GIORNATE DI STUDIO E INIZIATIVA
SU INTERVENTI E CORPI CIVILI DI PACE
BOLZANO/BOLOGNA, 29 NOVEMBRE – 1 DICEMBRE


DOCUMENTO INTRODUTTIVO

Premessa
Il presente documento intende offrire una cornice concettuale di riferimento per i lavori delle “Giornate di studio e iniziativa sui Corpi civili di pace e la prevenzione dei conflitti armati”, organizzate a Bolzano e Bologna dal 29 novembre al 1 dicembre 2007. Sarà invece compito delle relazioni specificamente previste quello di introdurre i singoli temi di dibattito, mentre il sunto delle discussioni, con le proposte prodotte o gli interrogativi rimasti aperti, verrà raccolto in un documento conclusivo elaborato alla fine dei lavori.


I Corpi civili di pace
Per Corpi civili di pace si intendono interventi organizzati in contesti di conflittualità latente o acuta da parti terze non armate e non militari, volti alla prevenzione, mitigazione o cessazione della violenza, all’evoluzione democratica e non distruttiva del conflitto ed all’avvio di un processo di riconciliazione tra le componenti della comunità. In particolare le Giornate di studio si interesseranno agli interventi svolti in contesti internazionali, ossia dove le parti terze agiscano al di fuori del proprio paese.


Il percorso istituzionale
Le radici storiche dell’idea dei Corpi civili di pace affondano nel pensiero gandhiano, al cui interno si ritrova la proposta delle Shanti Sena come strumento organizzato per intervenire in modo nonviolento nelle situazioni di conflitto fra gruppi sociali o fra paesi. In epoca recente, i Corpi civili di pace sono stati proposti istituzionalmente per la prima volta al Parlamento Europeo da Alexander Langer nel 1995.

Lo stesso Parlamento Europeo ha approvato nel 1999 una Raccomandazione per l’istituzione di un Corpo europeo civile di pace, di cui sono stati realizzati anche i primi studi di fattibilità. Il tema è stato più volte affrontato nel dibattito sulla strutturazione di un’autonoma politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea. Ciononostante manca ancora una loro concreta realizzazione in ambito comunitario.

Alcune esperienze significative sono state avviate in singoli paesi europei. In particolare in Germania è attivo il Ziviler Friedensdienst, il Servizio Civile di Pace, istituito con fondi statali e co-gestito dal Governo federale e da un Forum di ONG tedesche. In Italia il Parlamento ha approvato nel 1998 un’analoga raccomandazione istitutiva, mentre la legge di riforma del Servizio Civile prevede dal 2001 la possibilità di impiego dei giovani in compiti di pace all’estero, per quanto finora sulla base di invii singoli e non di un Corpo organizzato.

Le sperimentazioni sul campo
Al di là dei tentativi istituzionali, da tempo si registrano esperienze di intervento civile nei conflitti internazionali promosse dal mondo non governativo. Tali esperienze sono cresciute con l’inizio degli anni ’90, grazie al nuovo clima nelle relazioni internazionali creato dalla fine del bipolarismo. La rottura del monopolio statuale sui temi della sicurezza e dei conflitti ha visto varie e differenti espressioni di attivismo civile: dalle pratiche di mediazione dal basso alla diplomazia parallela e alla negoziazione “privata”, dalle molte forme di peacebuilding civile ai percorsi di riconciliazione, fino – in casi estremi – ai tentativi di interposizione nonviolenta tra belligeranti.

Nel caso italiano simili esperienze sono state promosse in varie parti del mondo da singole associazioni, o da coalizioni di più organizzazioni, in genere con poche risorse se non quelle offerte da qualche amministrazione locale. Da circa un anno il Ministero degli Affari Esteri ha avviato una consultazione con tali organizzazioni, aprendo un Tavolo di lavoro in via di formalizzazione come Forum dei Servizi Civili di Pace, di concerto con il Ministero degli Affari Sociali che è competente sul Servizio civile nazionale. A livello europeo esistono analoghe esperienze di invio continuativo di volontari espatriati in differenti scenari di crisi, e si è anche creato un network di coordinamento che interagisce con le istituzioni comunitarie.

Parallelamente esiste un’intensa attività di formazione all’intervento civile nei conflitti internazionali, promossa da università europee ed italiane, da enti locali e regionali o da organismi privati. Il carattere ancora sperimentale e l’assenza di previsioni normative ed organizzative certe rende tali attività ancora frastagliate, sebbene in Italia sia stato compiuto un primo sforzo di ricognizione sui bisogni formativi e sulla figura professionale dell’operatore di pace.


