NON C'E' PIU' SPAZIO PER TRATTARE 1:4
Il 5 luglio a Ginevra, il Gruppo di Contatto offre ai due convenuti; il pres. Izetbegovic e il dr. Karadzic, quella che vuole essere di fatto l'ultima offerta. "Prendere o lasciare". Il piano del Gruppo prevede la spartizione della Bosnia in due parti. Il 51% alla Federazione Croato-Musulmana e il 49% alla Repubblica Serba, che attualmente occupa il 70% del territorio. Non vengono concesse possibilità alternative ne di revisione, entro il 19 luglio dovranno pervenire le risposte delle parti. Inoltre, in caso di rifiuto scatteranno nuove misure punitive. Il dr. Karadzic commenta - Per quello che ne sappiamo questo piano rappresenta per noi, una umiliazione.- Il Premier bosniaco Haris Silajdzic é scettico, - Vorremmo sapere con quali strumenti, il gruppo di contatto pensa di garantire questo nuovo compromesso, perché non si trasformi nel solito pezzo di carta?- A pochi giorni dal cosiddetto "ultimatum per la pace", il pres. Izetbegovic dichiara - Non pensiamo che sia un buon piano, anzi é cattivo, ma tutte le altre opzioni sono peggiori. Proporremo al Parlamento della Federazione di accettarlo, purché la BiH mantenga le sue frontiere riconosciute e sia salvaguardata la sua integrità e sovranità.-

Lunedì 18 luglio a Pale si riunisce l'Assemblea Popolare dell'autoproclamata Repubblica Serba, per discutere l'approvazione del piano di pace. L'Assemblea a porte chiuse, si protrarrà per due giorni, ma il discorso fiume di Radovan Karadzic all'apertura dei lavori, suonerà forte e chiaro per tutta la diplomazia occidentale.
Dopo l'assalto dei fotografi al Presidente Karadzic che fà il suo ingresso nella sala del Parlamento serbo-bosniaco, i deputati si alzano e pregano insieme. Partecipano all'assemblea alcuni Patriarchi ortodossi, tra cui il Metropolita della Repubblica Serba, Nicolas Dobrobosanski, che apre i lavori dell'Assemblea del Popolo. Poi é la volta di Karadzic.
A destra:
Tavolo della Presidenza
al Parlamento
della Repubblica Serba
A sinistra:
Il Presidente Radovan Karadzic

A destra:
Il Metropolita Nicolas Dobrobosanski



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- Vostro elevato clero, stimata Presidenza, stimati deputati, cari ospiti. Ancora una volta abbiamo il dovere di decidere in merito all'esistenza del popolo serbo, del nostro giovane stato e forse di tutta la causa serba. Questo é un dovere molto difficile e spaventoso, ma noi lo dobbiamo affrontare e adempiere con la stessa responsabilità e con lo stesso coraggio con i quali siamo partiti per fondare il nostro stato.

Da noi ci si aspetta che i bisogni della nostra esistenza vengano conformati ai bisogni e ai piani, indifferenti e a volte perfidi e malevoli, degli altri. Davanti a noi dunque si trova il piano del gruppo di contatto, per una soluzione del dramma della guerra nella ex Bosnia Herzegovina. Il piano lo conosciamo bene e non c'é bisogno di raccontarlo adesso. E' necessario dire che, da noi, dopo tutta questa sanguinosa guerra, ci si aspetta la concessione di immensi territori dove, da sempre, fin dai genocidi della prima e della seconda guerra mondiale, abitava in maggioranza il popolo serbo, che a volte era anche l'unico popolo a vivere su quei territori. Ci si aspetta da noi di lasciare in possesso per sempre, ai nostri sterminatori e nemici inconciliabili, una ventina di città grandi e piccole. Il territorio musulmano, che adesso é diviso in parecchie enclavi, otterrebbe una forma integra e continua e lo stato serbo, che adesso ha un aspetto compatto, verrebbe diviso in enclavi. La Krajna serba e la Krajna di Banjaluka verrebbero staccate dalle altre parti e diventerebbero altri Nagorno Karabah. La nostra Krajna é la spina dorsale della Repubblica Serba, é rotonda e sana come una mela. Ma, con l'introduzione del nemico fino a Klijuc e Jaice, la Krajna otterrebbe la forma di una mela guasta e piena di vermi. Inoltre dovremmo provvedere al trasferimento, in maniera umana, di circa 400.000 serbi dai territori che dovremmo abbandonare. E' poco importante per gli altri, ma non privo d'importanza per noi, sapere come si sosterranno quei serbi e dove vivranno. Forse questo esodo é stato programmato in funzione del crollo della Serbia. E infine non sappiamo ancora come verrà risolta la questione Sarajevo, ne sappiamo se avremo la possibilità di ottenere lo sbocco al mare. Non conosciamo ancora i dettagli dell'accordo costituzionale, che ci chiedono di sottoscrivere, ma per quel poco che ne sappiamo, noi avremmo il dovere di rinunciare alla nostra sovranità, formando uno stato comune insieme ai nostri nemici, senza sapere quando potremo diventare uno stato libero e soprattutto quando avremo la certezza di unificare le regioni serbe in un unico stato.

