Nigeria: Ken Saro Wiwa, combattente nonviolento
di Judith Atiri
fonte: http://www.saveriani.bs.it/


Sono passati ormai dieci anni da quando il drammaturgo Ogoni, attivista ambientalista e candidato al premio Nobel per la pace, Ken Saro-Wiwa, fu ucciso dall'allora governo militare della Nigeria. Nonostante tutto, il movimento nonviolento che egli contribuì a costruire in difesa dei diritti del proprio popolo e per opporsi alle compagnie petrolifere e ai generali al potere, continua ancora oggi la sua lunga lotta di resistenza.

L a Nigeria ha vissuto 30 dei suoi 44 anni di indipendenza dalla corona britannica, sotto un governo retto da militari appartenenti, nella loro maggioranza, al gruppo Hausa/Fulani. A causa della politica e degli interessi economici dell'ex potenza coloniale, il Paese era stato suddiviso in tre: il nord, una regione occidentale e una orientale, che corrispondevano alle maggiori comunità etniche locali (Hausa, Yoruba e Ibos).

Ancora oggi in Nigeria ci sono tra 250 e 400 gruppi etnici, con lingue e culture distinte, tanto che qualcuno ha definito questo Paese “un'espressione puramente geografica” più che una nazione, nel senso moderno del termine. Questo Stato è nei fatti una federazione, in cui il potere e le risorse vengono ridistribuite in base alla vastità della terra e alla consistenza numerica della popolazione che la abita. Ciò ha significato per i piccoli gruppi una sostanziale emarginazione sia politica che economia. È quanto è capitato agli Ogoni. Il loro territorio è situato nello Stato del Rivers, a sud della regione del delta del Niger: qui vivono circa 500mila persone che rappresentano lo 0,5 % dei 100 milioni di abitanti del Paese. La loro principale attività, da sempre, era stata l'agricoltura e la pesca, fino al giorno in cui - eravamo nel 1958 - proprio lì fu scoperto il petrolio. Così, da granaio dello Stato del Rivers, si trasformò in un immenso campo petrolifero con oltre 900 miliardi di barili di greggio prodotti, pari a 30 miliardi di dollari.

IL PETROLIO: FORTUNA O SVENTURA?

L'economia della Nigeria dipende dal petrolio per il 99,7% delle entrate nazionali. Quasi la metà di questo va agli Stati Uniti, mentre gran parte del rimanente prende la strada di cinque Stati dell'Unione Europea, tra cui l'Italia. Così, durante il periodo del boom petrolifero (1973-1981), l'economia nigeriana divenne dipendente da quest'unica risorsa naturale. Intanto il governo privava le comunità etniche del delta del Niger di ogni loro diritto sulle terre abitate e sulle altre materie prime nascoste nel sottosuolo. Infatti, dopo il petrolio, negli anni '50 furono scoperti anche dei grossi giacimenti di gas naturale.

Uno studio della Banca mondiale ha rilevato che più del 76% di tale gas prodotto in Nigeria, durante il processo di estrazione del petrolio, viene completamente bruciato: questo dato rappresenta il tasso più alto di gas bruciato di tutti i Paesi in via di sviluppo. Ancora nel 1995 gli esperti affermavano che ”le emissioni di gas bruciato, rilasciavano ben 35 milioni di tonnellate di CO2 all'anno e 12 milioni di tonnellate di metano. Ciò significa che i pozzi di petrolio nigeriani contribuiscono al riscaldamento globale della terra più di quanto lo faccia il resto del mondo”.

LA DISTRUZIONE DELL'AMBIENTE

I cinque più importanti pozzi petroliferi presenti sulla terra degli Ogoni appartengono alla Nnpc/Shell, all'Elf e all'Agip. Gli oleodotti passano in superficie e attraversano i territori una volta coltivati, costringendo così la gente ad andarsene dai villaggi. Chi è rimasto, lavora alle dipendenze delle varie compagnie, percependo salari bassissimi. In più, oltre a quella della Shell, ci sono altre due raffinerie di greggio, mentre a Eleme è stata costruita una fabbrica petrolchimica che aggiunge i suoi rifiuti industriali alle già cospicue perdite degli oleodotti. Tra il 1976 e il '91, nel delta del Niger, si sono contate ben 3mila perdite: una media di quattro ogni settimana, per un totale di 2,1 milioni di barili di petrolio dispersi. Come se non bastasse, una compagnia nazionale di fertilizzanti disperde i propri residui tossici nei vari corsi d'acqua, distruggendo in questo modo e per sempre i sistemi di vita vegetale e animale presenti.

