Il Boicottaggio Economico Come Azione Nonviolenta
di Johan Galtung
Tratto da La Nonviolenza e’ in Cammino

[Ringraziamo Renato Solmi (per contatti: rsolmi@tin.it) per averci messo a dsposizione nella sua traduzione questo intervento di Johan Galtung apparso in inglese nel sito della rete "Transcend" (www.transcend.org) da lui diretta, e in quello della "Transnational Foundation for Peace and Future Research" (in sigla: Tff; sito: www.transnational.org) diretta da Jan Oberg. Questa traduzione Renato Solmi, il cui rigore morale e intellettuale e' pressoche' leggendario, accompagna con la seguente Avvertenza: "La traduzione di questo testo, apparsa sulla rete 'Transcend' alla fine di giugno, e' stata curata da Renato Solmi. Qua e la' il testo originale e' stato leggermente ampliato per renderlo piu' facilmente comprensibile al lettore italiano (senza che, peraltro, queste 'esplicitazioni' del traduttore possano dare luogo a nessun equivoco). Poche note sono state aggiunte in calce a titolo di giustificazione e anche di incertezza circa la proprieta' dell'interpretazione. Ci sembra che, peraltro, la discussione di questa proposta, che si aggiunge a quella formulata da Jan Oberg alla fine dell'anno scorso, sia piu' che mai attuale ed urgente". Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale. Johan Galtung, nato in Norvegia nel 1930, fondatore e primo direttore dell'Istituto di ricerca per la pace di Oslo, docente, consulente dell'Onu, e' a livello mondiale il piu' noto studioso di peace research e una delle piu' autorevoli figure della nonviolenza. Una bibliografia completa degli scritti di Galtung e' nel sito della rete "Transcend", il network per la pace da lui diretto, cui rinviamo: www.transcend.org Jan Oberg (per contatti: oberg@transnational.org), danese, nato nel 1951, illustre cattedratico universitario, e' uno dei piu' importanti peace-researcher a livello internazionale e una figura di riflerimento della nonviolenza in cammino. Tra le sue molte opere: Myth About Our Security, To Develop Security and Secure Development, Winning Peace, e il recente Predictable Fiasco. The Conflict with Iraq and Denmark as an Occupying Power]


Si parla molto di boicottare i prodotti Usa in tutto il mondo, e, specialmente in Germania e in Francia, si ha l'impressione che la gente sia molto meno incline ad acquistare prodotti Usa dopo l'invasione illegale dell'Iraq. Puo' essere interessante osservare che non si parla di boicottare prodotti inglesi o britannici, ma se ne parla invece spesso a proposito di Israele. Lo sfondo a cui si puo' fare riferimento e' costituito dall'azione coronata da successo contro il regime di apartheid nella Repubblica sudafricana, contro la Shell tedesca nel Mare del Nord, e contro gli esperimenti nucleari francesi in Polinesia; tutti episodi che hanno fatto parte dello scenario politico degli anni Novanta. C'e' tutto lo spazio che si vuole per una reviviscenza di queste iniziative. Ci sono molte dimensioni e fattori di cui bisogna tener conto; ne daro' qui qualche esempio. Un boicottaggio completo dovrebbe coprire tutti i beni di consumo di produzione Usa, dai film al complesso Coca Cola - Mc Donald all'automobile e ai combustibili; i beni capitali di ogni genere, e in particolare gli strumenti e le attrezzature militari, i beni finanziari come i dollari, usando l'euro, lo yen ecc. per indicare i prezzi, per i contratti, per il turismo, evitando anche di servirsi delle societa' di carte di credito americane, e sbarazzandosi delle obbligazioni e delle azioni Usa, chiedendo che i governi non le acquistino e che le imprese si dissocino dalle ditte Usa, a cominciare dalle societa' piu' reprensibili da questo punto di vista. Un boicottaggio parziale dovrebbe concentrarsi su qualunque assortimento o sottogruppo delle voci sopra indicate (1). Il boicottaggio dovrebbe prendere di mira tutte le societa' statunitensi nell'ambito di tutti o di alcuni settori, o un sottogruppo, presumibilmente il peggiore. La lista dovrebbe essere pubblicata e le condizioni per essere esclusi dalla lista dovrebbero essere chiaramente enunciate e notificate. Il "boycott" potrebbe essere o non essere accompagnato da un girlcott (gioco di parole intraducibile in italiano, ma facilmente comprensibile a tutti i lettori, n.d.t.), e cioe' da un acquisto selettivo dei prodotti di societa' statunitensi che esibiscono un "record" positivo sulla base dei criteri usati (come, ad esempio, l'assenza di contratti con le istituzioni militari), o anche solo meno negativo delle altre. Il "girlcott" (e cioe' l'acquisto preferenziale) di prodotti di societa' che abbiano la loro sede principale in altri paesi potrebbe anche corrispondere allo scopo; anche se, probabilmente, la domanda in questione non avrebbe un carattere altrettanto imperativo.
