Johan Galtung e le scienze per la Pace
di Rocco Altieri

Johan Galtung, autore quanto mai prolifico, con all’attivo oltre mille articoli e un centinaio di libri tradotti in più lingue, è universalmente considerato il fondatore a livello accademico della Peace Research. Da sempre grande globe-trotter della nonviolenza, negli ultimi dieci anni è diventato l’instancabile formatore di TRANSCEND, una rete da lui ispirata di ricercatori e mediatori dei conflitti che, in collaborazione con le principali istituzioni internazionali, l’ONU innanzitutto, promuove la pace con mezzi di pace.

Il CISP, Centro Interdipartimentale di Scienze per la Pace, dell’Università di Pisa è lusingato dell’opportunità di pubblicare in italiano il suo libro più recente, un testo pensato espressamente per la didattica che può, quindi, risultare di grande ausilio ai corsi di Scienze per la Pace.

Pur presentandosi nella forma agile di un manuale pratico per la gestione delle più diverse situazioni conflittuali, questo libro, che si presenta in alcuni momenti con tratti anche lievi e giocosi, è in realtà supportato dalla stessa solida teoria presente delle altre più ponderose pubblicazioni del nostro autore. Perciò, per meglio inquadrare la ricchezza e l’originalità del discorso che vi viene svolto, conviene ripercorrere i passaggi principali della biografia intellettuale di Galtung. Infatti, la chiarezza espositiva, quando viene raggiunta, non è mai banale, ma è il punto di approdo di un percorso lungo e faticoso di ricerca teorico-sperimentale e di chiarificazione personale.

Nato a Oslo nel 1930 da una antica famiglia aristocratica, figlio di un medico, Galtung vive l’adolescenza nella Norvegia invasa ed occupata dai nazisti, subendo la brutale deportazione del padre in un campo di concentramento. Finita l’immane tragedia della guerra, Johan si interroga su come impegnarsi per scongiurare al mondo altre catastrofi. Matura scelte di vita decisive. Studente universitario, allo stesso tempo, dei corsi di matematica e di sociologia, orienta presto i suoi interessi ai temi della Peace Research, acquisendo quell’approccio interdisciplinare che caratterizzerà la nascita delle Scienze per la Pace. Completati gli studi curricolari , si dichiara obiettore di coscienza al servizio militare, scontando sei mesi di carcere duro. Quei mesi sono, alla maniera di Gramsci e di Gandhi, occasione di studio e di scrittura. Con la guida di Arne Næss1 si interessa allo studio del saty?graha, il metodo di lotta gandhiano che stabilisce un nesso inscindibile tra i mezzi e i fini dell’azione politica.

Arne Næss è stato il suo primo e mai dimenticato mentore. Allorché il filosofo norvegese programma un ciclo di lezioni sull’ “etica politica di Gandhi”, Johan si offre come coadiutore. Il risultato di quel lavoro comune è contenuto in una pubblicazione in norvegese del 19552.

Si può, quindi, ben dire che, fin dai suoi primi anni della formazione giovanile, la nonviolenza ha rappresentato per Galtung la principale fonte di ispirazione e ne costituirà per sempre la stella cometa di tutta la sua successiva opera di sociologo e di attivo “uomo planetario”.

In questo orizzonte di nonviolenza, oltre che nelle università Galtung si struttura come scienziato nella ricerca sul campo, indagando i temi della miseria e della violenza.

Negli anni ’56 – ’57 si reca in Sicilia per studiare la situazione di quella terra e sostenere l’opera nonviolenta di Danilo Dolci, il Gandhi siciliano, che vi ha avviato un vasto programma di denunce e di iniziative costruttive (si pensi allo “sciopero alla rovescia”)3 per sconfiggere la violenza mafiosa, quella istituzionale non meno di quella diretta, che costringe gli adulti alla disoccupazione forzata, i bambini alla morte per inedia.

