Missione di pace a Falluja?
di Alfonso Navarra
LDU - redattore sociale per la pace dal Sito Osservatorio Iraq

Il direttore del centro per i diritti umani di Falluja, Mohamed Tareq Al-Deraji, con il quale siamo in contatto per il tramite dei Berretti Bianchi, ha formulato, in una conferenza stampa organizzata da Rainews 24, una proposta: una inchiesta indipendente dell'ONU sull'uso del fosforo bianco da parte americana in Iraq. Ma il fosforo bianco è solo un aspetto delle possibili violazioni delle Convenzioni di Ginevra perpetrate nella sanguinosa battaglia del novembre 2004 per "bonificare" la cittadina iraqena: si parla anche di massacri indiscriminati di civili durante i rastrellamenti e di fosse comuni, ad esempio. L'appello del biologo iraqeno non dovrebbe perciò essere lasciato cadere nel vuoto. Egli interpreta una precisa richiesta della popolazione civile di Falluja, che reclama attenzione e giustizia dopo l'orrore subito. Ecco una idea che viene sottoposta al vostro vaglio critico e propositivo, con l'invito a prenderla responsabilmente sul serio. Possiamo autonomamente, dietro richiesta del Centro di Falluja e su suo invito, facilmente sollecitabile, da "consulenti" ed "esperti" italiani, predisporre una missione ricognitiva che prepari il terreno ad una futura ed auspicabile inchiesta ONU sui, diciamo così,, possibili crimini commessi. Si chiede al governo iraqeno di andare una settimana sul posto per effettuare analisi sommarie di carattere fisico e chimico, e per raccogliere le testimonianze dei superstiti. La "missione" potrebbe essere composta da:
- deputati e senatori del Parlamento italiano (e - perché no? - anche europeo)
- scienziati e scienziate del comitato coordinato da Angelo Baracca
- operatori del diritto contro la guerra
- esponenti pacifisti e delle ONG italiane
- reporters democratici di media interessati a conoscere e documentare la verità.
In un certo senso bisognerà fare i finti tonti per smascherare
una situazione che l'opinione pubblica, persino nei più avvertiti settori pacifisti, ha poco o nulla presente: nel "democratico" Iraq non esiste libertà di circolazione e tutti i movimenti sono sotto stretto controllo delle truppe di occupazione americane. Fare scalo all'Aeroporto di Bagdad, per una persona "normale", ed uscirne è di per sè stesso un problema, figuriamoci raggiungere la cittadina sunnita ed andare in giro ad ispezionare e a fare domande dove e come si vuole! Abbiamo tutti ben presente come il povero Calipari, per portare in salvo la Sgrena, sia stato costretto a muoversi cercando di sfuggire al controllo dell'amico ed alleato americano...
Ma se, per negare il permesso, dalle nuove Autorità iraqene viene accampata la scusa che si tratta di garantire la nostra incolumità e la nostra sicurezza a rischio, con la ribellione terrorista in agguato pronta a rapirci e a tagliarci la gola, questa argomentazione deve essere ritorta contro chi la svolge. Esistono, infatti, dei Paesi democratici che si confrontano con il problema del terrorismo senza che ciò significhi per essi abolire la libertà di circolazione dei cittadini (e dei "consulenti", anche stranieri, che i cittadini decidono di ingaggiare e portare con sé).
Evidentemente la situazione in Iraq non è paragonabile a quella spagnola o inglese, tanto per fare gli esempi più ovvi. Non esiste ordine, non esiste tranquillità, non esiste libertà di spostarsi, di riunirsi e parlare: la "democrazia" tanto decantata ha i piedi di argilla, riposa ed insieme soffoca sotto le armi e le violenze degli occupanti, è sempre sull'orlo di una guerra civile generalizzata. Questa realtà di disordine, di insicurezza e di arbitrio, e di disordine alimentato dall'arbitrio degli occupanti, potrebbe - credo - essere meglio
portata alla luce se insistessimo e spingessimo con la nostra ingenua e modesta proposta: aderire all'invito del nostro amico Mohamed Tareq per compiere una missione democratica e di pace...

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