Ai costi ambientali che gli Ogoni hanno dovuto pagare per lo sfruttamento dei giacimenti, vanno aggiunti quelli sociali: ci sono poche scuole, nessun ospedale, nessun acquedotto e neppure l'elettricità. La disoccupazione riguarda il 70% degli abitanti della zona. Il governo nigeriano ha per decenni ignorato le proteste dei gruppi etnici minoritari. Ad un certo punto, vedendo che le loro legittime rivendicazioni non portavano a nulla, decisero di iniziare una lotta di resistenza arrecando danni alle proprietà petrolifere, promuovendo manifestazioni, provocando la chiusura di alcune installazioni, in alcuni casi arrivando anche al sequestro di lavoratori impiegati nelle varie compagnie. Queste reagirono duramente, chiedendo al governo di intervenire. Fu mandato l'Esercito per reprimere le mobilitazioni popolari e per uccidere i manifestanti, bruciare i villaggi e deportare i loro abitanti nella foresta.

NASCE LA RESISTENZA NONVIOLENTA

Per rispondere a tutto questo, nel 1990 fece la sua comparsa sulla scena politica Ken Saro-Wiwa, presidente di un'organizzazione per i diritti delle minoranze africane e fondatore del Movimento per la sopravvivenza della popolazione Ogoni (Mosop). Egli era fermamente convinto che esistessero forme costruttive ed efficaci di protesta contro il governo militare in carica e la compagnia Shell; metodi di lotta che potevano guadagnare al suo popolo un maggiore ascolto internazionale e avere un impatto politico sulla situazione del Paese . Saro-Wiwa era uno strenuo difensore della nonviolenza attiva, aveva una buona esperienza nell'organizzare le mobilitazioni di massa, oltre che essere un formidabile conferenziere.

Con il sostegno di pochi altri membri della comunità Ogoni, fu così capace di organizzare il suo popolo. Andò da una comunità all'altra rivolgendosi alle persone, ascoltando i loro bisogni e chiedendo che cosa avrebbero voluto fare. Così, sotto la leadership del Mosop, gli Ogoni cominciarono una campagna di resistenza. Prepararono una carta dei diritti, formulando poche ma chiare rivendicazioni: il riconoscimento della loro autonomia politica all'interno della federazione nigeriana; la fine di ogni tipo di emarginazione dal potere politico; le forme di riparazione da parte della Shell e dello stesso governo federale in ragione del degrado ambientale subito e della drastica distruzione delle loro principali fonti di vita; un sistema di ridistribuzione più equa delle entrate derivanti dall'estrazione e vendita del petrolio.

Il Mosop presentò questa carta al gen. Ibrahim Babangida, a quel tempo al potere. Questo alto ufficiale era conosciuto come un fine diplomatico, simpatico e furbo; infatti fu capace di dialogare con i rappresentanti degli Ogoni, senza però concedere nulla. Quando il Mosop prese atto che le discussioni avute col governo non avrebbero portato ad alcun risultato, decise di rivolgersi direttamente alla Shell, sottoponendole una serie di richieste e organizzando contro questa multinazionale parecchie dimostrazioni pacifiche. In occasione dell'anno dei popoli indigeni, promosso dalle Nazioni Unite, il Movimento guidato da Saro-Wiwa organizzò una marcia contro le politiche del governo e quelle della Shell, a cui parteciparono circa 300mila Ogoni. Non era cosa di poco conto vedere che, in una manifestazione di tale portata, non ci fosse stato alcun atto di violenza o di vandalismo.

Il Mosop arrivò persino a lanciare, con successo, un'azione di boicottaggio durante le presidenziali, sostenendo che la Costituzione nigeriana non tutelava i diritti degli Ogoni e quindi non era rappresentativa di questo popolo. Con l'andare del tempo, alcuni aderenti del Movimento cominciarono a interrogarsi sulla scelta nonviolenta del gruppo, in quanto, a loro parere, tale metodo non pareva molto efficace. Il governo, intanto, stava cercando di corrompere qualche suo membro, questo mentre Saro-Wiwa e altri dirigenti del Mosop finivano in carcere o erano agli arresti domiciliari. Vennero loro sequestrati anche i passaporti, impedendo così che lasciassero la Nigeria per conferenze o eventi internazionali a cui erano stati invitati.