A quel giovanile viaggio in Sicilia risale il suo colorito parlare italiano, la facondia e la solarità del suo estroso carattere siculo-normanno, il legame speciale che Galtung sente tuttora per l’Italia e che lo porta così frequentemente a tornarvi per tenere conferenze e seminari.

L’esperienza siciliana4, tanto importante, viene invece ignorata dai suoi biografi5. In realtà, l’amicizia mai tradita con Danilo è fondamentale per comprendere la maturazione dei suoi futuri strumenti concettuali. Innanzitutto la ricerca di modelli di sviluppo organici orientati ai basic-need (il soddisfacimento dei bisogni umani fondamentali) e alla self-reliance (conseguire l’autonomia), obiettivi che costituiranno la base teorica del suo impegno di studioso dello sviluppo negli anni ’70 e ‘80, traggono le sue radici in quel laboratorio che è Partinico negli anni ’50 e ’60 .

L’incontro con Danilo Dolci marca una profonda differenziazione con l’allora egemonica scuola americana della conflict resolution, che rischia in realtà di cadere nel behavioralism , cioè nella illusione di risolvere tutto agendo sul fronte dei comportamenti individuali, ignorando i cambiamenti strutturali necessari nella lotta allo sfruttamento, la più grande delle violenze che Gandhi ha combattuto avversando il colonialismo inglese. Come osserva T. Weber, il maggior contributo che Galtung ha offerto agli studi per la pace è consistito nell’aver affermato che “l’opposto della pace è la violenza, non la guerra”6 e che compito della nonviolenza è costruire società giuste.

Dopo la Sicilia, altro passaggio importante è il viaggio che lo porta negli Usa del 1958, quando Galtung viene chiamato come visiting professor alla Columbia University. In quella occasione ha modo di avviare una ricerca empirica sui conflitti razziali a Charlottesville7 (Virginia), che gli permette di affinare la sua metodologia di indagine, individuando i cicli di vita dei conflitti, demistificandone i processi, ponendo le prime basi alla sua teoria della trasformazione nonviolenta.

In occasione del soggiorno americano sono da evidenziare gli incontri fecondi con due grandi maestri della sociologia: R. Merton e P. Sorokin.

Sviluppando il pensiero di R. Merton8, Galtung elaborerà una versione non conservatrice dello struttural-funzionalismo che lo porta ad analizzare le relazioni isomorfiche tra i sistemi sociali e nelle relazioni tra gli stati, approdando a una teoria strutturale dell’imperialismo9.

Il suo programma di studio si propone di capire come nel corso dei conflitti sia possibile, preservando le persone, costruire alternative funzionali alle strutture di violenza. È di questi anni l’enciclica Pacem in terris di Papa Giovanni XXIII, da cui Galtung riprende, l’insegnamento a distinguere l’errore dall’errante, a combattere il peccato, non la persona del peccatore.

Da Sorokin, che ha dato vita ad Harvard al Center for Creative Altruism10, un laboratorio formativo per operatori di pace, riprende il gusto del confronto tra le cosmologie del sensismo e dell’idealismo11. La visione delle epoche storiche e dei suoi cicli ispirerà in Galtung il confronto tra le culture profonde e i diversi modelli di sviluppo12.

Tornato in Europa, nel 1959 Galtung fonda a Oslo il primo centro europeo per la Peace Research, il PRIO ( International Peace Research Institute Oslo), di cui ne sarà il direttore per dieci anni. Nel 1964 fonda il Journal of Peace Research. Nel suo primo editoriale teorizza con chiarezza la sua fondamentale distinzione tra “pace negativa” e “pace positiva”13, in quanto la pace non è solo assenza di guerra, ma costruzione di società giuste e prive di violenza.

