Alex Langer, Fragile Come la Speranza
di Francesco Comina
Tratto da La Nonviolenza e’ in Cammino

Permettete un ricordo personale di Alexander Langer. Nel dicembre del 1994 mi arrivo' in dono un abbonamento alla rivista di Forli' "Una Citta'" con una lettera di Alex in cui presentava questo nuovo progetto editoriale e indicava i presupposti per un impegno politico "a partire dal territorio e dai cittadini impegnati e non dai salotti televisivi o dalle stanze dei partiti". Era il regalo che Langer faceva per natale a circa 800 amici. Un mese prima lo avevo invitato a parlare a Merano, nell'ambito di una giornata interetnica organizzata da Pax Christi con il titolo tutto langeriano: "I muri non si costruiscono da soli". Alex elenco' i dieci punti per l'elaborazione di un ordinamento della convivenza pluriculturale. Lo sentii al telefono poche settimane prima del suo ultimo e tragico addio, che mi ricorda sempre quello di frei Tito, il domenicano brasiliano morto suicida su un albero a Lione dopo essere fuggito alle torture e alle sevizie della dittatura nel carcere di San Paolo. Volli ringraziarlo per il dono di natale e rinnovargli l'invito a proseguire il decalogo sulla convivenza in una nuova edizione della giornata interetnica che avevo in mente di organizzare in autunno a Bolzano. Lui come sempre disse di si', sorridendo come lo vidi sorridere ad Assisi quando arrivo' al convegno giovanile della Cittadella con un enorme zaino per lanciare il motto della societa' eco-compatibile: "Lentius, profundius, suavius", piu' lenti, piu' profondi, piu' dolci. Ma il 3 luglio del 1995 Alex fuggi' dalle ombre della storia appendendosi all'albero di albicocche a Pian dei Giullari (Firenze): "I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio piu' - lascio' scritto nei bigliettini d'addio - 'Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati'. Anche nell'accettare questo invito mi manca la forza. Cosi' me ne vado piu' disperato che mai. Non siate tristi, continuate in cio' che era giusto". Credo che Langer sia stato l'ultimo politico italiano ad aver cercato con
tutte le forze di fondere insieme etica e politica, profezia e storia, liberta' e responsabilita', alterita' e identita'. Fino alla fine. Fino a cadere per troppo amore.
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Edi Rabini e' stato l'amico di sempre di Alex Langer, il suo bracci operativo, potremmo dire con un linguaggio forse poco appropriato. Inutile chiedere a Rabini quali sono stati i motivi del suicidio perche' quei motivi resteranno sempre inconoscibili, come sono sempre misteriosi i momenti dell'inizio e della fine di ogni vita umana. Nessuna ricerca di
causa-effetto ne' con l'eccidio di Srebrenica in ex Jugoslavia, ne' con l'esclusione della candidatura a sindaco di Bolzano di Alex e della lista che lo sosteneva alle elezioni comunali del '95 perche' obiettore al censimento etnico. "Alex aveva vissuto tante tragedie umane, tante difficolta' personali - spiega Rabini - era passato attraverso il dramma dell'Albania, le uccisioni indiscriminate in Brasile, per cui non possiamo parlare di causa-effetto rispetto al dramma di Srebrenica. Eppure la coincidenza dell'eccidio e della sua tragica morte ce la teniamo bene stretta. L'elaborazione del lutto per le morti violente, sia che si tratti di omicidio o suicidio, non finisce mai. Cosi' e' accaduto in Ruanda, cosi' e' accaduto in Sudafrica con quello straordinario tribunale per la riconciliazione e la verita' per gli anni dell'apartheid". "Alex – continua Rabini - parlava spesso in forma di metafora, per cui se ci fosse stata davvero una relazione fra l'eccidio di Srebrenica e la sua fine lo avrebbe scritto nei biglietti che ci ha lasciato". "E' incredibile - prosegue ancora Rabini - come dopo la sua morte siano venute a galla innumerevoli presenze di uomini, donne, giovani, con i quali
