"Strumenti Civili per la Sicurezza Europea, tra Corpi Civili di Pace e Capacità Civili di Gestione delle Crisi e Prevenzione dei Conflitti"
di Matteo Menin
Centro Studi Difesa Civile - European Network for Civil Peace Services - Europen Peacebuilding Liaison Office.

La Politica europea di sicurezza e di difesa e gli strumenti civili di prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi.

L’Unione Europea ha avviato già dal 1999 la creazione di strumenti civili e militari per l’assolvimento delle cosiddette missioni di Petersberg (art. 17 del trattato di Nizza, oggi aggiornate nel nuovo trattato costituzionale agli artt. I-41 e III-309) che “…comprendono le azioni congiunte in materia di disarmo, le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di consulenza e assistenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti. Tutte queste missioni possono contribuire alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio.”

Per quanto riguarda le Capacità civili si trattava, per gli stati membri, di individuare degli specialisti pronti ad essere impiegati nei maggiori teatri di crisi e conflitto per sostituire le “capacita’ locali” quando queste non esistano più e per facilitarne la ricostituzione o il potenziamento/miglioramento quando sia necessario.

Le necessità individuate fino ad oggi erano limitate a specialisti in 4 ambiti: Protezione Civile, Polizia, Stato di Diritto e Amministrazione Civile; gli specialisti messi a disposizione dagli Stati membri (e non quindi sotto la diretta responsabilità e controllo UE) sono: 5761 esperti di Polizia, 631 esperti di stato di diritto, 562 nel settore dell’amministrazione civile, 4988 nel settore della protezione civile.

A queste necessità individuate ormai 6 anni fa, ne sono state affiancate altre, sempre su decisione del Consiglio dell’Unione europea. Queste sono:

505 esperti nell’area del monitoraggio e 391 esperti in diverse aree - diritti umani, affari politici, genere, SRR (riforma del settore della sicurezza) - che dovrebbero fornire supporto ai Rappresentanti speciali dell’UE inviati nelle diverse aree di crisi.

Sono poi da identificare le expertise in altri settori quali la mediazione, il controllo delle frontiere, il settore DDR - disarmo smobilitazione e reinserimento dei militari e paramilitari, le comunicazioni di massa (media policy).

Alcuni di questi esperti sono stati già impiegati in diverse missioni ufficiali dell’UE, che sono quattro: due missioni di polizia, una in Bosnia-Herzegovina (EUPM) ed una in Macedonia (PROXIMA); una di rafforzamento dello stato di diritto in Georgia (THEMIS) e la missione di monitoraggio nei Balcani occidentali (EUMM).
A queste si dovrebbe aggiungere presto una missione di polizia a Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo e sono in fase di valutazione una missione integrata di esperti (stato di diritto, amministrazione civile, ricostruzione e polizia) in Iraq oltre che una nel settore SSR sempre nella Repubblica Democratica del Congo.


In fine, il Consiglio sta elaborando i concetti e gli scenari di impiego di alcune squadre di reazione rapida di esperti civili (Civilian rapid response teams) composte da specialisti scelti di volta in volta sulla base delle specializzazioni più adatte al tipo di situazione di crisi da affrontare.

Da ultimo è utile far notare come la PESD è ancora sotto il pieno controllo dei governi nazionali, sia dal punto di vista del processo decisionale – sottoposto ancora alla regola dell’unanimità – sia dal punto di vista operativo – gli esperti civili vengono individuati dagli stati membri e quindi la selezione è spesso sotto il diretto controllo delle capitali nazionali e vari ministeri. Gli stessi esperti civili, inoltre, sono frequentemente funzionari delle amministrazioni statali che, spesso, non hanno alcuna intenzione di venire impiegati sul terreno in missioni ad alto rischio.

