La Guerra che Sbrana
di Lidia Maggi

Tratto da La Nonviolenza e’ in Cammino

[Ringraziamo Lidia Maggi (per contatti: lidia.maggi@ucebi.it) per averci messo a disposizione questo suo editoriale che apparira' nel prossimo fascicolo della bella rivista "Riforma". Lidia Maggi e' pastora battista, teologa, saggista, responsabile per le attivita' per i diritti umani per la Federazione delle chiese evangeliche, fortemente impegnata nel dialogo interreligioso]

"Il ladro non viene se non per rubare, uccidere, distruggere; ma io sono
venuto affinche' abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv 10, 10).

Torniamo a parlare di guerra. Lo facciamo perche' siamo preoccupati per il silenzio assordante calato sulla tragedia dell'Iraq. Se non fosse per le telecamere puntate sul teatrino politico italiano (ritirare o meno le truppe) o per gli striminziti bollettini di guerra passati dalle agenzie stampa, l'attualita' sembrerebbe aver completamente spento i riflettori sulla guerra. Non ci sono piu' giornalisti sul posto, ma in Iraq si continua a morire. E questo "continua" si traduce nelle nostre coscienze in abitudine e abbassamento dell'attenzione critica. I discepoli del Signore della vita si scoprono, loro malgrado, mercenari: quando arriva il lupo scappano, invece di avere cura del gregge. Noi non abbiamo vigilato su quelle popolazioni civili invase, lacerate, depredate dell'unico bene davvero fondamentale e basilare: la vita. E adesso fatichiamo a sostenere lo sguardo. Alcuni tra noi per sfinimento. Ci abbiamo provato: abbiamo protestato, manifestato, tappezzato di bandiere i nostri balconi. Tutto inutile. Altri, piu' banalmente, per pigrizia e indifferenza. Ma cosi' tradiamo la vocazione piu' essenziale ricevuta dall'evangelo: la passione per la vita. Lo facciamo anche quando pensiamo che tale passione debba essere limitata solo alla propria vita e a quella dei propri cari (i nostri soldati, i connazionali...). Il mercenario non e' metafora della completa indifferenza. E' piuttosto simbolo di un'attenzione limitata al proprio interesse, al proprio guadagno personale. Egli si cura della vita, ma solo della propria. La vocazione cristiana, invece, ci richiama ad aver cura proprio di coloro a cui la vita viene continuamente strappata. Certo, vita e' davvero un termine generico, facilmente distorto da una retorica che tende a semplificare lo sguardo. E cosi', mentre da una parte si fanno le battaglie referendarie, mettendo i puntini sulle i, dall'altra questo concetto viene privatizzato: la vita piena riguarda solo i nostri; degli altri, chi se ne frega. Non si respira piu' l'ampiezza che la parola "vita" ha nell'evangelo. E' Gesu' che ci richiama alla volonta' salvifica universale del Padre quando afferma: "ho anche altre pecore del gregge e non voglio che nessuna vada perduta". Nessuna! Chi prova a salvarne una parte mandandone a morte l'altra non e' certo in linea con l'evangelo. Qualcuno obiettera' che in realta' l'Occidente dimostra di interessarsi agli altri popoli e proprio per questo agisce con "interventi umanitari". Ma anche sulle modalita' delle azioni e' prezioso ascoltare quanto ci dice Giovanni. Da dove si entra nel dare la vita agli altri? L'evangelo contrappone la pazienza di chi cerca di entrare dalla porta giusta per favorire la vita dell'altro all'arroganza di chi entra in ogni caso, anche a costo di sfondare il muro. Torniamo a parlare di guerra perche' non possiamo assistere indifferenti al lupo che sbrana vite umane.

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