni livello, la promozione di nuovo lavoro non mercenario - sia esso appoggiato dai governi o sia in opposizione a questi - che correli intimamente lo sviluppo socioeconomico alla nonviolenza attiva. Iniziative che si avviano silenziosamente, umilmente, su precisi problemi, se approfondite tenacemente possono venire ad assumere un peso politico tutto nuovo, possono determinare seri mutamenti strutturali.
Presa di coscienza di sé e dei propri problemi, sviluppo organico, pianificazione democratica, pressione rivoluzionaria nonviolenza: sono i termini essenziali di un indispensabile rapporto. Migliaia di iniziative volontarie negli ultimi anni si sono avviate in ogni parte del mondo verso "il basso", ma questa iniziative sono ancora troppo spesso tese più all' aiuto, al contatto, alla testimonianza, all' assistenza tecnica che alla promozione di autoanalisi, all' economia e alla strategia dell'impegno, alla partecipazione per riuscire ad operare i cambiamenti cercando insieme: mentre dovrebbe essere ormai assolutamente ovvio come gli esclusi più che di doni hanno bisogno di poter essere in grado di avviare e costruire le alternative necessarie.
Poiché ormai le sole spese militari (e quanto altro è spreco e suicidio!) nel mondo assommano in un anno, come è noto, a più di 150 miliardi di dollari, cioè a circa 100 mila miliardi di lire, è evidente quale enorme riconversione è necessario operare, quale enorme azione rinnovatrice occorre all'andazzo istituzionalizzato del vecchio mondo.

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