Scegliere la Nonviolenza
di Nadje Al-Ali

Tratto da La Nonviolenza e’ in Cammino

[Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo il seguente intervento di Nadje Al-Ali, che conferma una delle tesi che questo foglio sostiene da anni: che la lotta per la pace e la liberazione dei popoli e delle persone richiede la scelta della nonviolenza; che l'opposizione alla guerra deve essere anche opposizione ad ogni forma di terrorismo, di dittatura, di militarismo, di autoritarismo, di maschilismo, di dominazione violenta; che occorre opporsi a tutte le uccisioni e a tutte le brutalita'. Nessuna ambiguita' e' ammissibile. Nadje Al-Ali, autorevole docente di antropologia sociale all'Istituto di studi arabi e islamici dell'Universita' di Exeter, nel Regno Unito, e' tra le fondatrici di "Act Togheter. Women's Action in Iraq", e attivista delle "Donne in Nero" di Londra]


Per quelle e quelli di noi che vivono a Londra, i recenti attentati nella capitale britannica hanno portato in casa la violenza quotidiana, l'orrore e la paura di milioni di persone che vivono in molti posti del mondo. Per la prima volta, sono stati i nostri parenti in Iraq che hanno chiesto ansiosamente notizie sulla nostra salute e benessere, e non viceversa come e' stato per anni. In questo momento l'Iraq deve essere un posto estremamente pericoloso sia a causa delle forze di occupazione sia a causa della resistenza armata. Altra gente in molte altre citta' del mondo convive con quella quotidiana paura: a Baghdad, a Ramallah, a Gerusalemme o a Kabul, la violenza anche quando non e un evento effettivo e' un peso quotidiano nella mente di ognuno. Sebbene molte amiche e molti amici con cui sono stata impegnata nel contesto dell'attivismo anti-sanzioni e anti-guerra concordino che la cosiddetta "guerra al terrore" non possa essere combattuta con le bombe, solo poche e pochi sembrano riconoscere che non possiamo neanche combattere l'imperialismo Usa con la violenza. Soprattutto quando le vittime di questa violenza sono per lo piu' civili. In Iraq, per esempio, migliaia di uomini, donne e bambini sono stati uccisi solo perche' si trovavano a passare di la', o erano davanti a un distributore di benzina, un supermercato, una moschea, una stazione di polizia, o in strada, nel momento sbagliato. Possiamo definire "resistenza" gli assassinii di civili iracheni/e, di assistenti umanitari/e stranieri/e (e, aggiungerei, di diplomatici)? Per me, l'idea che questi assassinii siano un necessario seppur deplorevole "sottoprodotto" della lotta contro l'imperialismo e' contorta e perversa quanto l'infamante affermazione di M. Albright su "un prezzo che vale la pena pagare" riferita alle migliaia di bambini/e iracheni/e morti/e durante le sanzioni economiche nel tentativo di reprimere Saddam Hussein.
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Piu' chiaramente: nel mio attivismo e nei miei testi, sono stata anti-sanzioni, anti-guerra e anti-occupazione. Ma essendo contro queste cose, non ho mai inteso essere automaticamente a favore di qualcuno o qualcosa. Questo era vero sia per la dittatura di Saddam Hussein in passato sia per i combattenti che terrorizzano la popolazione irachena oggi. Cio' che ho trovato davvero demoralizzante e frustrante quando ho partecipato ad iniziative anti-guerra e anti-occupazione nei mesi scorsi e' la raffigurazione del mondo in bianco e nero e la mancanza di chiarezza riguardo alla resistenza irachena. Al recente Tribunale mondiale per l'Iraq di Istanbul, per esempio, quasi ogni speaker ha o iniziato o finito il proprio intervento con affermazioni del tipo: "dobbiamo sostenere la resistenza irachena". Molti speaker hanno aggiunto che questo non era solo per combattere l'occupazione in Iraq ma faceva parte di una piu' ampia lotta contro un neo-colonialismo, un neo-liberismo e un imperialismo invadenti. Ma nessuno di loro ha spiegato alla giuria di coscienza, all'opinione pubblica e ai/alle suoi/sue delegati/e cosa intendessero per "resistenza". Nessuno ha ritenuto necessario differenziare tra il diritto all'autodifesa e il tentativo patriottico di resistere all'occupazione straniera da una parte, e, dall'altra, gli indiscriminati illeciti assassinii di non-combattenti. Ne' qualcuno ha chiesto le motivazioni e gli obiettivi di molti dei numerosi gruppi, reti, individui e gang raggruppati troppo casualmente sotto la "resistenza" - un termine che attraverso la mancanza di una chiara definizione e' stato usato per racchiudere varie forme di opposizione: da quella politica nonviolenta, fino alla resistenza armata, al terrorismo e alla criminalita' di tipo mafioso. Ancora, non definendo e non differenziando esplicitamente, i/le proponenti lo slogan del sostegno incondizionato hanno finito per raggruppare insieme la maggior parte della popolazione irachena che si oppone all'occupazione Usa ed e' impegnata in quotidiane forme di resistenza, con cio' che resta del passato regime, le milizie irachene-islamiche, jihad straniere, mercenari e criminali.