Grazie a Galtung la Peace Research acquisisce uno statuto scientifico più ampio della visione prevalentemente giuridica delle relazione internazionali, superando la tradizione di K. Boulding, A. Rapoport, H. Kelman, W. Izard, autori che focalizzano l’attenzione esclusivamente sulle trattative per il disarmo, e avviandosi ora ad un approccio olistico fondato su una sociologia impegnata per la pace, capace di sviluppare la creatività e l’immaginazione di nuovi mondi possibili.

Intanto dal suo osservatorio norvegese l’orizzonte si allarga ai territori del Sud del modo: l’America Latina, l’Africa, l’India.

Durante un suo viaggio in Cile nel 1964, viene chiamato a collaborare a un progetto di ricerca sociale sulle povertà in America Latina, il cosiddetto progetto Camelot14. Quando scopre che il progetto è pensato e finanziato dal Dipartimento della Difesa degli Usa, ne denuncia l’obiettivo di utilizzare le scienze sociali in funzione di controllo sociale. Lo studio dei problemi sociali della disoccupazione e della fame in America Latina sarebbe servito non per aiutare la soluzione dei problemi, ma per individuare e spegnere i focolai possibili di contestazione e di rivolta sociale. La dura presa di posizione di Galtung porterà all’annullamento definitivo del progetto.

Nel 1965 si reca in Africa per studiare la situazione dell’apartheid in Rodesia, raccogliendo ulteriori materiali di riflessione sulla violenza strutturale presente nelle relazioni tra centro e periferia.

Del 1969 è il suo viaggio in India. Soggiorna presso il Gandhian Institute di Varanasi dove ha modo di rielaborare le sue riflessioni su Gandhi come scienziato sociale dei conflitti, che costituirà il contenuto del suo nuovo libro, pubblicato anche in italiano col titolo Gandhi oggi15.

Come con Gandhi la nonviolenza da precetto religioso diviene leva della mobilitazione politica delle masse, così con Galtung la nonviolenza entra finalmente nelle accademie, riconosciuta e accettata come metodo di indagine scientifica della trasformazione sociale nonviolenta.

Per lungo tempo, sulla scia di una male intesa interpretazione del dettato weberiano sulla oggettività e avalutatività delle scienze sociali16, si è determinato quello che Martin Buber chiama un senso di impotenza e di rassegnazione della sociologia di fronte al male nella storia17. Buber, già allievo di Simmel e della tradizione sociologica tedesca, auspica un cambiamento di paradigma della sociologia moderna che riconosca la propria crisi come crisi della società umana. La sociologia per uscirne deve istruire una nuova relazione dialogica con la realtà e farsi, attraverso la conoscenza dei nessi sociali e istituzionali, agente di educazione in chiave sociologica, avendo come missione di “educare … gli uomini che possono convivere gli uni con gli altri”18.

Galtung ha realizzato nella sua opera di scienziato sociale l’auspicio di Buber a “una chiarificazione concettuale radicale”19 e a rifondare su nuove basi i concetti sociologici. Con la sua visione triangolare di teoria-dati-valori20 ha permesso alla sociologia di uscire dalla sua impasse metodologica, restituendole la sua efficacia di scienza applicata.

In questa prospettiva di cambiamento di paradigma, la nonviolenza si offre come il metodo sperimentale di una nuova scienza dei conflitti. Il metodo nonviolento indica, secondo l’etimologia del vocabolo greco, la ‘via’ (hodós) che conduce oltre (metá) il conflitto, che cioè “lo trascende”. La nonviolenza nel porre l’attenzione sul rapporto mezzi – fini si afferma come una diversa razionalità scientifica. A partire dalla consapevolezza che il conflitto di per sé può non essere distruttivo, ma occasione di sfida e di cambiamento, il metodo di approccio nonviolento è decisivo per trasformare le presenti realtà strutturali che producono ingiustizia e guerra.

