Duccio Zola Intervista Johan Galtung

Tratto da La Nonviolenza e’ in Cammino

Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 gennaio 2006.
Duccio Zola e' un ricercatore impegnato nel progetto Globi dell'associazione
Lunaria di Roma.

Johan Galtung, nato in Norvegia nel 1930, fondatore e primo direttore
dell'Istituto di ricerca per la pace di Oslo, docente, consulente dell'Onu,
e' a livello mondiale il piu' noto studioso di peace research e una delle
piu' autorevoli figure della nonviolenza. Una bibliografia completa degli
scritti di Galtung e' nel sito della rete "Transcend", il network per la
pace da lui diretto, cui rinviamo: www.transcend.org Dal quotidiano da cui
abbiamo ripreso la seguente intervista riprendiamo anche la seguente scheda
su Galtung: "Johan Galtung (Oslo, 1930) e' il piu' insigne teorico dei
moderni studi della pace. Fondatore nel 1959 dell''International Peace
Research Institute' di Oslo, consigliere presso le Nazioni Unite, professore
onorario in numerose universita', tra cui la Princeton University e la Freie
Universitaet di Berlino, e' attualmente titolare della cattedra di 'Peace
Studies' presso l'Universita' delle Hawaii. Galtung ha dato vita nel 1964 al
'Journal for Peace Research' e nel 1987 e' stato insignito del 'Right
Livelihood Award' (il cosiddetto 'Premio Nobel alternativo per la pace').
Fondatore e direttore di 'Transcend' (www.transcend.org), un'organizzazione
internazionale per la risoluzione nonviolenta dei conflitti che opera in
tutto il mondo, e' il rettore della Transcend Peace University. Il suo
ultimo libro pubblicato in Italia e' La pace con mezzi pacifici (Esperia
Edizioni)"


Di ritorno da una missione di mediazione in Birmania e in Kashmir, Johan
Galtung ha fatto recentemente scalo a Roma in occasione della giornata
conclusiva dell'iniziativa "Pace e diritti umani. Un'utopia concreta",
promossa dalla presidenza del Consiglio Provinciale in collaborazione con
l'associazione Lunaria e con il Forum provinciale per i diritti umani. In un
affollato incontro alla sala convegni di piazza Montecitorio, ha parlato di
come raggiungere la pace con mezzi pacifici, concentrandosi sulla situazione
mediorientale e offrendo un punto di vista opposto al paradigma della guerra
preventiva e permanente incarnato dalla politica estera dell'amministrazione
Bush. Incontrato a margine della conferenza, Galtung ha confermato la
profondita' analitica e la capacita' propositiva che lo hanno reso noto tra
gli attivisti pacifisti di mezzo mondo.
*
- Duccio Zola: Professor Galtung, come uscire da una crisi che sta
investendo tutta la regione mediorientale?
- Johan Galtung: Innanzitutto aprendo il dialogo tra Occidente e mondo
arabo, esattamente cio' che non stanno facendo gli Stati Uniti e i loro
alleati, che amano presentarsi come difensori dei valori democratici. Eppure
la democrazia presuppone che nessuno puo' avere il monopolio della verita' e
che le ragioni di tutti devono essere ascoltate. Risolvere un conflitto
significa uscire dal passato e aprire al futuro, ma proprio per questo non
bisogna dimenticare che le vittime hanno una memoria da elefante, al
contrario dei carnefici. Le umiliazioni che gli arabi hanno subito da parte
degli occidentali nel corso del secolo scorso generano ancora oggi
sofferenze e sono alla base di vendette violente.
*
- Duccio Zola: A quali umiliazioni si riferisce?
- Johan Galtung: Esse sono legate a tre episodi storici in particolare, che
qui da noi nessuno sembra ricordare. Il primo e' la costruzione artificiale
dello stato iracheno da parte del governo britannico nel 1916, per
garantirsi una posizione di dominio imperiale in Medio Oriente. Il secondo
e' la sigla del trattato tra il presidente americano Roosevelt e la casa
regnante saudita nel 1945, che prevedeva la protezione americana alla casa
regnante nell'eventualita' di una rivoluzione popolare in cambio
dell'accesso alle riserve petrolifere saudite. Questo accordo tradiva
completamente la dottrina religiosa wahabita fondata sulla parola di
Maometto, che vieta la presenza di infedeli in Arabia Saudita, considerata
la terra promessa. L'ultimo episodio si riferisce alla guerra del Rif,
combattuta dalla Spagna in Marocco, e precisamente al bombardamento aereo
del 1925 sulla citta' marocchina di Chauen, guidato da un generale spagnolo
di nome Francisco Franco, che ha causato migliaia di vittime tra i civili.
