Il Rappel di Lanza Del Vasto, Richiamo Fisico e Mentale all'Attenzione
di Andrea Cozzo


Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX,
n. 1, gennaio-marzo 2005. Questo testo abbiamo gia' pubblicato nel n. 913
del nostro notiziario.
Andrea Cozzo (per contatti: acozzo@unipa.it) e' docente universitario di
cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita'
didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene
da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha
pubblicato molti articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte
del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue
opere recenti: Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della
complessita', Annali della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi
e ricerche, Palermo 1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio
dei classici in una societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di),
Guerra, cultura e nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999;
Manuale di lotta nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti
delle facoltà di lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo
2000; Tra comunita' e violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella
Grecia antica, Carocci, Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le
facolta' umanistiche. Ovvero caratteristiche di un genere letterario
accademico (in cinque movimenti), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2001;
Filosofia e comunicazione. Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando',
A. Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?,
Carocci, Roma 2002, pp. 87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i
Greci antichi. Una ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa,
Carocci, Roma 2002; Lottare contro la riforma del sistema
scolastico-universitario. Contro che cosa, di preciso? E soprattutto per che
cosa?, in V. Ando' (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione,
discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza,
conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2,
2002, pp. 155-168; Dopo l'11 settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232,
febbraio 2002, pp. 21-28; Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche
di lotta comunicativa, Edizioni Mimesis, Milano 2004.

Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto ("Shantidas" e' il nome che gli attribui'
Gandhi) e' una delle figure piu' grandi della nonviolenza; nato nel 1901 a
San Vito dei Normanni da madre belga e padre siciliano, studi a Parigi e
Pisa. Viaggia e medita. Nel 1937 incontra Gandhi nel suo ashram. Tornato in
Europa fonda la "Comunita' dell'Arca", un ordine religioso e un'esperienza
comunitaria nonviolenta, artigianale, rurale, ecumenica. Promuove e
partecipa a numerose iniziative per la pace e la giustizia. E' deceduto in
Spagna nel 1981. Tra le opere di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto
segnaliamo particolarmente: Pellegrinaggio alle sorgenti, Vinoba o il nuovo
pellegrinaggio, Che cos'e' la nonviolenza, L'arca aveva una vigna per vela,
Introduzione alla vita interiore, tutti presso Jaca Book, Milano (che ha
pubblicato anche altri libri di Lanza del Vasto); Principi e precetti del
ritorno all'evidenza, Gribaudi; Lezioni di vita, Libreria Editrice
Fiorentina, Firenze; In fuoco e spirito, La Meridiana, Molfetta (Ba). Le
comunita' dell'Arca - cosi' come gruppi e persone amiche di questa
esperienza - sono diffuse in vari paesi e proseguono la riflessione e
l'esperienza del fondatore; per informazioni e contatti:
digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ e anche (in francese)
www.canva.org]



Premessa redazionale
Abbiamo chiesto ad Andrea Cozzo un contributo sul tema del "Rappel". Andrea
insegna lingua e letteratura greca presso l'Universita' di Palermo. Amico
dell'Arca, ha scritto un saggio su Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza
del Vasto, apparso sul n. 2 (2002) di "Quaderni Satyagraha". Conduce, presso
la Facolta' di Lettere il "Laboratorio di teoria e pratica della
nonviolenza", insegnamento riconosciuto ufficialmente dall'Ateneo
Palermitano. Da alcuni anni organizza inoltre corsi di formazione alla
nonviolenza per agenti della Guardia di Finanza e dell'Arma dei Carabinieri.
E' autore del libro Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di
lotta comunicativa, Mimesis, Milano 2004.
La redazione di "Arca notizie"

