la Repubblica
24 dicembre 2008

Amazzonia. Un piano per salvarla nel nome di Mendes
di Omero Ciai

A vent´anni dall´omicidio di Chico Mendes, il Brasile lancia un suo ambizioso programma per ridurre il disboscamento dell´Amazzonia e contenere le emissioni di gas serra. Francisco Alves Mendes, poi conosciuto in tutto il mondo come "Chico", venne ucciso a fucilate di fronte alla sua casa di Xapuri, nell´Acre brasiliano, il 22 dicembre del 1988.

Aveva 44 anni. Mendes era un siringueiro, un raccoglitore di cacciù, e anche un leader sindacale che difendeva la foresta, le sue risorse dai depredatori: i grandi allevatori, i fazendeiros, le multinazionali Usa e le aziende del legname che distruggevano gli alberi. Il suo sacrificio divenne ovunque nel mondo il simbolo delle lotte ambientaliste concrete per la difesa della foresta e uno sviluppo sostenibile contro il saccheggio delle risorse naturali.

In questi giorni lo ha ricordato il presidente Lula che, anche insieme a Chico Mendes, di cui fu alleato nelle battaglie sindacali di quell´epoca, fondò quel partido dos trabalhadores (Pt) oggi al governo. Ora, secondo il New York Times, le nuove misure in difesa della foresta e contro il cambiamento climatico annunciate dal governo brasiliano si richiamano al «testamento ambientalista» e alla «visione» di Mendes. Così, se vent´anni dopo l´omicidio di Chico è rimasto sostanzialmente impunito - i suoi assassini vennero condannati ma poi rilasciati per l´annullamento della sentenza - , almeno il Brasile ne fa sua l´eredità verde.

I dati più recenti non sono positivi visto che quest´anno e per la prima volta, dopo una fase nella quale il disboscamento in Amazzonia si era ridotto, la distruzione della foresta è tornata ad aumentare. Dodicimila kmq, una superficie pari al Libano, è il record stabilito nel lasso di tempo che va dall´agosto 2007 al luglio 2008 con un aumento del 3,8% rispetto al periodo precedente. Un´accelerazione che ha portato alla polemica rinuncia di Marina Silva, amica e allieva di Chico Mendes, ex siringueira e ministro dell´ambiente fino a quest´estate.

Ma adesso il Brasile si impegna a rovesciare questo processo ponendosi l´obiettivo di ridurre la distruzione della foresta di un 70% nei prossimi dieci anni e di contenere le emissioni di gas nocivi che, nel suo caso, sono quasi al 75% una conseguenza del disboscamento. Questo nuovo atteggiamento del Brasile - «da questo momento il nostro approccio contro i cambiamenti climatici sarà molto aggressivo», ha promesso il neo ministro verde Carlos Minc - potrebbe rappresentare una forma di pressione sugli Stati Uniti e l´Unione europea e, spera il governo di Brasilia, anche aumentare sensibilmente i contributi dei paesi ricchi che finanziano la conservazione del polmone della Terra.

Minc ne parlerà in questi giorni anche con il presidente francese Sarkozy, in visita ufficiale in Brasile, e spera di ottenere fondi anche da Parigi per il programma internazionale in difesa dell´Amazzonia, un nuovo organismo al quale da sola la Norvegia contribuirà con uno stanziamento di un miliardo di dollari nei prossimi sette anni. Una politica nuova dunque che dovrebbe avere come solida base anche la riorganizzazione delle Forze armate e un controllo molto più effettivo sulle aeree amazzoniche. Fino ad oggi il Brasile si era sempre rifiutato di fissare mete concrete nella difesa della foresta sostenendo che dovevano essere i paesi più ricchi, responsabili anche della maggior parte di emissioni di gas nocivi per l´atmosfera, ad offrire aiuti e a pagare il prezzo più alto per la protezione delle foreste tropicali dei paesi in via di sviluppo.

Per la maggior parte delle organizzazioni ambientaliste si tratta solo di "buoni propositi" tutti da verificare nell´opera quotidiana di controllo. Molti sono i pessimisti perché è lo stesso modello di sviluppo del paese che provoca la distruzione della foresta: ci sarà sempre più bisogno di terra per coltivare - non solo la soia -, e per allevare il bestiame e, questa terra, verrà sottratta alla foresta.

Idem, secondo gli ambientalisti, per i biocarburanti. Anche se il presidente Lula non si stanca mai di ricordare - come ha fatto in una recente intervista a Roma - che l´etanolo viene estratto dalla canna da zucchero e che «la canna da zucchero in Amazzonia non cresce».

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