IL CASO OGONI

Tuttavia, nonostante la forte opposizione del governo, i principali attivisti del Mosop continuarono nella loro attività nonviolenta. Lanciarono una campagna internazionale che conquistò anche il sostegno di importanti gruppi ambientalisti, come Greenpeace , o di Organizzazini non governative (Ong) vicine a Amnesty International . Così il “caso Ogoni” fu preso in carico dalla Lega delle nazioni non rappresentate, una Ong con sede in Olanda. Nel 1993 nasceva dal Mosop una costola più militante: il Consiglio giovanile nazionale del popolo Ogoni (Nycop), che raggruppava uomini tra i 18 e i 40 anni. Quattro leader conservatori che erano stati corrotti dal governo per screditare il Movimento, facevano ora riferimento proprio al Nycop. Intanto Babangida era stato sostituito da un nuovo regime sanguinario: quello del gen. Sanni Abacha. Il petrolio era troppo importante per l'economia nigeriana per usare la diplomazia nei riguardi degli oppositori. Tutte le comunità del delta del Niger sul cui territorio erano stati scavati i pozzi, erano in attesa di vedere quale sarebbe stata la reazione del nuovo potere alle richieste degli Ogoni. Se fossero state soddisfatte, anche loro avrebbero presentato una carta dei diritti.

L'ARRESTO E LA CONDANNA

Il 21 maggio 1994, Saro-Wiwa doveva intervenire e prendere la parola durante una manifestazione locale, quando la polizia lo mise agli arresti domiciliari. La gente che intanto si era radunata, lo aspettava; la tensione era altissima. In quella occasione, i quattro capi conservatori furono uccisi dalla folla. Non è ancora chiaro chi furono i veri istigatori del delitto. Sta di fatto che pur non essendo presenti, Saro-Wiwa e altri militanti del Mosop furono arrestati “per aver incoraggiato la gente a compiere quell'omicidio”, così sostenne il governo. Il giorno seguente, senza che ci fosse alcun riscontro concreto, i nove accusati furono gettati in prigione, sottoposti a gravi violazioni dei diritti umani e condannati alla pena di morte per impiccagione. Non ci fu per loro alcuna possibilità di ricorrere in appello. Il 10 novembre del 1995, tra la sorpresa e lo shock della comunità internazionale , furono giustiziati. La terra della comunità Ogoni fu invasa, i villaggi bruciati e fu fatta strage della popolazione. Molti si rifugiarono negli Stati vicini, come il Benin, dove trovarono ospitalità nei campi profughi. La terra degli Ogoni fu pattugliata giorno e notte dai soldati, furono erette delle barriere per ostacolare il libero movimento delle persone e per terrorizzare la gente rimasta. La lotta di questo popolo catturò l'interesse della comunità internazionale e portò a delle sanzioni severe contro la Nigeria che venne tra l'altro sospesa dal Commonwealth . Le stesse Nazioni Unite imposero delle sanzioni fino a quando in quel Paese non fu instaurato un governo democratico. Il ruolo che la Shell ebbe in tutta la vicenda e le esecuzioni che seguirono, portarono a una campagna internazionale di boicottaggio dei suoi prodotti.

Saro-Wiwa credeva fermamente nella lotta degli Ogoni, così come nella nonviolenza. Nella sua dichiarazione finale, davanti al tribunale militare che stava per emettere la sentenza capitale, egli disse: “Davanti alle accuse false che mi sono state qui rivolte, io chiamo il popolo Ogoni, quelli del delta del Niger e le minoranze etniche oppresse della Nigeria ad alzarsi e a lottare senza paura e in modo pacifico per i loro diritti. La storia è dalla nostra parte”.

Attualmente la Nigeria è retta da un governo civile, quello del gen. Olusegun Obasanjo che è alla fine del suo secondo mandato. Obasanjo era stato il capo di Stato militare dell'Esercito nigeriano tra il 1976 e il '79. Il nuovo presidente ha creato una commissione che doveva interessarsi dello sviluppo delle comunità del delta, ma la carta dei loro diritti non è stata considerata da queste per nulla soddisfacente ed è stata oggetto di diversi emendamenti. Alla fine, l'attuale governo ha dovuto riconoscere che le lotte della gente del delta del Niger sono del tutto legittime e ha portato avanti parecchi tentativi di dialogo nello sforzo di arrivare ad una soluzione pacifica del conflitto. Nonostante i tanti anni di governo militare e di repressioni, il dato più confortante che appare sotto gli occhi di tutti è rappresentato dallo sviluppo di una robusta società civile. In tutto il Paese sono state costituite parecchie Ong. Anche per questa ragione, la loro autorevolezza e rappresentatività hanno obbligato Obasanjo a rispondere davanti al Paese della sua politica e delle sue scelte. E ciò fa ben sperare.


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