Le varie forze esigono che noi accettiamo questo piano, per poi provare a correggerne le parti che non sono accettabili, in trattative dirette con i nostri nemici. Perchè dovrebbero trattare con noi, quando il loro obiettivo dichiarato é di complicarci la vita e di cacciarci via da quei territori? Questa é solo una delle domande che non hanno una risposta chiara. Se non accettiamo il piano di pace, ci minacciano di proseguire la guerra nel modo più sfavorevole per noi, dove la parte musulmana sarà favorita, organizzata e bene armata, più di quanto non lo sia stata finora con gli aiuti dall'estero. Ci minacciano con l'isolamento totale, più di quanto non lo siamo stati finora. Esistono minacce credibili che la NATO ci raderà al suolo, che getteranno bombe su di noi, ogni qualvolta lo vogliano. Poi minacciano di allargare le zone protette e le zone di esclusione, in modo che i musulmani siano liberi di attaccarci dove vogliono e noi non potremo difenderci, ne rispondere laddove verremo attaccati. Chi ha più da temere da tutto questo, noi o loro che ci minacciano? Non siamo noi già in guerra? E non sarebbero costretti ad entrare in guerra anche loro nel caso che la NATO ci aggredisse?

Se non accettiamo il piano, su di noi si sfogherà la bile di tutti coloro che, fino ad ora, hanno fatto degli errori, calpestando il diritto internazionale. Di tutti coloro che non hanno la forza morale di ammettere i loro errori, ma li correggono con nuove ingiustizie. La storia ha già detto la verità sui crimini perpetrati contro gli indiani d'America, gli armeni, gli ebrei e gli altri che sono stati vittime di un genocidio. Ma la storia di solito dice la sua parola troppo tardi. L'oblio é il rimedio universale. Ma noi dobbiamo resistere e salvarci, dobbiamo sopravvivere, senza tener conto dell'eventuale colpa storica di cui ci accuseranno i nostri persecutori. Se dunque non accettiamo il piano, possiamo dire con grande certezza che la guerra si intensificherà e diverrà più crudele. Se non accettiamo il piano, dovremo abbandonare il nostro precedente modo di vivere e lavorare, dovremo proclamare lo stato di guerra, introdurre l'economia di guerra, organizzare la produzione bellica, mobilitare tutto il popolo nelle brigate di guerra e di lavoro. Dovremo gestire le nostre aziende in modo tale che producano per la guerra e per il fronte, perché sul fronte ci saranno molte difficoltà. Dovremo inasprire la disciplina, sia nella vita militare che in quella civile. Dovremo prepararci a respingere tutti gli attacchi del nemico sui nostri territori e anche passare sul territorio nemico per sconfiggerlo totalmente e definitivamente nel termine più breve. Dovremo affrontare gli attacchi aerei e abbatterne il più grande numero possibile, dovremo catturare ogni pilota abbattuto e confrontarci con armamenti moderni. Fino ad ora in questa guerra, abbiamo avuto ben settanta invenzioni e innovazioni nel campo degli armamenti, dovremo inventare e produrre nuovi ordigni. Introdurre la razionalizzazione delle forniture alimentari, così che nessuno abbia fame, ma neppure che ci sia qualcuno che vive nell'abbondanza.


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Forse dovremo trascurare gli stipendi, in modo che ogni dinaro venga dato per il fronte. Bisogna dire al popolo la verità, che é dolorosa. Se decidiamo di difendere il nostro stato e la nostra libertà, malgrado l'opposizione di tutto il mondo, allora sarà molto più difficile di adesso.