Gli attentati di New York, Madrid e Londra, sono legati assieme dal filo
rosso dell'umiliazione e si rimandano a vicenda. Ma a differenza degli Stati
Uniti e del Regno Unito, la Spagna ha saputo reagire nel modo giusto,
scongiurando cosi' il rischio di futuri attacchi.
*
- Duccio Zola: Lei quindi sostiene la linea di Zapatero sul ritiro immediato
delle truppe dall'Iraq...
- Johan Galtung: Certo. Ma il ritiro delle truppe e' stata solo la prima
mossa di Zapatero. Pochi giorni dopo la sua elezione, e' volato a Rabat per
discutere con il re del Marocco la situazione di Ceuta e Melilla,
protettorati spagnoli sulla costa marocchina. Oggi, si sta profilando per
questi due territori un cambio di sovranita', come e' gia' successo a Hong
Kong. Dopo aver avviato questa mediazione, Zapatero non si e' fermato. Ha
promulgato una legge che regolarizza la posizione dei clandestini marocchini
che hanno un impiego in Spagna, aprendo loro le porte per l'integrazione.
Poi, lo scorso ottobre ha dato inizio a un dialogo di civilizzazione facendo
incontrare esponenti di primo piano, per meta' arabi e per meta'
occidentali, del mondo politico, economico e accademico. In questo modo la
Spagna ha avviato quel processo di riconoscimento e sconfessione del suo
passato imperialista nei confronti del mondo arabo e ha aperto le porte
all'integrazione e al dialogo. Mediazione, conciliazione e dialogo
costituiscono i cardini della risoluzione nonviolenta dei conflitti. Bush,
Blair e Berlusconi non hanno fatto nulla di tutto questo, non e' nel loro
interesse. Se, come credo, in Italia il centro-sinistra vincera' le prossime
elezioni, spero che prenda esempio da Zapatero.
*
- Duccio Zola: Tornando alla situazione mediorientale, le dichiarazioni del
presidente iraniano Ahmadinejad contro Israele non lasciano presagire nulla
di buono...
- Johan Galtung: Una cosa e' la retorica, un'altra sono i fatti. E i fatti
testimoniano del progressivo allargamento di Israele ai danni della
Palestina, che occupa oggi solo il 7,5% del territorio che le era stato
assegnato nel 1947. Con questo non voglio assolutamente giustificare le
provocazioni di Ahmadinejad, ma solo riportare l'attenzione sulla drammatica
situazione palestinese. Sia Israele che la Palestina hanno diritto ad uno
stato, ma per garantire pace e stabilita' in quella zona e' necessario
istituire, sul modello della Comunita' economica europea del 1958, una
Comunita' di paesi mediorientali che comprenda Israele, Palestina, Siria,
Libano, Giordania ed Egitto. Solo cosi' si potra' garantire la sopravvivenza
dello stato palestinese, minacciato dallo strapotere israeliano. D'altra
parte, la sicurezza di Israele non puo' dipendere dalla sua forza militare o
dall'alleanza con gli Stati Uniti, ma deve essere conquistata
definitivamente attraverso la capacita' di istituire buone relazioni con i
paesi vicini. Il modello federativo di cui sto parlando risponde esattamente
a queste esigenze.
*
- Duccio Zola: Concludiamo con le vicende dell'Unione Europea. Come giudica
il fallimento del referendum sull'approvazione della Costituzione in Francia
e in Olanda?
- Johan Galtung: Il fatto e' che il testo costituzionale e' complicatissimo,
scritto da burocrati per altri burocrati, frutto di una cattiva opera di
mediazione, in cui compare l'obbligo di armamento ma non una parola
sull'uguaglianza tra uomo e donna. Francesi e olandesi non hanno bocciato la
Costituzione europea perche', come lascerebbe supporre il voto nel
referendum, sono anti-europei, ma semplicemente perche' hanno letto quel
testo impossibile e hanno agito di conseguenza.