Alex aveva instaurato collegamenti personali. Si e' resa concreta quell'etica del rapporto diretto che ha rappresentato sempre una costante nella vita di Langer, fin dal suo primo attivismo al ginnasio". Rabini ricorda il colloquio che Langer ha avuto con don Lorenzo Milani durante gli anni degli studi universitari a Firenze. In particolar modo una parabola, che don Lorenzo racconto' al giovane altoatesino che era salito a Barbiana per esprimere al priore il suo sogno di cambiare il mondo: "Io so come andra' al giudizio universale" racconto' don Milani: "Il Signore Iddio chiamera', insieme a me, davanti a se' il rettore del collegio dei gesuiti a Milano. Dira' al rettore 'vedi, tu sei stato sempre con i ricchi. Hai fatto le loro stesse letture, hai condiviso la loro compagnia, sei stato loro commensale, hai educato i loro figli - non puoi non essere diventato come loro. Hai sbagliato tutto, credendo magari di far bene. Hai chiuso gli occhi davanti a coloro che rappresentavano me, e ti sei immedesimato nei loro oppressori. Guarda invece don Lorenzo che e' qui accanto a te: lui ha scelto unilateralmente. Lui ha capito che non si possono amare concretamente piu' di 3-400 persone, ed ha scelto i poveri, i suoi campagnoli. Si e' messo dalla loro parte e ha condiviso il loro mondo'". La lezione di don Milani accompagnera' Langer per tutta la vita (sua anche la traduzione in tedesco di Lettera a una professoressa). Negli anni del suo impegno frenetico all'Europarlamento, Langer terra' vivo lo spirito del rapporto diretto con i gruppi attivi nei vari contesti internazionali. Anche gli incontri che ebbe con i testimoni del tempo, come con il famoso sindacalista brasiliano difensore dell'Amazzonia, Chico Mendes, fatto uccidere da un potente allevatore di Manaus, o con l'allora fondatore del partito dei lavoratori rurali, Ignacio Lula da Silva, oggi presidente del Brasile, o con l'intellettuale "eretico" Ivan Illich, o con il sindaco "santo" di Firenze Giorgio La Pira, o con il vescovo della pace presidente di Pax Christi don Tonino Bello, erano per Langer non un semplice bisogno di conoscenza ma un'esigenza di far crescere l'amicizia e la collaborazione perche' la cultura dei diritti e della pace dilagasse sulla terra. Ecco perche' i suoi atti politici non si esaurivano con la formulazione di una semplice interrogazione parlamentare, ma diventavano progetti concreti di partecipazione personale al riscatto dei poveri, come e' accaduto per un gruppo di indios Xavantes, oppure i pigmei del Congo difesi dal missionario bolzanino Antonio Mazzucato, oppure per i giovani albanesi o gli universitari di Sarajevo.
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"Alex era forte e fragile allo stesso tempo - racconta Lidia Menapace, figura storica del pacifismo italiano - era colto, aveva un attivismo formidabile, una profondita' di analisi unica, eppure fragile anche per via della commistione di elementi che caratterizzavano la sua identita' poliedrica". Menapace conosceva bene Alex: "Mi ha invitato molte volte a Firenze a parlare con gli studenti. Scriveva per la rivista di Giorgio La Pira, "Politica", con lo pseudonimo di Alessandro Longo. Poi ci incontravamo nelle ore piu' incredibili della notte in qualche treno o in qualche stazione italiana di ritorno da un convegno, da un incontro. Sbaglio' - prosegue la Menapace - quando penso' che a Sarajevo bastasse sparare su certe colline per fermare la guerra, e fui contro la sua decisione di chiedere l'intervento della Nato per porre termine al conflitto. Quella richiesta creo' un certo sconcerto nel movimento per la pace, pero' oggi il movimento gli perdona quel passaggio e noto con gioia che Langer e' considerato una icona della cultura della pace". Lidia Menapace propende a pensare che ci sia un nesso fra il suicidio di Alex e l'esclusione della sua candidatura a sindaco di Bolzano: "Lo ricordo in quei mesi, era molto scosso, molto deluso di sentirsi rifiutato dalla citta'. Credo che la genesi del suicidio possa rintracciarsi in questo momento di delusione molto forte, che egli sentiva come una sconfitta personale e culturale".