Nonostante gli errori, il sistema imperfetto e le istituzioni statali non ancora sviluppate, noi abbiamo portato avanti in questi due anni e mezzo la guerra serba più protetta della storia. Il popolo in genere non ha subito sofferenze, lo abbiamo protetto con la creazione del confine e della linea di fronte sui bordi dei nostri territori etnici. Non c'é stata la fame, ne le epidemie, gli ospedali hanno funzionato bene e la percentuale dei feriti salvati supera tutte le statistiche precedenti, così che la si può considerare un miracolo di Dio, in presenza dello Spirito Santo insieme a noi. Se respingiamo il piano, dovremo fare la guerra fino alla nostra sconfitta e al nostro esilio, oppure fino alla sconfitta del nostro nemico, lasciando la pietà per dopo la vittoria. Churcill aveva previsto per gli inglesi, sangue, sudore e lacrime, ma poté far questo contando su di un consolidato e potente impero, oltre alla maggior parte del mondo che era dalla sua parte. Il nostro sangue, il nostro sudore e le nostre lacrime, sarebbero ben più terribili e privi della compassione o della simpatia, così come della pietà della maggior parte del mondo. Saremo soli, sperando solo in Dio che fino ad oggi é stato con noi. Se respingiamo questo piano, allora questa decisione ci obbliga ai sacrifici e alla resistenza, uguali a quelli che migliaia di nostri uomini hanno già affrontato, dando le loro vite per il nostro stato e per il popolo serbo.

Cosa succederebbe invece se accettassimo il piano? In cambio delle città e dei territori che dovremmo concedere, ci viene offerta la pace, ma chi ci garantisce che i nostri nemici non si precipiteranno su di noi per finirci? Se ci ritiriamo sulle linee proposte, mettiamo i nostri nemici nella posizione strategica e tattica più favorevole, dalla quale potrebbero vincere la guerra contro di noi. Chi ci garantisce che non sarà proprio così? La comunità internazionale non ci può garantire niente e non le crediamo. Perché hanno introdotto le sanzioni, se pensano di abolirle così presto e facilmente? Hanno forse rinunciato ai dichiarati obiettivi vaticani di ridurre la Serbia ai confini del 1912? I nostri nemici rinuncerebbero così facilmente ai loro piani, da così lungo tempo preparati e stabiliti? Se noi rinunciamo al nostro stato, saremo in grado di impedire l'arrivo delle truppe NATO, dietro invito del governo di Sarajevo? Potrebbe la Serbia stare in piedi se sulla Drina, invece di noi, ci fossero decine di migliaia di soldati della NATO. No, saremmo costretti a inginocchiarci e accettare la minorazione, se non anche la distruzione. Rinuncerebbero i nostri nemici ad accendere il conflitto in Kosovo? Chi sarebbe responsabile di un tale sviluppo degli eventi? Saremmo, in quel caso, in grado di impedire la realizzazione dello scenario della distruzione dei serbi? O ci sarebbe più facile difenderci adesso, che ci troviamo in una posizione più favorevole? Quali garanzie abbiamo che dopo la nostra neutralizzazione e smilitarizzazione, la Croazia non attaccherà la Krajna serba? E se l'attaccherà come la difenderemo? Possiamo permetterci la smilitarizzazione e il disarmo, prima che si smilitarizzino la Germania, la Turchia e i loro alleati? E perché immergere il nostro stato e la nostra sovranità in uno stato comune con i nostri nemici di sangue?

Stimati deputati, cari ospiti, viviamo in un tempo impudente, in cui i grandi e i potenti non hanno paura di Dio, ne vergogna degli uomini. Se accettiamo non ci perdoneranno niente, ci faranno tutto quello che possono e che vogliono. Ma anche se respingiamo il piano proposto, oltre a Dio, non ci sarà nessun altro su cui contare. Dobbiamo scegliere, o accettiamo l'ultimatum e ci inseriamo negli interessi delle forze a noi contrarie, esposti alla loro pietà, senza nessuna certezza sul futuro. Oppure resistiamo con la certezza di combattere per la libertà e la giustizia. La sostanza di ogni tragedia é la connessione tragica delle circostanze. Non dobbiamo vantare eroismi davanti al popolo. Ognuno ha il diritto assoluto di scegliere personalmente il suo destino, ma nessuno, oltre al popolo e ai suoi rappresentanti, ha il diritto di scegliere il destino della Nazione. Solo il popolo può decidere e scegliere la strada del martirio e della sofferenza, perché solo allora troverà in se stesso l'enorme forza che lo porterà sulla strada del martirio e della resurrezione. Voglio dire che quando decideremo, non voteremo per il nostro destino, ma per quello del nostro popolo. Se decidiamo di accettare questo piano, dobbiamo sapere se il popolo é d'accordo e se seguirà questa decisione, se sarà in grado di sopportarne le conseguenze e se riuscirà ad orientarsi tra le difficoltà. Se respingiamo il piano, dobbiamo sapere se anche il popolo lo respinge, pronto al sacrificio e alla battaglia impari, non solo contro il nostro nemico ma anche contro forze imparagonabili. Benché non tengano conto del diritto internazionale, queste forze hanno bisogno della nostra firma, perché? Per la pace o per qualcos'altro? Tutto il mondo ci chiede la firma. Sono forse nostri amici, alla cui richiesta dobbiamo rispondere assecondandoli? Una cosa é certa, sia nel caso che accettiamo, sia in quello che rifiutiamo, dovremo essere pronti a controllare e a canalizzare le conseguenze che deriveranno dalla nostra decisione-
(Tradotto dal testo originale in cirillico)