5. LIBRI. DONATELLO SANTARONE PRESENTA DUE RECENTI LIBRI SUL SUDAFRICA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 gennaio 2006.
Donatello Santarone insegna Teorie e tecniche della mediazione culturale
all'Universita' Roma Tre. Tra le opere di Donatello Santarone:
Multiculturalismo, Palumbo, Palermo 2001; La mediazione letteraria. Percorsi
interculturali su testi di Dante, Tasso, Moravia, Fortini, Arbasino, Defoe,
Tournier, Coetzee, Emecheta, Ken Saro-Wiwa, Palumbo, Palermo 2005; Donatello
Santarone, Educare diversamente. Migrazioni, differenze, intercultura,
Armando, Roma 2006.
Itala Vivan, studiosa e docente universitaria di letteratura comparata; ha
svolto ricerche sulle societa' coloniali anglofone e sulla transizione al
postcolonialismo, analizzandone le espressioni letterarie e le forme
culturali; e' stata osservatrice internazionale durante le elezioni del 1994
in Sudafrica; ha dedicato particolare attenzione alle letturature africane e
all'impegno contro il pregiudizio e le persecuzioni razziste. Tra le opere
di Itala Vivan: Caccia alle streghe nell'America puritana, Rizzoli, Milano
1972; Interpreti rituali, Dedalo, Bari 1978; (a cura di), Il nuovo
Sudafrica, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; (a cura di), Corpi liberati
in cerca di storia, di storie. Il Nuovo Sudafrica dieci anni dopo
l'apartheid, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005.
Maria Solimini e' antropologa presso l'universita' di Bari. Tra le opere di
Maria Solimini: (a cura di), Dal Sudafrica, Edizioni dal Sud, 2005]

Quando nel 1989 il rifugiato politico sudafricano Jerry Masslo venne
assassinato a Villa Literno, l'Italia "scopri'" di essere razzista. La
reazione democratica di sdegno per l'omicidio del giovane sudafricano
favori' lo sviluppo di un movimento a favore dei diritti dei migranti e si
accompagno' ad una rinnovata attenzione verso le vicende politiche del
Sudafrica che proprio in quegli anni stava faticosamente uscendo da quella
che Frantz Fanon aveva definito "la piu' grande prigione del mondo". E'
storia nota che nel 1990 Nelson Mandela venne liberato dopo 27 anni di
carcere, che nel 1994 si tennero le prime elezioni democratiche e che nel
1996 fu approvata la nuova Costituzione, ritenuta da molti studiosi tra le
piu' avanzate al mondo per cio' che riguarda i diritti umani e sociali. Non
furono pochi quelli che sottolinearono come la "lunga marcia" dell'African
National Congress (Anc), del Congress of South African Trade Unions (Cosatu)
e di tutte le altre forze sindacali, politiche, religiose, culturali
schierate contro l'apartheid aveva conseguito un risultato straordinario:
avviare una transizione democratica senza guerre "tribali" (ad eccezione di
quella fomentata dal partito zulu di Buthelezi, l'"Inkata Freedom Party"),
senza genocidi "etnici", senza, insomma, quell'orrendo copione che ha
insanguinato l'ex Jugoslavia, il Ruanda e tante altre parti del pianeta (e
che tuttora mette l'un contro l'altro armati i poveri del mondo).
*
A dieci anni dalle prime elezioni democratiche, esce un prezioso e
documentato volume tutto dedicato al Sudafrica contemporaneo, curato
dall'africanista ed esperta di studi culturali e postcoloniali Itala Vivan
(Corpi liberati in cerca di storia, di storie. Il Nuovo Sudafrica dieci anni
dopo l'apartheid, Baldini Castoldi Dalai, pp. 446, euro 15).