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Lo scopo del boicottaggio potrebbe essere quello di colpire l'impero statunitense in quanto tale, nei suoi ammazzamenti coordinati in tutto il mondo; con la sua creazione di squilibri immani fra la miseria di grandi masse e la ricchezza oscena di altri; con la manipolazione politica e il ricatto militare in luogo di una partecipazione paritetica alla politica internazionale, e con la pretesa di "essere i soli a conoscere le risposte" invece del dialogo con le altre nazioni. O lo scopo potrebbe essere piu' limitato, come quello rappresentato dal ritiro delle truppe americane dall'Iraq. Nell'un caso come nell'altro le condizioni per la cancellazione del boicottaggio dovrebbero essere chiaramente enunciate. Il meccanismo che potrebbe tradurre il boicottaggio in un mutamento di politica (da parte del governo americano) sarebbe il dilemma in cui verrebbero a trovarsi i "decision-makers" delle grandi societa' (come i membri dei consigli di amministrazione o i dirigenti operativi) fra la loro lealta' al geofascismo di Washington e i profitti delle loro societa', che
potrebbero ridursi rapidamente nelle condizioni determinate dal boicottaggio. Il profitto medio di una "corporation" americana si aggira intorno al 6%, cio' che significa che anche una partecipazione relativamente modesta potrebbe avere un impatto molto sensibile. Anche un declino del 3% delle vendite di ogni singola impresa farebbe, con ogni probabilita', entrare in azione questo dilemma; per cui si puo' concludere che un boicottaggio economico di questo genere e' fattibile, e perfino, oserei dire, relativamente facile da organizzare. E chiunque vi puo' partecipare. Oltre a questo effetto squisitamente economico bisogna tener conto di un altro e forse aneora piu' importante meccanismo. Non il declino nelle vendite delle singole imprese, o anche nei grandi indicatori macroeconomici; ma il boicottaggio come espressione di un sentimento morale, il cui messaggio e' questo: "Sei sulla strada sbagliata, amico mio, e noi non ti daremo piu' il sostegno morale che sarebbe implicito nell'acquisto dei tuoi beni o dei tuoi servizi. Quando ti incamminerai su una strada migliore, tutto questo cambiera' come per incanto. Mettiamoci a sedere intorno a un tavolo e cominciamo a discutere". In altre parole, il potere risiede dalla parte dei consumatori. I fattori di
produzione sono tutti nelle mani di quelli che possiedono il capitale; che si tratti delle risorse naturali, del lavoro umano, del capitale stesso, della tecnologia o delle capacita' di gestione. Tutti questi fattori scorrono, affluiscono e si ritirano, secondo le leggi della domanda e dell'offerta. Anche la manodopera ha scarse possibilita' di scelta, dal momento che la tecnologia puo' essere adoperata come un sostituto. Ma non c'e' sostituto possibile per gli acquirenti dotati di volonta' propria.