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La risposta ufficiale dell'assemblea, viene tenuta segreta fino al giorno della sua presentazione alla conferenza di Ginevra, ma già il 20 luglio, la decisione dei deputati serbo-bosniaci, dà voce al fuoco della contraerea che inquadra nel mirino i C130 delle forze di pace che fanno la spola sull'aeroporto di Sarajevo con gli aiuti umanitari. Il ponte aereo viene sospeso. Il 21 luglio, alla conferenza di pace di Ginevra, la risposta negativa dei serbo-bosniaci crea delusione e irritazione tra i rappresentanti della diplomazia occidentale: il sottosegretario alla difesa degli Stati Uniti, William Perry, commenta che il no serbo apre la strada a nuove sanzioni e alla fine dell'embargo sulle armi per i musulmani. Il rappresentante dell'ONU alla conferenza, sig. Thorvald Stoltenberg, dichiara come ormai sia inevitabile che i caschi blu lascino la Bosnia, specialmente in conseguenza alla levata dell'embargo sulle armi, che aprirebbe la strada ad una nuova escalation del conflitto.

Il pres. Izetbegovic ritira il suo assenso al piano di pace, commentando - Per noi non c'é più alcuno spazio per trattare.- Solo i russi sostengono il rifiuto dei serbo-bosniaci, il Ministro degli esteri Kozirev commenta: - L'atteggiamento dei serbi é tutto sommato positivo, non hanno accettato il piano, ma non l'hanno neppure rifiutato del tutto.- La tregua diventa sempre più fragile sgretolandosi inesorabilmente, le numerose violazioni del cessate il fuoco surriscaldano velocemente l'atmosfera.

Il 27 luglio, colpi di artiglieria diretti contro un convoglio UNPROFOR che sta scendendo la pista del monte Igman per entrare a Sarajevo, fanno esplodere una cisterna di carburante, causando la morte di un casco blu e il ferimento di un secondo. La pista blu che attraversa l'aeroporto viene chiusa a tutto il traffico civile e commerciale. L'unica via d'uscita é di nuovo sbarrata, l'assedio si é richiuso su Sarajevo. Sulla pista del monte Igman, i veicoli commerciali vengono fatti bersaglio dai traccianti notturni delle contraeree serbo-bosniache. Dopo cinque mesi scarsi di pace relativa e di fragili tregue, i cittadini assediati vengono risospinti nell'incubo, i cecchini cercano di nuovo il loro sangue sparando a caso sui tram affollati, i prezzi tornano a lievitare, frenati solamente dal tunnel, scavato nell'autunno precedente per scopi militari ed oggi aperto anche ai civili, che permette alle merci di continuare ad entrare in città. All’interno dell’assedio, anche il gas e l’elettricità, così come l’acqua, ricominciano ad incontrare continue difficoltà di erogazione. Nonostante perduri la sospensione dei bombardamenti e l’UNPROFOR continui a tenere sotto controllo le armi pesanti, la vita in città rimane piena di difficoltà oggettive e inaccettabili, per la capitale di una nazione europea. Mentre il mondo libero si avvia alle soglie del terzo millennio, Sarajevo viene abbandonata ad una esistenza grama, senza sbocchi e senza futuro. I suoi abitanti vengono violentati continuamente, non solo dalle armi e dalle restrizioni, ma anche dalle speranze di un ritorno ad una vita normale che vengono brutalmente disattese. Specialmente per i più deboli, questa condizione crea un logoramento psicologico enorme. A intervalli irregolari i suicidi si gettano dalle finestre.


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