Galtung ha descritto la fisionomia degli studi sociali per la Pace, facendo ricorso alla suggestiva immagine medica della diagnosi – prognosi – terapia21. Il conflitto viene indagato come si fa per i sintomi di una malattia, individuandone le cause (diagnosi), il decorso (prognosi), la cura (terapia). Figlio di un medico, Galtung è così diventato l’indiscusso medico/mediatore dei tanti conflitti sociali e internazionali.

Il lavoro del mediatore dei conflitti è essenzialmente culturale ed educativo, la sua medicina è di tipo nonviolento. Agisce negli strati profondi delle persone e delle società, curando la cultura degli attori del conflitto attraverso un processo maieutico, alla maniera indicata da Danilo Dolci, perché un conflitto, potenzialmente distruttivo, può diventare, attraverso la consapevolezza degli attori coinvolti, generatore di nuove realtà. L’obiettivo del mediatore sarà, quindi, quello di aiutare le parti a trovare le possibili alternative alla violenza e alla guerra, attivando dinamiche e processi sociali costruttivi, e non distruttivi.

La distinzione tra violenza diretta e violenza strutturale, l’indagine delle cause profonde della violenza radicata nelle culture dei popoli, il discorso sui modelli di sviluppo alternativi, i nessi tra conflitto e sviluppo, tra sicurezza e transarmo, tra armamenti non-offensivi e forme di difesa su basi civili e nonviolente, il legame inscindibile tra pace e giustizia, sono le tante acquisizioni teoriche degli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso di cui dobbiamo essere grati al grande sociologo norvegese.

Un conflitto, insegna, Galtung non può essere definitivamente risolto, ma solo trasformato o, per meglio dire, trasceso. Questa consapevolezza ha portato alla creazione nel 1998, quaranta anni dopo i primi studi di Charlottesville, al progetto TRANSCEND22 che si propone di sostenere e diffondere il metodo nonviolento nella trasformazione dei conflitti.

“Trascendere” significa ridefinire la situazione affinché ciò che sembrava incompatibile e bloccato si apra a una nuova prospettiva. La creatività è la chiave per trasformare il conflitto. L’atto creativo non significa necessariamente l’inserimento di nuovi elementi, ma può consistere anche nella combinazione diversa di quelli già esistenti. Il metodo TRANSCEND riprende molto della cosmologia buddista, in cui la compassione porta alla comprensione dell’altro attraverso la propria auto-purificazione nella comune ricerca della verità.

TRANSCEND è in questi anni diventato il più accreditato network internazionale di studiosi-mediatori che si occupa professionalmente dei conflitti sociali tra stati, nazioni, civiltà.

Il manuale che qui proponiamo è il frutto più recente di questo ricco e originale percorso.

Esso si offre a studenti e docenti dei corsi di Scienze per la Pace, agli operatori sociali e a chi si prepara a diventare un mediatore di pace, ai politici di professione e agli uomini di Stato, ma anche a qualsiasi persona che voglia apprendere “l’arte” di trascendere i conflitti.

Ancorandosi alla solida teoria elaborata in decenni di attività di studio, formazione e mediazione internazionale, J. Galtung ha realizzato con questo libro un efficace compendio del suo metodo, con esercitazioni pratiche utili per la gestione delle più diverse situazioni conflittuali.

Scanditi dalla progressione dei giorni della settimana, dal lunedì al sabato, vi vengono esaminati 40 conflitti reali, partendo dai micro-conflitti della vita quotidiana, per passare ai meso-conflitti di classe, genere, razza fino ad arrivare ai macro-conflitti tra stati-nazione e tra civiltà.

Agli inizi la lettura scorre leggera, con aspetti buffi e divertenti, soprattutto quando si affrontano le vicende domestiche riprese dalla vita personale dell’autore. L’intento è di preparare il lettore in maniera graduale e apodittica ad affrontare, nei giorni successivi, le situazioni più complesse. Arrivati ad analizzare i conflitti cruenti, la scrittura si fa greve, offrendo un repertorio di informazioni quanto mai utile e aggiornato.