Scritti da alcuni dei migliori specialisti in materia - italiani, inglesi,
sudafricani - i quindici saggi presenti nel volume consegnano al lettore uno
panorama molto articolato del paese africano, spaziando dal negoziato di
pace (Kader Asmal) all'analisi del lavoro della Commissione per la Verita' e
la Riconciliazione (Marcello Flores, Roberto Pedretti), dal retaggio del
passato coloniale (Thomas W. Bennett, Giampaolo Calchi Novati) alle
relazioni e al diritto internazionali (Mike Terry, Gabriella Venturini), dai
problemi dello sviluppo economico (Alan Hirsch) a quelli della politica
della sicurezza (Cristiana Fiamingo) e del rapporto tra stato e societa' (Jo
Beall), dalla cultura (Itala Vivan) alla letteratura del dopo-apartheid
(Andries W. Oliphant), dal cinema (Martin P. Botha) all'urbanistica (Lucien
le Grange) e alla stampa (Tiziana Cauli). Va pure ricordato che il volume e'
accompagnato da un'utilissima cronologia delle vicende storiche del
Sudafrica dal Seicento ad oggi, da un'altrettanto preziosa carta geografica
del paese e da una ricchissima bibliografia (quasi interamente in lingua
inglese a conferma del persistente provincialismo della nostra cultura).
Un volume dunque molto ricco di contributi e di punti di vista, ma del quale
vanno sottolineati alcuni dei temi affrontati. Il primo aspetto riguarda gli
aspetti socio-economici del paese africano a dieci anni dalla fine del
regime segregazionista. Su questo punto, purtroppo, nonostante il paese sia
governato dall'Anc, i diversi autori sottolineano la lunga strada ancora da
percorrere per arrivare ad una maggiore eguaglianza economica che garantisca
a tutti i fondamentali diritti sociali: casa, istruzione, sanita', lavoro,
reddito adeguato. Di questo e' consapevole il pur discusso presidente
sudafricano Thabo Mbeki - negli anni scorsi, molti movimenti sociali hanno
definito la sua politica neoliberista - il quale, in una lettera settimanale
del 24 agosto 2003 riportata dall'economista Alan Hirsch, affermava: "Il
compito che ci troviamo ad affrontare e' (...) quello di ideare e mettere in
atto una strategia che agisca direttamente sull''economia del terzo mondo',
e non dare per scontato che gli interventi sull''economa del primo mondo'
debbano necessariamente avere un impatto positivo sul terzo mondo". Ma
questo significherebbe appunto abbandonare i dogmi neoliberisti, presenti,
anzi in questo momento egemoni all'interno dell'Anc, e dichiararsi a favore
di politiche economiche e sociali che favoriscano la riduzione delle
disuguaglianze. Va naturalmente ricordato, come fa Calchi Novati nel suo
contributo storico sulla guerra anglo-boera, che quattro secoli di
penetrazione e di oppressione coloniale, di razzismo istituzionalizzato, di
politiche subalterne agli interessi delle imprese sudafricane e non solo, di
una politica estera "imperialista" verso i paesi vicini, pesano come macigni
nella vicenda sudafricana.
Come sostiene infatti Calchi Novati, per tante paesi che hanno conosciuto la
supremazia coloniale europea e stanno conoscendo quella neocoloniale
statunitense ci vorranno tempi lunghissimi per superare tali
condizionamenti. Ancora oggi, il capitalismo globale del XXI secolo, sia che
si presenti in salsa africanista sia che assuma la ferocia classista dei
nuovi ricchi cinesi, continua ad aver bisogno di materie prime, di manufatti
a basso costo e di tanti eserciti industriali di riserva nelle metropoli e
nelle periferie. E se le eredita' coloniale e dell'apartheid continuano
indubbiamente a pesare nel Sudafrica contemporaneo, non va tuttavia
dimenticata la contraddittorieta' delle politiche economiche e sociali dei
vari governi sudafricani, che continuano a sostenere la necessita' di
superare la diseguale redistribuzione della ricchezza e, al tempo stesso,
hanno fatto propri in alcune occasione gli inviti del Fondo monetario
internazionale ad applicare politiche di "aggiustamento strutturale" che
favorissero il libero mercato.
