Interventi di Pace Alternativi a Quelli Militari e non Coordinati
di Enrico Peyretti

07 12 02 Seminario di Bolzano e Bologna sui Corpi Civili di Pace
(2 dicembre 2007 e 11 aprile 2009)


Un seminario di studio, concluso ieri a Bolzano e Bologna, sui costituendi corpi civili di pace, secondo un mio parere che ha avuto poco ascolto, non ha affermato con sufficiente chiarezza la necessità del carattere alternativo, sostitutivo, e niente affatto parallelo e interattivo (tanto meno subordinato e co-programmato) dell’intervento civile nei conflitti rispetto all’intervento militare.
Questo, militare, è l’unico intervento nei conflitti che la politica statale (anche democratica) sa finora concepire, con esiti sempre più disastrosi e vastamente dolorosi. Se l’intervento disarmato in aiuto ai popoli violentati dalla guerra appare, a questi popoli, coordinato con l’intervento militare, a suo supporto, e se l’azione internazionale con una mano colpisce e con l’altra cura, allora l’aiuto civile risulta, agli occhi delle vittime, una funzione della guerra, non la sua interruzione e sostituzione; allora addirittura l’impero della guerra cade anche sulla pace, con cui la guerra si maschera davanti alle vittime (nonostante le intenzioni soggettive e la dedizione dei volontari della pace).
Riconosco in pieno l'impegno serio di operatori e ricercatori, fino da Alex Langer nel 1995, per costruire dei corpi civili di pace istituzionali, e non solo affidati alla buona volontà delle iniziative dal basso, ma mi rimane forte il dubbio che gli stati, dall'origine e fino ad oggi "sposati" al mezzo bellico (vedi la tesi di Krippendorff, il cui Staat und Krieg è in traduzione [ora tradotto da Francesco Pisolato, e pubblicato da Gandhiedizioni, Pisa 2008, col titolo Lo Stato e la guerra. L’insensatezza delle politiche di guerra ]; non per nulla l'art. 11 auspica e vuole un "ripudio" che è la rottura di un matrimonio), possano senza equivoci gravi istituire corpi di pace non contaminati dai corpi di guerra.
Faccio l'ipotesi che mi pare più giusta e realista: la via della pace sia percorsa dalla cultura di pace della società civile, pure col diritto al sostegno pubblico, fino a quando (secoli? non importa! l'obiettivo sia chiaro anche se i tempi sono molto lunghi, il cammino sia tenace e perspicace, senza preecipitazione né pretese integralistiche, ma senza rassegnazione) fino a quando gli stati non aboliranno effettivamente l'istituzione e gli strumenti della guerra.
Non vale davvero l'obiezione realistica che anche Gandhi ammetteva: cioè il bisogno di una polizia, e anche armata (di armi leggere). Questa obiezione non inficia l'ipotesi appena fatta, perché polizia ed esercito, polizia e guerra, forza e violenza, sono su linee non solo diverse ma opposte, almeno per queste ragioni:
1) perché il senso corretto della polizia è ridurre la violenza, mentre quello della guerra è accrescerla per poter vincere, cioè distruggere (morte) o assoggettare (dominio);
2) perché la forza (la forza umana personale e anche la forza pubblica) è costruttiva di vita, mentre la violenza (privata o bellica) è distruttiva;
3) perché una forza di polizia internazionale che intervenga in un conflitto dovrà dipendere e rispondere ad una legittima autorità politica mondiale e non ad una coalizione di stati
Ai militari (alcuni hanno collaborato simpaticamente al seminario di Bolzano) dobbiamo dire lealmente che noi vogliamo l'abolizione del loro lavoro e della loro istituzione, salvando evidentemente non solo l'ovvio dovuto rispetto delle loro persone e delle intenzioni personali, ma specialmente la loro professionalità, che dovrà però spostarsi tutta dall'uso delle armi omicide all'organizzazione di un lavoro concertato, con mezzi umani raffinati, per la trasformazione nonviolenta dei conflitti, cioè della loro de-violentazione e socializzazione, nelle fasi della prevenzione, mediazione, riconciliazione, ricostruzione morale e materiale.
Credo che sia utile continuare a riflettere molto più problematicamente sugli scambi avvenuti nel seminario di Bolzano, sui dubbi e le ipotesi che qui ho cercato, come ho potuto, di riproporre .
Enrico Peyretti, Torino 2 dicembre 2007 (rivisto con piccole integrazioni l’11 aprile 2009)






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