Giuliano Pontara
L'utilitarismo: teoria e problemi


L'utilitarismo è una delle tante risposte che si sono date ad un problema fondamentale di etica teorico-filosofica. Il problema fondamentale è quello di individuare i criteri generali dell'agire moralmente giusto, dell'agire moralmente doveroso, dell'agire moralmente sbagliato, di ciò che è bene e di ciò che è male intrinseco. Su questi problemi si cimenta quella pratica, quella parte della filosofia morale che si chiama appunto etica normativa o etica teorica. L'utilitarismo è una risposta, ripeto, una delle tante, che si è cercato di dare a questo problema e ci dice, in modo estremamente semplice, che dobbiamo sempre agire in modo tale da produrre le migliori conseguenze nel mondo. L'utilitarista ritiene che questo principio sia valido nel campo individuale, nei rapporti tra privati, nel campo pubblico, politico, nei rapporti tra gruppi e istituzioni, e quindi sia per le azioni individuali di persone che per le azioni collettive di gruppi e di collettività.

Questo principio, così formulato, sembra che dica poco, ma già dice molto in quanto si capisce subito che l'utilitarismo esclude, come criterio di giustificazione dell'azione, fattori che invece altri ritengono estremamente importanti, come, ad esempio, in primo luogo i motivi che soggiacciono all'azione, in secondo luogo le intenzioni che soggiacciono all'azione, ed in terzo luogo determinate regole o principi generali che, secondo alcuni, bisogna seguire per agire in modo retto. L'utilitarismo dice soltanto che l'unico criterio dell'azione moralmente giusta sono le conseguenze che scaturiscono dalle nostre alternazioni in quanto comparate a quelle delle azioni alternative.

L'utilitarismo edonistico classico è rappresentato appunto da filosofi come Bentham, Sidgwick soprattutto e ai giorni nostri Smarth * eccetera. La teoria consiste di tre principi, il primo principio può essere enunciato in questo modo: un'azione è moralmente giusta se e soltanto non vi è alcuna alternativa che conduce ad un totale superiore di felicità o di benessere; felicità e benessere intesi appunto in termini di sovraeccedenza del piacere sulla sofferenza. Un'azione è moralmente doverosa se tutte le altre azioni alternative conducono ad un minore totale di felicità, e un'azione è moralmente sbagliata se non è giusta. Questi sono i tre principi fondamentali dell'utilitarismo dell'atto. E siccome vogliamo parlare di utilitarismo classico dobbiamo appunto tener presente, come ho fatto, che questi principi sono formulati appunto in termini di felicità, di sofferenza e di benessere.

Vi è in primo luogo il problema di stabilire in modo più preciso quale sia questo concetto di piacere, di sofferenza, di benessere, di felicità; vi è in secondo luogo il problema difficile di come stabilire la distinzione tra le azioni e loro conseguenze; in terzo luogo esiste il problema della commensurabilità di piaceri e sofferenze, e in quarto luogo c'è il problema della cosiddetta comparazione intersoggettiva di utilità, nel senso di trovare almeno dal punto di vista teorico una soluzione valida al problema di come paragonare con la base dello stesso metro, le sofferenze e i piaceri delle varie persone che le nostre azioni producono, per poi poter veramente fare, almeno a livello teorico, quella somma di piaceri e sofferenze che l'utilitarismo edonistico dell'atto ci dice appunto di massimizzare.

Tratto dall’intervista "Che cos’è l’utilitarismo?" 10 novembre 1993, Roma DSE

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