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Sapendo benissimo tutto questo, va da se' che il sistema americano procedera' a difendersi, e le contromisure piu' probabili contro un eventuale boicottaggio includono:
- le pressioni sui governi di altri paesi perche' mettano fuori legge il boicottaggio; una misura molto problematica perche' la liberta' di mercato e' una componente essenziale dell'ideologia neoliberale;
- che le societa' danneggiate chiedano un compenso a Washington; misura altrettanto problematica dati i deficit gia' presenti nell'economia Usa e nel bilancio federale;
- ridurre le spese licenziando un maggior numero di operai; misura, a sua volta, problematica perche' a questa opzione si e' gia' fatto ricorso per accrescere i profitti e le proteste collettive determinate da questo fattore si stanno estendendo fin d'ora molto rapidamente;
- il boicottaggio statunitense dei prodotti di paesi che partecipano al boicottaggio; misura anch'essa problematica data la dipendenza dei consumatori Usa da prodotti stranieri (come per esempio quelli cinesi) e che potrebbe avere l'effetto di stimolare gli acquisti dei prodotti dei paesi
boicottati dagli Usa (2). Cio' che e' chiaro, tuttavia, e' che i governi non possono, dato il potere militare schiacciante degli Stati Uniti, fare uso dell'arma economica che potrebbe essere a loro disposizione, e cioe' di sanzioni di carattere economico. Essi potrebbero essere bombardati, e i loro indirizzi sono relativamente chiari, in contrasto con la dispersione dei "clienti" che passano da stazioni di benzina americane o britanniche a quelle di altri paesi.
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Il boicottaggio economico ha svolto un ruolo importantissimo nella strategia di lotta contro l'impero britannico promossa e attuata da Gandhi; e qualsiasi forma di boicottaggio dovrebbe ispirarsi ai principi della nonviolenza gandhiana. Lo scopo che ci si propone e' quello di ridurre e di eliminare la presa militare, economica, politica e culturale soffocante che gli Stati Uniti esercitano sul mondo, e non certo quello di uccidere bambini americani
nell'atto di colpire l'economia americana. Un programma di aiuti di emergenza per tutti quelli che soffrono negli Stati Uniti per le conseguenze del boicottaggio dovrebbe essere preso in considerazione dai suoi organizzatori. Il bersaglio di questa azione e' l'Impero americano, e non gia' la Repubblica americana. Un altro scopo fondamentale e' quello di sviluppare le nostre proprie capacita' economiche e di non sottometterci alla "logica del mercato", che e', per sua natura, cosi' cieca nei confronti di effetti collaterali importanti come le iniziative di carattere locale, le reti di comunicazione e le culture locali, gli effetti esercitati sull'ambiente, ecc. Per questa ragione e' importante tenere aperti i canali di comunicazione e di dialogo, a condizione, naturalmente, che quei canali siano usati bene (e non per scopi allotri). Le visite negli Stati Uniti dovrebbero essere incoraggiate, come pure i pubblici incontri, allo scopo di far conoscere (ai nostri interlocutori) le ferite che l'impero americano infligge al resto del mondo e di mostrare come gli Stati Uniti stessi sarebbero i primi a beneficiare della sua caduta (3).
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Note del traduttore
1. Non mi e' del tutto chiaro il senso del termine "subset" (combinazione, assortimento, sottogruppo?). Non credo che si tratti di una specificazione ulteriore di una di quelle categorie generali, che rischierebbe di togliere al boicottaggio gran parte della sua efficacia, ma piuttosto di una varieta' di prodotti o di servizi appartenenti a piu' d'una di esse.
2. Beninteso: da parte di altri paesi (partecipanti, a loro volta, al boicottaggio, o, quanto meno, simpatizzanti con esso; ma le due cose non dovrebbero coincidere in una "guerra" di questo genere, che dovrebbe svolgersi, almeno da parte nostra, all'insegna dei principi della nonviolenza?).
3. La divergenza apparente fra la proposta di Jan Oberg (nell'articolo "Altri quattro anni di governo Bush", apparso anche su questo foglio nel n. 789), secondo la quale il boicottaggio avrebbe dovuto dar luogo anche ad un'interruzione dei viaggi e delle visite negli Stati Uniti, e questo punto dell'argomentazione di Galtung, potrebbe trovare la sua soluzione nel senso che i viaggi e le visite di esponenti del movimento di protesta e di contestazione della politica del governo di quel paese dovrebbero essere finalizzati esclusivamente al conseguimento degli scopi che ci inducono a ricorrere all'azione di boicottaggio (che non e', evidentemente, fine a se stessa, e che dovrebbe cessare a condizioni ben determinate, come Galtung e Oberg hanno messo bene in luce nei loro scritti).

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