Corpi civili di pace europei: una possibile soluzione?
di Alberto L’Abate,
Campagna per una Soluzione Nonviolenta in Kossovo

Pristina 23 maggio 1996


Abbiamo visto come sia grave la situazione nel Kossovo, e come sia grande il rischio di un conflitto armato che rischierebbe di essere ancora più grave di quello della Bosnia perché coinvolgerebbe, necessariamente, i paesi vicini. Abbiamo anche visto come le posizioni dei serbi, che considerano quello del Kossovo un problema interno loro, e quelle degli albanesi di questa regione, che cercano invece un coinvolgimento internazionale, siano del tutto antitetiche. Abbiamo visto anche i primi segni di un passaggio da una lotta nonviolenta, densa di sacrifici e di sopportazione da parte degli albanesi, a dei primi interventi armati, che forse sono solo delle provocazioni, ma che rischiano di far esplodere la situazione. Intervistando le varie parti del conflitto abbiamo anche potuto notare come le varie soluzioni proposte, sulle quali non si è cominciata nessuna trattativa reale, siano tutte altamente problematiche. E questo perché necessitano di un intervento armato per portarle avanti, come quella della spartizione del territorio, o perché troppo belle ma in questo momento utopistiche, come la Confederazione Balcanica, oppure perché in contrasto con la volontà del governo serbo e della tradizione storico-giuridica del paese, come quella della Mini-Confederazione Yugoslava, ed infine perché la soluzione di “autonomia speciale” che risponderebbe maggiormente ai desiderata della popolazione albanese, e sarebbe forse accettabile da loro, come quella delle isole Asland, non è facilmente accettabile da parte serba (anche per le differenze dei due territori dato che nelle isole Asland non risultano vivere minoranze finlandesi, anche se sicuramente esistono nuclei familiari di questo paese emigrati in quelle isole, mentre nel Kossovo c’è una minoranza serba, calcolata, da parte serba, al 1991 del 9,9 % (11, p. 17) che è, come abbiamo visto, del tutto contraria alla concessione di una autonomia a quel territorio). Inoltre la soluzione del problema delle isole Asland è stata resa possibile dal diretto intervento della Lega delle Nazioni, e cioè di una organizzazione internazionale che è la diretta antecedente delle Nazioni Unite. Ed anche su questo abbiamo visto c’è una spaccatura: i serbi non vogliono interventi esterni, gli albanesi li invocano a piena voce.
Anche su questo argomento abbiamo intervistato i nostri interlocutori, delle varie parti. Gli interlocutori governativi della Serbia sono nettissimi, nessuna mediazione esterna, il problema é loro e lo devono risolvere loro. Ma non risulta essere stato fatto alcun passo - a parte qualche segno di disponibilità come la possibilità di andare in Albania senza bisogno di un visto yugoslavo, che del resto era una assurdità giuridica in totale contrasto con i principi democratici - per aprire realmente un dialogo con la controparte albanese. Le opposizioni serbe, la controparte albanese e tutti gli studiosi intervistati hanno invece dichiarato che non ci sarà alcuna soluzione al problema se la comunità internazionale non interviene e “costringe” il governo serbo ad una trattativa. Dall’altra parte però gli albanesi (se non specificato diversamente ci si riferisce esclusivamente a quelli del Kossovo) hanno dichiarato che per poter aprire un dialogo reale, ed alla pari, con il governo di Belgrado, è necessario, oltre all’intervento della comunità internazionale, od almeno di un paese estero autorevole in veste di terza parte riconosciuta dai due interlocutori, anche la smilitarizzazione del Kossovo, e la fuoriuscita dal suo territorio delle armate serbe “occupanti”. Ma i serbi che vivono in questo territorio sono del tutto contrari perché temono vendette da parte degli albanesi nei loro riguardi. Per proteggerli di fronte a fatti del genere, anche se la scelta della stragrande maggioranza della popolazione albanese di una strategia nonviolenta fa ritenere inesistente o quasi questo pericolo, la smilitarizzazione del territorio kossovaro dovrebbe essere legata all’arrivo nella zona di persone neutrali che si facciano garanti del mantenimento della calma e di un clima di dialogo tra le due parti. I corpi armati delle Nazioni Unite, o tanto meno le forze della Nato, sarebbero del tutto controproducenti. L’intervento di forze armate esterne sarebbe visto dalla popolazione serba, ma anche da parte di quella albanese, come una intrusione pericolosa. E come è successo in varie zone potrebbe essere l’occasione per una riapertura del conflitto e non per la sua soluzione. Per questo l’idea di un intervento nel Kossovo di “Corpi Civili di Pace Europei”, che l’ex deputato altoatesino Alex Langer aveva promosso e che si sta cercando di tradurre in realtà, e che andrebbe portata avanti in stretto contatto con gli organi delle Nazioni Unite, viene accolta molto positivamente da parte sia di serbi non governativi, sia da parte degli albanesi. Un sociologo albanese dell’Università di Pristina ha detto “non c’é distinzione di etnia, tutte le persone amanti della pace di questo paese sarebbero felici di un intervento di questo genere!” (28, pp. 68-70) . Ed un giurista serbo dell’Università di Belgrado ha detto: “E’ l’unica soluzione possibile a questo problema, senza un intervento esterno di questo tipo Milosevic non accetterà mai di risolvere il problema del Kossovo in modo adeguato” (28, pp. 53-55). Favorevoli anche le “Donne in Nero” di Belgrado, il Centro Antiguerra di quella città, il Circolo di Belgrado, tutte le forze politiche albanesi che abbiamo potuto incontrare, ed anche le molte organizzazioni umanitarie che lavorano in questa zona. Una idea abbastanza simile emerge dalla proposta della Transnational Foundation for Peace an Future Research svedese che essi danno come già concordata con le due parti. Questa prende la forma di una autorità temporanea delle Nazioni Unite.

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