*
Rappel significa "richiamo". E' un esercizio che - suggerisce Shantidas -
puo', per chi si sente oppresso dalla fretta, contentarsi di cinque minuti:
"anzi cinque minuti sono forse troppi; tagliamoli in cinque: cinque volte un
minuto durante la giornata, due la mattina, una a mezzogiorno, due la sera"
(1). Un minuto, o due, per far che? "Or dunque, distendetevi; per un minuto
fermatevi. Deponete l'arnese, mettetevi in verticale. Respirate a pieni
polmoni. Ritirate i vostri sensi all'interno. Restate sospesi davanti al
buio e al vuoto interiore. E anche se non succede niente, avrete rotto la
catena, quella della precipitazione. Ripetete: 'Mi richiamo, mi riprendo', e
basta. Ditelo a voi stessi, ma soprattutto fatelo. Raccoglietevi, come si
dice cosi' bene: raccogliersi e' radunare tutti i pezzi di se' sparsi e
attaccati qua e la'. Rispondete come Abramo a Dio che lo chiamava 'Eccomi
presente'. Si tratta quindi di restare presenti a se stessi e a Dio per
circa un minuto".
Tutto in queste parole e' pregnante, tanto che esse risuonano significative
in tutte le lingue, come avviene ogni volta che e' lo spirito a soffiare.
Richiamo e' la ripresa di se stessi attraverso l'interruzione dell'azione e
il respiro che, come lo yoga insegna, solo la postura eretta consente che
avvenga lento e profondo; e poi affidarsi al vuoto. Non e' detto che avvenga
nulla di speciale; anzi, proprio non avviene. Ma se si raggiunge il vero
vuoto dei pensieri, allontanando con calma e senza rabbia quelli che
sopravvengono, allora il vuoto e il pieno, come dice Buddha, coincidono.
Cos'e' questa coincidenza tra vuoto e pieno, o quell'essere "presente a se
stesso e a Dio"? Per me che non sono seguace di alcuna fede religiosa si
tratta dell'entrata, per cosi' dire, nell'orizzonte del tutto. Il richiamo
quindi e' al rapporto che ciascuno, che se ne avveda o no, ha con ogni cosa
del mondo (e' necessario ricordare l'"effetto butterfly", la teoria per cui
il battito d'ali di una farfalla in Brasile contribuisce a determinare un
ciclone in Australia, per convincersene?); il "richiamo" e' richiamo al
valore di cio' che si sta facendo, perche' l'azione smetta di essere
semplicemente tecnica ed acquisti senso in una dimensione piu' vasta: so
perche' sto facendo questo, a che cosa esso serve fatto in questo
particolare modo, come (e, ancor prima, se) aiuta a fare andare bene il
mondo e cosi' di seguito. Il richiamo e' la consapevolezza del senso che
hanno le cose che facciamo, dell'aspetto etico (o contrario all'etica) di
ogni nostra azione; esso ci richiama alla nostra responsabilità nei
confronti del mondo: che non possiamo mai dire "ho fatto questo perche'
qualcuno mi ha detto di farlo", ma piuttosto "sto facendo questo perche' io
ho scelto responsabilmente di farlo". Oppure, "poiche' non mi pare un atto
buono, ho scelto di non farlo".
I Greci antichi lo mettevano in atto attraverso la formula "conosci te
stesso" a cui invitava Apollo, il dio della saggezza e del limite di se', il
dio della coscienza della condizione umana che permette il corretto rapporto
col tutto e che e' fratello e figura complementare a Dioniso, il dio
dell'uscita da se' e dell'entrata nel tutto - e l'insieme di questi due
comportamenti e' forse quello che i taoisti chiamano "essere nel flusso" -;
oppure attraverso il rapporto etimologico che instauravano tra l'essere
saggio (phronein, pepnymenos) e i polmoni (phrenes) e il respirare (pnein);
oppure ancora, come avveniva presso i Pitagorici, attraverso l'atto di
rimemorazione che permette all'anima (soffio) di concentrarsi per viaggiare
fuori dal corpo: il respiro individuale che si fa tutt'uno con l'aria
respirata, il passaggio dall'"io respiro" al "c'e' un respiro che e' unico
per tutto il mondo". Non e' quello che, con le parole di Mumon, il maestro
zen, significa diventare "porta senza porta"?
I non credenti, almeno per quel che personalmente mi riguarda, praticano il
richiamo chiamandolo semplicemente "attenzione" o "consapevolezza"; ma cio'
non vuol dire che pronunciare queste parole significhi anche saperle mettere
in pratica. Per farlo, ritengo, e' importante non solo l'elemento mentale
ma, come emerge dalle varie "testimonianze" fin qui prodotte - da quella di
Shantidas alle ultime ritrovate nell'antica Grecia e nel buddhismo zen -,
anche quello fisico. Non si tratta infatti solo di un atteggiamento del
pensiero ma anche di un atteggiamento del corpo, di una postura, mediati
nella loro relazione dal respiro, che e' soffio, spirito come suggerisce il
latino. Siamo davanti ad un esercizio spirituale, cioe' non appannaggio di
un credo religioso, ma possibile ad ogni essere che respira ed ha qualche
capacita' di pensare il suo respiro. Il richiamo, insomma, e', per come io
lo sento, il raccordo del nodo alla rete, e se non alla rete nella sua
interezza (che e' cosa difficile e forse sovrumana) almeno ad un certo
numero di maglie; e' l'orientamento dell'azione rispetto ai valori; e'
l'osservazione dell'eticita' dello scopo e dei mezzi. E' il chiedersi, ed il
tenersi viva sempre sotto pelle (2), la domanda "cosa sto facendo, a quale
fine, in che modo, con quali effetti (pur indipendenti dalla mia
intenzione)?".
*
Note
1. Lanza del Vasto, Lezioni di vita, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze
1980, p. 34 (dalla stessa pagina e dalla seguente sono tratte anche le altre
citazioni che seguono nel corso del testo).
2. Come dice ancora Shantidas, nella pagina gia' citata, "se vogliamo non
soltanto ricordare noi stessi alla coscienza, ma ricordare che dobbiamo
ricordarci ogni tanto, dovremo esercitarci ad un richiamo latente e
continuo".

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