Di che cosa mi accusano?
di Nelson Mandela

Contro ogni razzismo. Discorsi in Africa, Europa e Nordamerica, N. Mandela, Mondadori, Milano, 1996
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Durante la mio gioventù nel Transkei, ho ascoltato gli anziani della mia tribù raccontare le storie del passato. Tra i racconti che mi hanno riferito, c’erano quelli delle guerre combattute dai nostri antenati in difesa delle madrepatria. I nomi di Dingane e Bambata, Hintsa e Makana, Squngatha e Dalasile, Moshoeshoe e Sekukhuni venivano additati come esempi di orgoglio e gloria per l’intera nazione africana. Allora speravo che la vita mi offrisse l’opportunità di servire il mio popolo e di dare il mio umile contributo alla sua lotta per la libertà. Questo è ciò che mi ha motivato in tutto quello che ho fatto in relazione alle accuse avanzate contro di me in questo processo.
Alcune delle cose sostenute finora davanti alla corte sono vere e alcune non lo sono. Comunque non nego di aver progettato il sabotaggio. Non l’ho progettato con spirito di vendetta, né perché abbia una qualche passione per la violenza. L’ho progettato in quanto risultato di una pacata e ponderata valutazione della situazione politica che scaturiva dopo anni di tirannia, sfruttamento e oppressione del mio popolo da parte dei bianchi.
Ho già accennato al fatto di essere stato una delle persone che hanno contribuito alla formazione dell’Umkhonto. Io e gli altri che hanno dato il via all’organizzazione lo abbiamo fatto per due ragioni. In primo luogo abbiamo ritenuto che, in conseguenza della politica del governo, la violenza da parte del popolo africano fosse diventata inevitabile e che, se non fosse stata una guida responsabile che catalizzasse e controllasse i sentimenti della nostra gente, ci sarebbero state esplosioni di terrorismo che avrebbero prodotto un incremento del rancore e dell’ostilità tra le varie razze di questo paese, quale non sarebbe stato causato nemmeno da una guerra.
In secondo luogo, abbiamo avvertito che senza sabotaggio il popolo africano non avrebbe avuto altra strada per vincere la lotta contro il principio della supremazia bianca. Tutti i metodi legali per esprimere un’opposizione a questo principio erano stati stroncati dalle leggi e noi eravamo stati messi in una posizione nella quale dovevamo o accettare uno stato permanente di inferiorità, o disobbedire al governo.
Abbiamo cominciato a violare la legge in modo da evitare qualsiasi ricorso alla violenza; quando è stato legiferato contro questo tipo di lotta, e quando il governo ha scelto di usare la forza per stroncare l’opposizione alla sua politica, solo allora abbiamo deciso di rispondere alla violenza con la violenza.
Ma la violenza che abbiamo scelto di adottare non è stata il terrorismo.
Noi che abbiamo formato l’Umkhonto eravamo tutti membri dell’African National Congress e avevamo alle spalle la tradizione della non violenza e del negoziato dell’ANC quali mezzi per risolvere le controversie politiche. Credevamo che il Sudafrica appartenesse a tutta la gente che viveva in esso e non a un solo gruppo, nero o bianco che fosse. Non volevamo una guerra interrazziale e abbiamo tentato di evitarla fino all’ultimo.

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