I lettori durante tutto il percorso non sono lasciati in un ruolo passivo, ma vengono continuamente coinvolti nei casi esaminati, sollecitati ad attivarsi nella ricerca delle soluzioni possibili, a dare il proprio contributo di creatività. Giunti alla fine della settimana ci si sente arricchiti di speranza, persuasi che ci sono sempre alternative alla coercizione e alla violenza, anche in quei conflitti che da lungo tempo appaiono “intrattabili”.

La pace spesso corrisponde alla capacità umana di immaginare un nuovo inizio, immedesimandosi nelle ragioni dell’altro, superando gli egoismi, le pigrizie mentali, le rigidità ideologiche, attivando la creatività nel ricercare le alternative possibili, imparando, insomma, a trascendere i conflitti…

There are alternatives!23 (ci sono sempre alternative!), è lo slogan felice di Galtung, che è riecheggiato in tutti questi anni negli scenari conflittuali di mezzo mondo. Un conflitto si può trascendere, andando oltre gli obiettivi delle parti contrapposte, favorendo la formazione di obiettivi superiori, inizialmente impensabili, che non escludano nessuna delle parti in gioco.

Alla grande autorità di studioso acquisita da Galtung in questi anni, libero dai conformismi e dai condizionamenti, ben si addice quel tratto deontologico degli scienziati sociali auspicato da M. Weber nel lontano 1917, quando scriveva:

“ Si deve soltanto ricordare che, se ce n’è qualcuna, l’obbligazione più particolarmente appropriata a «pensatori» di professione consiste nel mantenere di fronte agli ideali dominanti al momento, anche di fronte a quelli più maestosi, una mente fredda, nel senso di rimanere personalmente capaci, se necessario, di «nuotare contro corrente»24”.

Grazie Johan per il tuo magistero!


Bibliografia degli scritti di J. Galtung pubblicati in italiano:

1. Imperialismo e rivoluzioni. Una teoria strutturale, Torino, Rosenberg & Sellier, 1977.

2. Ambiente, sviluppo e attività militare, Torino, EGA, 1982.

3. I blu e i rossi, i verdi e i bruni. Un contributo critico alla nascita di una cultura verde, Torino, Centro Studi e Documentazione “Domenico Sereno Regis”, 1985, poi in IPRI, I movimenti per la pace. Le ragioni e il futuro, vol. I, Torino, EGA, 1986, pp. 31-59.

4. Ci sono alternative ! Quattro strade per la sicurezza, Torino, EGA, 1986.

5. Gandhi oggi, Torino, EGA, 1987.

6. Palestina-Israele. Una soluzione nonviolenta? , Torino, Sonda, 1989.

7. Il movimento per la pace: un’analisi struttural-funzionale, in IPRI, I movimenti per la pace. Una prospettiva mondiale, vol. III, Torino, EGA, 1986, pp. 32-55.

8. Buddismo. Una via per la pace, Torino, EGA, 1994.

9. Storia dell’idea di pace, Torino, Pangea, 1995.

10. Scegliere la pace. Un dialogo tra Johan Galtung e Daisaku Ikeda, Milano, Esperia, 1996.

11. I diritti umani in un’altra chiave, Milano, Esperia, 1997.

12. I diritti umani, occidentali, universali, in Educare alla pace, Milano, Esperia, 1998, pp. 33-42.

13. Lo stato nazionale e la cittadinanza: e la cittadinanza globale? lo sfondo culturale, politico e istituzionale, in Educare alla pace, op. cit. , pp. 279-306.

14. Pace con mezzi pacifici, Milano, Esperia, 2000.

15. La trasformazione nonviolenta dei conflitti. Il metodo Transcend, Torino, EGA, 2000.

16. 11 settembre 2001: diagnosi, prognosi e terapia, in “Quaderni Saty?graha” n. 1, Pisa, Centro Gandhi, 2002, pp. 40-58.