Molto denso e' anche il contributo della curatrice Itala Vivan, la quale si
occupa di Sudafrica da oltre vent'anni, e ha partecipato, in qualita' di
osservatore internazionale, alle prime elezioni democratiche del 1994. La
Vivan ricorre ad un'immagine dello scrittore sudafricano Zakes Mda, esule
per molti anni durante il regime dell'apartheid, il quale racconta che dopo
il suo ritorno in patria si e' sentito il corpo libero di viaggiare per il
paese e scoprire le storie della sua gente: "Il Sudafrica e' pieno di storie
che attendono di essere raccontate". Da qui l'importanza della parola orale
e scritta, del ricordo e dell'espressione creativa, della testimonianza e
del racconto: nell'arte, nella politica, nella vita.
Una notazione finale a margine su questo volume. Nel saggio su "Stato e
societa' in Sudafrica", Jo Beall, docente presso la London School of
Economics, scrive: "Un pensatore italiano tra i piu' autorevoli in Sudafrica
e' Antonio Gramsci, che ha fortemente influenzato la sinistra intellettuale
in diversi periodi". E prosegue utilizzando la categoria gramsciana di
"crisi" per esaminare gli ultimi anni dell'apartheid.
*
Un altro volume dedicato al Sudafrica e' quello curato da Maria Solimini
(Dal Sudafrica, Edizioni dal Sud, pp. 255, euro 15).
Maria Solimini, antropologa presso l'universita' di Bari, sottolinea con
forza le gravi ingiustizie sociali che affliggono la giovane repubblica
sudafricana multietnica e multiculturale, ingiustizie provocate da un
capitalismo fatto di bianchi sudafricani, di un'esigua minoranza di neri
ricchi e di bianchi delle multinazionali che continuano a considerare il
Sudafrica terra di conquista di materie prime, con il conseguente
impoverimento (cioe' inquinamento) dell'ambiente e degli uomini e donne
sudafricane. E che ci sia stato un nesso tra regime segregazionista e
sviluppo economico capitalista lo testimoniano molti degli interventi
presenti in questo volume. "Gli investimenti di capitale straniero in
Sudafrica - sosteneva la sociologa sudafricana Ruth First, assassinata nel
1982 da sostenitori dell'apartheid, e ampiamente citata dalla Solimini -
avrebbero comportato lo sviluppo del capitalismo ma non lo sviluppo
sociale". Colpiscono a questo proposito i dati e le statistiche presenti nel
libro, che tendono a stabilire un legame tra impoverimenti della popolazione
e sviluppo, ad esempio, di veri e proprie "epidemie", come ad esempio
l'aumento delle morti per aids, cresciute del 57% dal 1997 al 2003.
La sfida lanciata a suo tempo da Nelson Mandela alle multinazionali dei
farmaci ha infatti trovato resistenze fortissime dentro e naturalmente fuori
il Sudafrica. Un braccio di ferro durato anni, da quando il Sudafrica aveva
annunciato di voler produrre medicinali violando le norme internazionali sui
brevetti. Il governo sudafricano fu portato in tribunale dalle
multinazionali farmaceutiche, che ritirarono le accuse dopo l'avvio di una
campagna mondiale a sostegno del Sudafrica. Un esito positivo che e' stato
pero' ridimensionato dalle successive scelte di Pretoria, giudicate
rinunciatarie dai gruppi di lotta all'Aids.
Il filo conduttore del volume dal Sudafrica e' di guardare alla storia del
Sudafrica come un modello specifico di sviluppo capitalistico. Come sostiene
infatti la curatrice del libro, i Bantustans servivano a dividere e
ghettizzare la popolazione africana per controllare meglio la composizione e
la mobilita' della forza lavoro.
Gli altri saggi presenti nel volume raccontano del "Global forum" del 2002
(Laura Marchetti), di un progetto di elettrificazione in un villaggio rurale
(Rocco Stefanelli), dei nuovi diritti previsti dalla Costituzione (Armida
Salvati), dei nuovi movimenti sociali (Anna Simone), delle donne sudafricane
(Manuale Messina).
Da segnalare, infine, una preziosa appendice di testi che presenta, tra gli
altri, la nuova Costituzione del 1996 (in inglese), le statistiche
sudafricane sulla diffusione dell'hiv e dell'aids, la prefazione ai lavori
della Commissione per la Verita' e la Riconciliazione scritta dal suo
presidente, l'arcivescovo Desmond Tutu.

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