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27 Ottobre 2009

Bertha von Suttner, la strega della pace
di Luciano Luciani

Quando Bertha filava le trame della pace

Negli ultimi decenni dell’Ottocento l’idea di una pace diffusa e generalizzata sembrò acquistare particolare vigore; l’interprete più appassionata di questa antichissima speranza, che si faceva tanto più forte quanto più si esasperavano i contrasti tra le potenze imperialiste del tempo, in Europa e fuori d’Europa, unica donna in un mondo di uomini sempre più impegnati ad odiarsi, fu Bertha von Suttner.

Nata a Praga nel 1843, si chiamava Berta Sophia Felicita Grafin Kinsky von Chinik und Tattau; figlia – ironia della sorte – di un feldmaresciallo, appartenente a una famiglia della grande nobiltà austriaca, come scrive Friedrich Herr, “cresce viziata, vanitosa, superficiale. Le guerre del 1859, 1866, e 1870 non le fanno alcuna impressione, non la toccano. Il grande cambiamento si verifica quando deve lottare per sposare il barone Arthur Gundaccar von Suttner, di sette anni più giovane di lei e in questa unione ideale elle sente “il matrimonio come educazione all’obbligo della solidarietà umana…”

Giornalista e scrittrice, autrice di alcuni libri di successo (Es Lowos,1883; Inventario di un’anima, 1883; Una cattiva persona, 1885) raggiunse una più ampia notorietà con due romanzi che suscitarono vivaci discussioni negli ambienti politico – culturali europei: il primo, L’era delle macchine, per le sue aspre critiche contro gli eccessi del militarismo e la sfrenata corsa gli armamenti determinò polemiche così roventi da essere addirittura oggetto di una discussione al Parlamento austriaco; il secondo, Giù le armi!, si ispirava alle vicende dei recenti conflitti europei e raccontava come la protagonista finisse per conoscere di persona e subire tutti gli orrori della guerra.

Fin dal suo apparire questo libro ottenne un successo straordinario: solo in Germania ebbe trentuno edizioni e fu tradotto in molte lingue arrivando persino nella retriva Russia zarista e nel militarista Giappone. E pensare che il manoscritto di Giù le armi! era stato respinto da più di una casa editrice, preoccupata per le reazioni che un testo del genere poteva provocare nei circoli politici e militari. Il trionfo del romanzo fu anche sancito dai lusinghieri giudizi di illustri personaggi del tempo come Alfred Nobel, Peter Rosegger, Bjornstjerne Bjorson, Friedrich von Bodenstedt, Leone Tolstoj che così espresse a Berta tutto il suo entusiasmo per le sue pagine: “La pubblicazione del vostro libro è per me un buon segno. Il libro La capanna dello zio Tom ha contribuito all’abolizione della schiavitù. Dio faccia sì che il vostro libro serva allo stesso scopo per l’abolizione della guerra”. L’accoglienza entusiastica che l’opinione pubblica internazionale riservò a Giù le armi! conferì nuovo slancio al movimento pacifista europeo e segnò una svolta nella vita di Berta: “il mondo ed io ci apparteniamo l’un l’altro e questo mondo ha bisogno di me e del mio amore”.

Sull’altro fronte, invece, quello degli ambienti bellicisti e sciovinisti e del sistema militare – industriale si moltiplicano gli insulti, gli attacchi, i tentativi di delegittimare la coraggiosa scrittrice. Per i commentatori più benevoli le conclusioni tratte dalla von Suttner nel suo libro “possono essere solo considerate con un sorriso da qualsiasi serio uomo politico”. Per il professor Felix Dahn, i veri uomini vogliono battersi; combattere è intanto un lavoro, poi un dovere. Tutte questioni che le donne non possono capire, quindi non debbono occuparsene e lasciare agli uomini le responsabilità della guerra e della pace. Con avversari ed argomenti siffatti, Bertha ha buon gioco a rispondere: “ Le donne non staranno zitte, professor Dahn. Noi scriveremo, terremo discorsi, lavoreremo, agiremo. Le donne cambieranno la società e loro stesse”. Un impegno destinato a diventare una scelta di vita: nel 1891, infatti, Bertha fonda la Società austriaca per la Pace, di cui resterà presidente fino alla morte. Sempre nello stesso anno interviene alla Conferenza per la Pace svoltasi a Roma, in Campidoglio: era la prima volta che una donna parlava in quel luogo così carico di storia e la prima volta che Bertha interveniva in un’occasione ufficiale di fronte a un pubblico vasto ed esigente. Se la cavò benissimo, al punto che l’attività di conferenziere sostituì a poco a poco quella di scrittrice: anche i malevoli giornalisti romani, che non avevano risparmiato velenose ironie alla donna che osava parlare a una platea di uomini in una sede tanto solenne, furono costretti ad ammettere la fondatezza dei suoi argomenti e la passione che li sosteneva.

