La risoluzione nonviolenta dei conflitti
di Pat Patfoort

Che cos’è la Nonviolenza?

Si può definire la nonviolenza in molti modi diversi. Mi sembra che il modo più adatto da utilizzare quando si tratti di situazioni quotidiane molto concrete consista nel servirsi di diagrammi.
La nonviolenza - e la violenza - emergono da una situazione iniziale che di per sé non mostra alcun problema: si tratta di una situazione in cui sono presenti almeno due punti di partenza diversi che possono essere caratteristiche, comportamenti o punti di vista di due persone o di due gruppi di persone.
Il modo tradizionale o abituale di comportarsi con questi due diversi punti di partenza è quello che si basa sul modello di comportamento Maggiore/minore (modello M/m): ognuno cerca di presentare la propria caratteristica o il proprio comportamento come migliore di quello dell’altro. Ognuno cerca di avere ragione, di dominare, di vincere, di mettere se stesso in una posizione di superiorità e l’altra persona o gruppo in una posizione di inferiorità.

Le conseguenze di questo modello di comportamento sono i tre meccanismi della violenza:
- violenza contro se stessi o rimozione ed interiorizzazione della violenza/aggressività;
- violenza contro l’altro che per primo ci ha messo in una posizione di inferiorità o escalation della violenza;
- violenza contro una terza parte o catena della violenza.
Quindi il modello M/m è alla base della violenza. E’ la radice della violenza.

Comportarsi secondo il modello M/m è così abituale e sembra tanto normale che, di solito, abbiamo l’impressione che sia l’unico modo possibile. Il più delle volte pensiamo perfino che questo sistema sia connaturato e si adatti agli impulsi naturali dell’essere umano, agli istinti umani. Ciò che è connaturato all’essere umano è alla base della trasformazione della situazione di partenza (situazione di due punti di partenza diversi) nel modello M/m: è l’istinto di conservazione che porta a voler uscire da una situazione di inferiorità. Il bisogno di proteggersi, di difendersi e di voler sopravvivere è realmente connaturato all’essere umano, ma non lo è affatto farlo secondo il modello M/m. Questa è solo una delle vie possibili per raggiungere lo scopo dell’autodifesa, è il sistema che a prima vista sembra il più facile e quindi - probabilmente - anche quello che viene insegnato fin dall’infanzia nella maggior parte delle società. Esso continua a venire elaborato, costruito ed alimentato in tutti i modi possibili.
Un altro modo di comportarsi di fronte alla situazione iniziale di diversità è il modello dell’equivalenza (modello E), anch’esso risponde all’istinto di autoconservazione insito nell’essere umano e ci permette di uscire dalla posizione d’inferiorità, difendendo e proteggendo noi stessi. La nonviolenza - sulla base di questo modello - ci dà la possibilità di difenderci, ma non a spese di un altro, non contro qualcuno, non attaccando, come nel caso del modello M/m.
Il modello dell’equivalenza porta a trovare delle soluzioni mentre, al contrario, il modello M/M non offre vie d’uscita, infatti ogni volta che ce ne serviamo lo facciamo attaccando in un modo che induce l’altro a difendersi attaccando a sua volta, o provocando a sua volta qualcun altro e cosi via.


Quali sono gli strumenti del modello Maggiore/Minore e del modello dell’Equivalenza?