17. Uscire dal circolo vizioso tra terrorismo e terrorismo di stato: alcune condizioni psicologiche, in “Quaderni Saty?graha” n. 2, Pisa, Centro Gandhi, 2002, pp. 30-43.

18. Usa-Iraq: ci sono alternative e la resistenza è possibile!, in “Quaderni Saty?graha” n. 3, Pisa, Centro Gandhi, 2003, pp. 47- 50.

NOTE

1 A. Næss, tra i principali artefici della resistenza nonviolenta all’occupazione nazista della Norvegia è conosciuto in tutto il mondo per essere il principale teorico dell’eco-sofia e della deep ecology. Cfr. in italiano : A. Næss, Ecosofia, Como, Red, 1994.

2 J. Galtung & A. Næss, Gandhis Politiske Etik, Oslo, Hohan Grundt Tanum, 1955.

3 Cfr. Processo all’articolo 4, Torino, Einaudi, 1956.

4 Galtung tornerà in Sicilia ripetutamente anche negli anni sessanta fino alla conclusione della sua indagine sullo sviluppo di tre villaggi della regione occidentale, condotta con il supporto del Centro Studi e Iniziative per la piena occupazione di Partinico (PA), ricerca che è diventata un classico della sociologia dello sviluppo: J. Galtung, Members of two worlds. A development study of three villages in western Sicily, New York, Columbia University Press, 1971.

5 Cfr. P. Lawler, A Question of Values. Johan Galtung’s Peace Research, Boluder, Colorado, USA, Lynne Rienner, 1995; T. Weber, Johan Galtung – peace research moves beyond war, in Gandhi as Disciple and Mentor, Cambridge (UK), Cambridge University Press, 2004, pp. 203-217.

6 T. Weber, Gandhi as Disciple and Mentor, Cambridge, UK, Cambridge University Press, 2004, p.205.

7 Charlottesville è la città di Thomas Jefferson.

8 Cfr. R.Merton, Teoria e struttura sociale, Bologna. il Mulino, 1959.

9 J. Galtung, Imperialismo e rivoluzioni. Una teoria strutturale, Torino, Rosenberg & Sellier, 1977.

10 Cfr. P. Sorokin, Il potere dell’amore, Roma, Città Nuova, 2005.

11 P. Sorokin, Social and Cultural Dynamics, New York, American Book Company, 1937-1941.

12J. Galtung, I blu e i rossi, i verdi e i bruni, Torino, Centro Studi e Documentazione “Domenico Sereno Regis”, 1985, poi in IPRI, I movimenti per la pace. Le ragioni e il futuro, vol. I, Torino, EGA, 1986, pp. 31-59.

13 Abbiamo scoperto che questa distinzione tra pace positiva e pace negativa è stata già formulata negli stessi termini dal premio Nobel per la pace Jane Addams nel 1902. Cfr. Allen F. Davis, American Heroine. The Life and Legend of Jane Addams, Chicago, Ivan R. Dee, 1993.

14 J. Galtung, Paper on Metodology, Volume II, Copenhagen, Christian Ejlers, 1979, pp.161-179.

15 J. Galtung, Gandhi oggi, Torino, EGA, 1987.

16 Cfr. M. Weber, Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali, Torino, Edizioni di Comunità, 2001.

17 Cfr. M. Buber, Profezia e politica, Roma, Città Nuova, 1996, pp. 77-93.

18 Ibid., p. 80.

19 Ibid., p. 93.

20 J. Galtung, Pace con mezzi pacifici, Milano, Esperia,

21 Ibid.

22 J. Galtung, La trasformazione nonviolenta dei conflitti. Il metodo Transcend, Torino, EGA, 2000.

23 J. Galtung, Ci sono alternative ! Quattro strade per la sicurezza, Torino, EGA, 1986.

24 M. Weber, Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali, Milano, Edizioni di Comunità, 2001, p. 598.

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