Un impegno imperterrito e indefesso

A partire dal 1892 Bertha lavora al mensile “Giù le armi!”, che riprende il titolo e lo spirito del suo libro più famoso. La aiuta in questa impresa giornalistica un giovane editore, Alfred Hermann Fried, futuro premio Nobel per la pace nel 1911. Su questa testata - e su “La vedetta della pace” che dal 1899 la sostituirà – la von Suttner pubblica le sue famose “glosse alla storia del tempo”, una polemica rubrica, che aveva il potere di mandare in bestia gli ambienti nazionalisti e imperialisti di tutta Europa. Attaccata e derisa dai signori della guerra, che sono ormai abituati e definirla “la strega della pace”, imperterrita, insieme al suo collaboratore A. H. Fried, fonda a Berlino la Società tedesca per la pace (1892).

Già segretaria e poi amica di Alfred Nobel, ricchissimo industriale che doveva la sua fortuna economica all’invenzione della dinamite. lo convince a donare una cospicua parte del suo patrimonio per istituire un premio per la pace da assegnare a quanti operino per il disarmo e la fratellanza tra gli uomini. Nel corso di venti anni cruciali e durissimi interviene in migliaia di assemblee pubbliche, conferenze, congressi iniziative di segno pacifista.

Scrive e parla con accenti non di rado profetici: al quarto Congresso mondiale della Pace tenutosi a Berna nel 1892 la von Suttner, unico delegato donna, presenta una relazione per tanti versi anticipatrice intorno a un progetto di Confederazione degli Stati d’Europa; nella Conferenza per la Pace tenutasi all’Aja nel 1899, la prima a cui partecipavano finalmente uomini di stato e di governo di diversi paesi del mondo, afferma che “il ventesimo secolo non finirà senza che la società abbia abolito come istituzione legale il più grande dei flagelli, la guerra”.

La sua fama si allarga anche oltre Atlantico: nel 1904, nonostante avesse subito due anni prima la perdita dell’amatissimo consorte, tiene oltre cento conferenze negli Stati Uniti e viene ricevuta dal presidente Theodore Roosvelt, persuadendolo a promuovere la II Conferenza per la Pace dell’Aja (1907), da cui nasce la Corte permanente di arbitrato. Premio Nobel per la pace nel 1905, infaticabile convince A. Carnegie, uno degli esponenti di punta del capitalismo illuminato nordamericano, a istituire una fondazione per la pace. Ma il suo è un impegno disperato: l’opinione pubblica di tutti i paesi europei è percorsa da una volontà bellicista sempre più decisa e in tutto il mondo sembra dilagare una voglia diffusa di morte e sangue.

Questa donna dallo sguardo lucidamente utopico in un suo saggio, L’imbarbarimento dell’aria (1912), intuisce e denuncia con largo anticipo quelli che saranno i modi radicalmente nuovi e atroci di intendere e praticare la guerra. E, purtroppo, i terribili bombardamenti di trent’anni dopo daranno ragione ai cupi presagi di Bertha, a cui la sorte riserverà di non assistere agli orrori del primo conflitto mondiale. La von Suttner, infatti, muore, sfinita dalla sua dedizione totale alla causa della pace, una settimana prima che l’attentato di Sarajevo fornisca la scintilla adeguata a far esplodere la polveriera europea e mentre fervevano i preparativi per il Congresso mondiale per la Pace da tenersi a Vienna, l’ennesima iniziativa pacifista ispirata da questa donna indomabile.

Una personalità eccezionale ingiustamente dimenticata

L’eccezionale personalità di Bertha von Suttner segnò di sé e della propria attività gran parte della vita letteraria, culturale, politica tra i due secoli: il limite più evidente della generosa iniziativa che questa straordinaria figura riuscì a dispiegare sulle due sponde dell’Atlantico fu di fermarsi a un pacifismo democratico e “giuridico” che riponeva tutta la sua fiducia nell’opera illuminata dei governi e degli uomini “grandi”, piuttosto che nella lotta delle masse e dei popoli. Così, per esempio, la sua opera veniva percepita dal più agguerrito gruppo disarmista e pacifista italiano, quello di Ezio Bartalini e del giornale “La Pace”: nel 1906, in occasione del quindicesimo Congresso universale della Pace tenutosi a Milano, un editoriale della rivista rimproverava ironicamente a Bertha un eccesso di “cortesia femminile” e alla sua azione veniva contrapposta “la bussola della lotta di classe” e “la guerra di partito antagonistico”.

Basta una critica del genere a giustificare l’oblio e la smemoratezza che hanno avvolto la figura e l’opera di questa donna fuori dal comune? Ursula Jorfeld, la sua principale biografa, racconta che a Oslo, all’Istituto Nobel, fanno bella mostra di sé tre busti, tutti di uomini. Manca proprio quello di Bertha, che del premio Nobel fu ideatrice, sostenitrice, vera e propria “madre spirituale”.

Eppure, oggi, istituzioni come l’Organizzazione delle Nazioni Unite, la prassi degli accordi e dei trattati per il disarmo, la polemica contro la cultura delle violenza e della guerra e l’idea di una educazione alla pace sembrano confermare la bontà di molte sue intuizioni. Al punto da renderla meritevole di attenzione, riconsiderazione e rispetto da parte delle donne e degli uomini affacciati sul precario balcone di questo nostro terzo millennio.

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