Alcuni punti fermi acquisiti
Sia i progetti istituzionali sia le varie sperimentazioni sul campo mantengono ancora profonde diversità organizzative ed operative, tanto da poter affermare che non esiste un modello condiviso di Corpi civili di pace. Tuttavia nel corso del dibattito ormai più che decennale si sono acquisiti alcuni punti fermi sul tema:
- esiste la necessità pratica e la legittimità giuridica per istituire dei Corpi civili di pace come strumento distinto e autonomo, seppur collegato a quello militare e a quello strettamente diplomatico;
- l’azione dei Corpi civili di pace richiede un minimo di consenso condiviso tra gli attori locali, e la garanzia di operare in autonomia dagli obiettivi politici del paese o della coalizione di paesi invianti. L’intervento infatti, come quello di qualsiasi parte terza, ha successo solo se è in grado di farsi accettare e di appoggiarsi su forze locali di pace interne alla realtà in conflitto, e di valorizzare le loro competenze e potenzialità prima di immaginare un intervento da parte di attori esterni;
- i Corpi civili di pace vanno costituiti sulla base di un mix tra operatori professionisti stabili e volontari mobilitati da associazioni specializzate e socialmente radicate. Il loro profilo umano deve garantire un’adeguata copertura delle diversità di genere, età, lingua, competenze professionali etc…


L’evoluzione del contesto
Se alcune certezze si sono formate, restano tuttavia vari temi da approfondire per passare dalla proposta dei Corpi civili di pace all’operatività concreta, e per trovare un consenso condiviso fra tutti i soggetti coinvolti. Inoltre i mutamenti profondi nel quadro delle relazioni internazionali e in particolare del settore della sicurezza, avvenuti nell’ultimo quindicennio, investono anche alcuni aspetti della stessa proposta iniziale dei Corpi civili di pace.



Ad esempio il fenomeno delle nuove guerre, emerso nella fase post-bipolare, dove violenza militare, criminalità, lotta politica e disagio sociale si intrecciano tanto da confondersi. E dove pertanto sfuma il confine tra azione umanitaria, cooperazione allo sviluppo, peacebuilding e diplomazia. La risposta della società civile internazionale al ritorno della guerra negli anni ’90 è stata in gran parte piegata da una deriva emergenziale e caritatevole. L’intervento civile esterno si è spesso ridotto così al soccorso per lenire gli effetti delle crisi – l’invio di cibo e aiuti, mediaticamente molto redditizi – anziché adottare approcci complessi e orientati alla prevenzione della violenza e alla trasformazione delle cause. Come conciliare allora la necessaria interazione tra i diversi interventi civili di solidarietà internazionale, e la salvaguardia di uno specifico lavoro nonviolento sulle dinamiche del conflitto?

Altro tema è il nuovo ruolo assunto dagli eserciti impegnati in missioni di peacekeeping all’estero. Sempre più infatti tale ruolo si amplia oltre il solo mantenimento dell’ordine e della sicurezza, sconfinando in campi tradizionalmente civili come l’aiuto umanitario, la ricostruzione, la creazione e il rafforzamento delle istituzioni locali etc… Ciò è in parte una risposta, in assenza di strumenti più appropriati, alle dinamiche viste sopra: a guerre complesse si contrappongono interventi complessi. Ma in parte risponde anche – tralasciamo qui se in maniera adeguata o meno – al bisogno di legittimazione degli eserciti agli occhi tanto delle popolazioni locali quanto dei propri contribuenti in patria. Date queste tendenze, quale rapporto si può immaginare tra Corpi civili di pace e missioni militari internazionali?

Infine il progetto dei Corpi civili di pace non può non fare i conti con l’ulteriore novità introdotta dal terrorismo internazionale, e dal completo abbandono di ogni norma giuridica e morale nel comportamento di molti attori coinvolti nelle guerre contemporanee. La diffusione di notizie e dettagli sulle violenze perpetrate, anziché costituire una minaccia dissuasiva per gli elementi violenti, è addirittura ricercata e altamente mediatizzata. In alcuni contesti, la sola condizione di straniero rende impossibile operarvi a qualunque titolo da civile disarmato. E’ possibile in tali situazioni sostituire all’interposizione nonviolenta altri servizi di empowerment agli operatori di pace locali? E più in generale, quale utilizzo possibile per i Corpi civili di pace nelle fasi di violenza acuta?


I punti in discussione
Sulla base delle consapevolezze e degli interrogativi esistenti, le Giornate di studio e iniziativa intendono affrontare in particolare quattro nodi tematici di rilievo:

1. la figura professionale tipo per un operatore dei Corpi civili di pace, ed il conseguente profilo formativo che dovrebbero fornirgli i percorsi di studio attivati sul tema;
2. le prospettive d’azione sul campo dei Corpi civili di pace (prevenzione, confidence building, interposizione, riconciliazione…), in base alle diverse fasi in cui si trova lo specifico conflitto (latente, scalata, violenza acuta, post-bellica…);
3. le relazioni con gli altri attori operanti nei conflitti internazionali, in particolare le missioni di peacekeeping militare e le diverse organizzazioni di aiuto umanitario e cooperazione allo sviluppo;
4. gli scenari di intervento e le lezioni apprese dalle diverse esperienze sul campo fatte nel corso degli anni nei Balcani, in Medio Oriente, in Iraq, in Libano, in Africa…

Il nodo successivo che occorrerà affrontare, ma che esula dal compito prefissato per le Giornate, riguarda la struttura organizzativa di un futuro Corpo civile di pace. Di come cioè costituirlo operativamente, contemperando i diversi livelli di indirizzo politico e gestionale – Nazioni Unite, Unione Europea, Governo centrale, Regioni e Province Autonome, società civile e reti di ong –e trovando un giusto equilibrio tra la forte copertura istituzionale al progetto e la necessaria autonomia decisionale sul campo.

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