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Le opinioni sulla resistenza armata variano tra la popolazione irachena riflettendo la diversita' della societa': non semplicemente in termini di background etnici o religiosi come vorrebbero farci credere molti commentatori, ma diversita' in termini di classe sociale, luogo di residenza, esperienze specifiche con il passato regime, la persistente occupazione e l'orientamento politico. Comunque, basandomi su discorsi con amiche ed amici, familiari, cosi' come su molti sondaggi d'opinione, sosterrei che la maggioranza delle irachene e degli iracheni non traducono la loro opposizione all'occupazione nel sostegno ai rivoltosi armati assassini iracheni. Trovo anche difficile credere che la maggior parte delle irachene e degli iracheni sosterrebbe veramente il rapimento, la tortura e l'uccisione di straniere e stranieri a causa dell'occupazione. Ironicamente oggi e' la mancanza di sicurezza nelle strade delle citta' irachene che persuade molte persone, che inizialmente volevano fuori dal paese le forze statunitensi e britanniche, a non chiedere il ritiro immediato. Ovviamente la mancanza di sicurezza e' un effetto della recente guerra e della persistente occupazione. Quest'ultima e' indubbiamente la continuazione brutale di una guerra illegale che ha gia' ucciso e mutilato migliaia di civili con numerose armi convenzionali e non. Le truppe degli Usa e della Gran Bretagna sono state coinvolte nella tortura sistematica di prigionieri cosi' come in altre violazioni delle convenzioni internazionali per i diritti umani e delle leggi umanitarie. Ma il fatto e' che quando un iracheno o un'irachena lascia la sua casa al mattino chiedendosi se rivedra' i suoi cari, potrebbe essere un cecchino o una bomba delle forze d'occupazione o una bomba suicida ad ucciderlo/a. Per abusare di un vecchio cliche', le irachene e gli Iracheni si trovano tra due fuochi.
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La cultura della violenza e l'ideologia fascista di fondo di molti dei gruppi che operano sul suolo iracheno oggi non e' una percorribile alternativa all'imperialismo Usa. Anche se noi tutti sappiamo che Bush non e' per la liberta' e la democrazia, per favore smettiamo di chiamare gli attentatori suicidi locali o stranieri "combattenti per la liberta'". Non sono sicura di quanti dei sostenitori/e incondizionati/e della resistenza resisterebbero in Iraq se i militanti responsabili di omicidi e rapimenti di civili iracheni e stranieri dovessero prevalere. Non c'e' dubbio che la precedente Autorita' provvisoria e poi i vari Governi di transizione hanno perso credibilita' tra la maggior parte della
popolazione irachena. La ricostruzione e' stata incredibilmente lenta e piena di corruzione e cattiva gestione. I germi per una vera trasformazione politica, per la ricostruzione di spazi politici e per un'opposizione nonviolenta all'occupazione straniera sono stati resi sempre piu' difficili dalla violenza crescente e dall'instabilita' create dalla rivolta. Ma ci sono modi nonviolenti per resistere: le immagini continue di migliaia di iracheni - uomini, donne e bambini di tutte le eta' e provenienza – che dimostrano pacificamente per le strade dell'Iraq dovrebbero inviare un messaggio forte al mondo: messaggio che non dovrebbe essere ignorato a Washington o a Londra, soprattutto se gli iracheni e le irachene sono insieme a persone di tutto il mondo che scendono in strada per solidarieta'. Nello stesso tempo le irachene e gli iracheni, facendo pressione sul loro governo - tanto difettoso come lo fu il processo elettorale- attraverso associazioni della societa' civile, municipi e varie altre istituzioni, possono resistere all'abuso straniero e all'imposizione di attori politici, valori e sistemi economici esterni. Gli iracheni e le irachene a un livello popolare hanno iniziato a fare gruppo, a mobilitarsi e a resistere senza violenza, e continuano a farlo. Le attiviste donne sono state all'avanguardia per azioni ed iniziative. Eppure, gli spazi politici sono stati ristretti non semplicemente in funzione dell'occupazione e del tipo di governo in carica, ma anche, e crucialmente, a causa della mancanza di sicurezza causata dalla violenza della rivolta.
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Per quelle di noi preoccupate per la perdita dei diritti delle donne, in Iraq sono stati documentati attacchi crescenti alle donne, la pressione a conformarsi a certi codici di abbigliamento, le restrizioni dei movimenti e del comportamento, cosi' come casi di acido gettato sui volti delle donne, e persino omicidi. E' estremamente miope non condannare questi tipi di aggressioni verso chiunque; per le donne poi diventa una questione di diritto all'esistenza. Le donne e le "questioni delle donne", naturalmente, sono state strumentalizzate - in Afghanistan, ma anche in Iraq. Sappiamo che sia Bush che Blair hanno provato a utilizzare il linguaggio della democrazia e dei diritti umani, specialmente dei diritti delle donne. Ma il loro strumentalizzare le donne non significa che dovremmo condonare o accettare il modo in cui i militanti islamisti stanno, da parte loro, usando simbolicamente le donne - attaccandole fisicamente - per esprimere la loro "resistenza".
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E' ora per tutte e tutti di essere molto piu' chiari rispetto a quello che dovremmo sostenere o no. E' ora di abbandonare il sostengo incondizionato ai terroristi e ai criminali responsabili delle uccisioni di civili irachene e iracheni. E' ora di riconoscere che gli iracheni e le irachene sono divisi/e in molte linee differenti e che nascondere queste differenze non aiuta l'unita' nazionale a lungo termine. E' ora di cercare seriamente mezzi nonviolenti di resistenza all'occupazione in Iraq e al piu' ampio imperialismo Usa. E' tempo di dichiarare che il nemico del mio nemico non e' necessariamente mio amico.

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