Per essere più chiari, utilizziamo la situazione in cui le diversità della situazione di partenza sono due punti di vista diversi, cioè c’è un conflitto. Questa situazione è la più superficiale e la più evidente quindi è più facile intervenire operativamente su di essa, ma le stesse considerazioni possono essere trasferite ad un livello più profondo, dove le diversità consistono in caratteristiche diverse.
Nel modello M/M si usa discutere (o litigare) portando delle argomentazioni che vengono messe avanti ed espresse per dimostrare di avere ragione.
Le argomentazioni espresse rientrano per lo più in queste categorie:
1) argomentazioni positive: si dicono gli aspetti positivi del proprio punto di vista per spingerlo più in alto di quello dell’avversario.
2) argomentazioni negative: si dicono gli aspetti negativi del punto di vista dell’altro per buttarlo giù (in una posizione di inferiorità).
3) argomentazioni distruttive: si dicono gli aspetti negativi dell’altro per buttare giù (in una situazione di inferiorità) l’altra persona insieme con il suo punto di vista.
In questa terza categoria rientrano i commenti razzisti e sessisti. Così una caratteristica diversa dell’altro (il fatto che abbia la pelle di un colore diverso oppure che sia più giovane o che appartenga all’altro sesso) viene presentata come negativa e denigrata per cercare di buttare giù il punto di vista dell’altro (che, per lo più, non ha nulla a che vedere con la caratteristica denigrata). Discutere servendosi di argomentazioni è un modo superficiale di ingigantire la situazione. Ognuno getta sul suo punto di vista tutto quello che può trovare per renderlo più forte e portarlo al di sopra di quello dell’altro.
Nel modello dell’equivalenza si deve andare alle basi (fondamenta) del conflitto. Come indica la parola si tratta dei fattori che stanno alla base di tutti e due i punti di vista. Sono le ragioni profonde per cui le due parti divergono: le loro motivazioni, i loro impulsi, i loro sentimenti, i loro interessi, i loro obiettivi, i loro valori, elementi sia razionali che emotivi. Sono la risposta alla domanda: “Perché ho questo punto di vista?”, “Perché quest’altra persona ha un altro punto di vista?” Quando lavoriamo sulle basi, apportiamo un contributo alla situazione dal profondo, perché questi elementi non vengono giudicati ma solo allineati uno accanto all’altro, allo stesso livello: questo vuol dire essere equivalenti.
Spesso le basi, o fondamenta, non vengono neppure espresse e molte volte non se ne è consapevoli, ma sono, comunque presenti.

La soluzione di un conflitto

La soluzione di una situazione con due diversi punti di vista sarà completamente diversa a seconda che si utilizzi il modello M/m o quello dell’equivalenza.
Seguendo il modello M/m vincerà “l’uno o l’altro”; ci sono solo due possibilità perché siamo in un sistema bidimensionale. Ha ragione l’uno o l’altro e qualsiasi “soluzione” venga fuori sarà collocata in questo modo di pensare: “Vedi: avevo ragione io!” oppure “Chi ha vinto alla fine?”.
Utilizzando, invece, il modello dell’equivalenza si possono trovare mille soluzioni più una. Sono il risultato di un modo di pensare che va oltre i limiti delle due dimensioni. Queste soluzioni sono create in base alla raccolta di tutte le basi presenti nel conflitto sia dell’una che dell’altra parte.
Mentre nella prima parte della gestione nonviolenta dei conflitti: i due “pacchetti” di basi, derivati dai due punti di vista diversi, vengono sistemati uno accanto all’altro, la seconda parte della gestione dei conflitti consiste nella comunicazione, cioè mettere insieme i due “pacchetti”. La comunicazione è molto più ampia del parlare: è ascolto, silenzio, linguaggio corporeo, associazioni di fatti e parole, azioni.... e la comunicazione non viene necessariamente dopo la prima parte. Di solito, le due parti si sovrappongono. Quando tutte le basi sono state messe insieme (allo stesso livello) conviene darsi un po’ di tempo - e quindi avere un po’ di pazienza - prima di passare alla terza parte, cioè una comunicazione profonda, reale. La terza parte consiste nella creazione di una soluzione alla base del pacchetto grande che ne risulta. Le soluzioni sono al 100% nonviolente quando rispondono a tutte le basi, ma possono anche essere al 90% o al 95%. Anche queste soluzioni sono da considerare nonviolente.
Più acquistiamo destrezza in questi processi più sovente ci avviciniamo o raggiungiamo soluzioni al 100% nonviolente.

Per ulteriori approfondimenti, si vedano:

P. PATFOORT, Costruire la nonviolenza, edizioni La Meridiana, Molfetta (BA), 1992.
P. PATFOORT, La nonviolenza nell’educazione, in Daniele Novara (a cura di), L’ascolto e il conflitto, edizioni La Meridiana, Molfetta (BA), 1993.
P. PATFOORT, Uprooting Violence, Building Nonviolence, Cobblelesmith Pub., Freeport, Maine, 1995.

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