Convegno di studi
AGIRE LA NONVIOLENZA

Segreteria e Direzione Nazionale
PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA

Comitato Regionale del Veneto e Gruppo Regionale PRC del Veneto

Federazione di Venezia e Gruppo Provinciale PRC di Venezia

Isola di San Servolo, Venezia, Sabato 28 e Domenica 29 febbraio

Pensiero e politiche: Prospettive di liberazione nella globalizzazione.

Di fronte alla illimitata capacità di violenza del "liberismo armato", più che mai, se ce ne fosse stato ancora bisogno, è dimostrato che l' "altro mondo possibile" potrà essere generato solo da una forza opposta e rovesciata altrettanto grande.

Non si tratta affatto di una operazione di spostamento dell'orizzonte teorico e politico da una tradizione, o una impostazione, rivoluzionaria, per riposizionarlo su approcci più accettabili e moderati. L'apertura di una ricerca e di un dibattito sulla nonviolenza assume oggi caratteristiche di una fortissima radicalità e forza innovativa.

Con lo zapatismo e con le stesse pratiche della disobbedienza, generalmente assunte dal movimento dei movimenti, si concretizza una dislocazione dell'opzione nonviolenta da un terreno che in passato veniva percepito dai partiti della tradizione comunista e socialista come prevalentemente etico ed individuale, ad un terreno generale e politico, costitutivo di pratiche collettive per la trasformazione sociale. In gioco è la natura stessa del potere e degli obiettivi possibili di una prassi rivoluzionaria. Con ciò si rompe ontologicamente con l'antico schema della "presa del potere", prima, come leva per trasformare, poi, il sistema politico e sociale. In tale schema il potere, inteso come monopolio statuale della violenza, viene concepito come unica possibilità, speculare a quella capitalistica, di trasformazione del mondo.

Una tale visione, ereditata dalla rivoluzione bolscevica, si distingue dalla natura di un processo rivoluzionario che si costituisce dal basso, già, socialmente, come alterità al sistema dominante, attraverso il consenso attivo ed una democrazia partecipata, che fonda la propria possibilità e necessità sulle reti della cooperazione sociale e produttiva. La novità sta proprio in ciò: se nel Novecento il pensiero e l'azione della nonviolenza furono interpretate dal movimento operaio come tendenze moderate o furono poste al servizio della ricostruzione di identità nazionali o a giustificare un esodo dalla politica, oggi il riconoscimento del pensiero della nonviolenza può costituire la essenza di una politica radicale, assolutamente dirompente e rivoluzionaria. E' l'elemento di rifiuto e di alterità sul quale si costruiscono relazioni sociali, mentre la contrapposizione violenta figura, anche nelle più semplici simulazioni, come distruzione di rapporti sociali e di movimento.

E' questo il senso ed il contenuto della nostra avversità alla "guerra costituente": la consapevolezza che essa non ammette, prima di tutto, l'esistenza di una "guerra giusta", in quanto pervade tutti i rapporti e le relazioni sociali; quindi l'alternativa non può misurarsi sullo stesso terreno dell'esercizio e del monopolio della violenza, ma sull'autodeterminazione e l'allargamento delle forme della democrazia e dei diritti.

Ci dobbiamo chiedere - allora - quali siano le forme di lotta più coerenti ed appropriate da praticare per chi pensa realizzabile una società fondata sul riconoscimento dell'altro, sulla reciprocità e la giustizia nei rapporti sociali e tra i popoli. Per un movimento che aspira a rivoluzionare i rapporti sociali, compresi quelli produttivi, del mondo intero attraverso un processo democratico, di conquista del consenso attivo delle classi subalterne, quali sono le forme di impegno che riescono ad ampliare ed amplificare l'opposizione e il conflitto? Qual è il modo più efficace per destrutturare le forme del potere costituito riuscendo, via via, a liberare forze nuove ed a renderle direttamente partecipi dei loro destini?

Si è subalterni all'oppressore subendo ubbidienti i suoi ordini, ma anche accettando le regole (truccate) del suo gioco, le sue leggi, le sue norme.

Il confronto violento porta inevitabilmente alla spirale delle ritorsioni, e c'è da credere che l'ultima, la "vincente", sarà quella sferrata dal più forte. Sottrarsi a questa logica è di vitale importanza per il movimento che ha nella lotta alla globalizzazione neoliberista ed alla guerra infinita il proprio obiettivo.

Alcuni filoni del pensiero politico nonviolento possono essere molto utili all'ideazione di pratiche sociali innovative, all'altezza di nuovi compiti che si pongono alle forze politiche che si rifanno al movimento operaio ed alla lotta di classe.

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