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Lo storico altoatesino Leopold Steurer ha discusso tanto con Langer, soprattutto negli anni in cui era consigliere provinciale. "Alex non riusciva mai a dire no. Era come convocato da un senso immenso della responsabilita' a dire si' a chiunque lo chiamasse. Aveva dentro di se' uno spirito francescano radicale. Alex ha dimostrato nel concreto che si puo' morire anche per troppa bonta'. Alla fine l'equilibrio psicofisico non regge piu', la mente si adombra, non riesci piu' a stare in piedi. In questo senso prendo per buono l'appello di Adriano Sofri a non voler emulare Alexander Langer, perche' una azione di altruismo senza ancore, rischia di diventare fatale".
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Lo sa l'ex assessore all'urbanistica del Comune di Bolzano, Silvano Bassetti, che insieme ad Alex ha condiviso gli anni di Lotta Continua. Entrambi rientravano a Bolzano dopo aver militato nel '68 studentesco, Bassetti a Milano, nel gruppo storico della Cattolica (con Capanna e gli altri), Langer a Firenze nel ribollire del dissenso cattolico. "Io mi occupavo del settore scuola di Lc, lui era attivo nel progetto sull'immigrazione. Langer trascorse parte della sua militanza in Germania, dove mise in piedi una sezione tedesca. Credo che fu in quel momento che egli tesse' i rapporti con il cuore dirigente della sinistra europea, che poi approdera' nei Verdi, da Daniel Cohn Bendit a Joschka Fischer. Langer porto' in Lc le sue tematiche interetniche, che nei programmi nazionali erano praticamente assenti. E dalla Germania porto' in Italia il tema ambientale dandogli profilo politico". Con lo scioglimento di Lotta Continua, il rapporto fra Bassetti e Langer si fa discontinuo. "Ci fu anche un contrasto molto forte quando, nel '92, accettai di candidarmi per la lista Senza Confini, che aveva come candidato forte in Trentino l'intellettuale della nonviolenza Giuliano Pontara. Langer avverti' quel mio rientro in campo come un tradimento nei confronti del progetto verde che lui
portava avanti con grande forza e intensita'". "Langer - continua Bassetti - personalizzava molto l'amore e il conflitto. Quello che ci distingueva era l'idea della politica. Lui sentiva come una ossessione profetica della politica, io che mi abbevero alle sorgenti della profezia, sentivo invece il bisogno di dare tempo alla politica di fare i suoi corsi, di mettere in moto le sue procedure. Eppure oggi Langer manca moltissimo, la sua statura, la sua cultura, la sua comprensione delle cose, hanno lasciato un gran vuoto nella politica, nelle istituzioni e nella societa' civile".
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Il giornalista e saggista Paolo Valente, all'epoca dela morte di Langer direttore del settimanale diocesano "Il Segno", traccia cosi' l'importanza del politico verde: "Alex Langer e' stato uno dei rari politici altoatesini in grado di comunicare e di mettersi nei panni delle persone di entrambi i gruppi linguistici e di vedere oltre i ristretti confini provinciali e nazionali. E' stata una persona che ha dato dignita' alla politica intesa come servizio incondizionato al bene comune e non come autoaffermazione personale o mera lotta per il potere fine a se stesso. Questa dedizione totale lo ha portato ad incontrare l'aspetto tragico della politica intesa in questo senso. Tragico perche' in esso la tensione al bene si scontra con una realta' di segno opposto. Credo che cio' che lo ha fatto cedere e' stata l'amara sensazione di non vedere una reale via d'uscita ai mali che affliggono il mondo. Di vedere ovunque prevalere gli interessi di bottega sul bene comune. Sono constatazioni che fanno sentire inadeguati e soli". E conclude Valente: "Il suo non e' stato un idealismo senza senso della realta': in molti casi e' stata vera e propria profezia capace di far emergere le molte contraddizioni di una situazione, come quella altoatesina, in cui in molti campi predomina il tabu'".

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