Alcune di queste figure di esperti, però, sono già presenti nel personale di organizzazioni nongovernative (soprattutto del nord Europa). In particolare le Ong del peacebuilding realizzano progetti di SSR, DDR , creazione di media locali indipendenti e imparziali (ad esempio coinvolgendo gruppi etnici diversi i progetti comuni di agenzie stampa, reti radio, giornali, ecc.); monitoraggio della situazione dei diritti umani, facilitazione del dialogo e mediazione interetnica/interreligiosa in aree di tensione o conflitto, ecc.

A queste expertise delle organizzazioni di società civile, e ad altre, gli stati membri e l’Europa dovrebbero guardare nel processo di definizione delle necessità e capacità civili di intervento nelle crisi e nei conflitti.

I Corpi civili di pace europei, un concetto in evoluzione.

Nel contesto di una PESD che può vantare un approccio pionieristico rispetto al resto della comunità internazionale grazie allo sviluppo di queste Capacità civili, e che potrebbe farne il fiore all’occhiello dei suoi strumenti di sicurezza ; si possono senz’altro inserire ed integrare le proposte dei corpi civili di pace che negli anni si sono susseguite a diversi livelli. Fra queste:

oltre alle capacità civili in ambito PESD e ai civilian rapid response teams già indicati abbiamo:

1. due proposte del Parlamento Europeo contenute in due risoluzioni:

- n. R4-0047/1999 del 10.02.1999 in cui si "raccomanda al Consiglio di elaborare uno studio di fattibilità sulla possibilità di istituire un Corpo di Pace Civile Europeo nell’ambito di una Politica estera e di Sicurezza Comune più forte ed efficace […] di vagliare la possibilità di concreti provvedimenti generatori di pace finalizzati alla mediazione ed alla promozione della fiducia fra i belligeranti, all’assistenza umanitaria, alla reintegrazione (specie tramite il disarmo e la smobilitazione), alla riabilitazione nonché alla ricostruzione unitamente al controllo ed al miglioramento della situazione dei diritti umani";

- n. A5-0394/2001 del 28 gennaio 1999, che prevede la creazione di "unità di reazione rapida non militare" e la realizzazione di un Corpo Civile di Pace Europeo, i cui possibili compiti sarebbero: "il coordinamento a livello europeo della formazione e dispiegamento degli specialisti civili per la realizzazione di misure concrete di peace-making come l’arbitrato, la mediazione, la disseminazione di informazioni imparziali, la de-traumatizzazione, e la costruzione della fiducia fra le parti in conflitto, l’aiuto umanitario, la reintegrazione, la riabilitazione, la ricostruzione, l’educazione e il monitoraggio e il miglioramento della situazione dei diritti umani, incluse le misure di accompagnamento dei diritti umani […] utilizzando pienamente le risorse della società civile";

la Costituzione Europea che oltre agli articoliI-41 e III-309 già ricordati prevede all’articolo III-321 l’istituzione di “un corpo volontario europeo di aiuto umanitario per inquadrare contributi comuni dei giovani europei alle azioni di aiuto umanitario dell'Unione.” (EVHAC), ma che è, per stessa ammissione della Commissione europea, qualcosa di diverso dagli ECPC che svolgerebbero funzioni diverse e più ampie

Uno studio di fattibilità del Parlamento Europeo sull’istituzione degli European Civil Peace Corp del gennaio 2004;

La proposta di creazione di “Rapid Response Teams”, dello scorso autunno contenuta in uno studio commissionato da Javier Solana (Alto rappresentante per la PESC/PESD) ad un gruppo di esperti coordinato da Mary Kaldor, e che dovrebbero essere composti da almeno due terzo da esperti civili.

Se guardiamo alle esperienze nazionali abbiamo, ad esempio:

In Germania la creazione dei Servizi civili pace e adozione di un Piano d’azione civile per la Prevenzione delle crisi, la risoluzione dei conflitti e la ricostruzione della pace nel post-conflitto;
In Svezia l’ adozione di un Piano d’azione per la prevenzione dei conflitti violenti ed una tradizione di confronto fra esperti delle ONG e militari.
In Svizzera all’adozione di una Politica specifica di Promozione civile della pace e di gestione civile dei conflitti è corrisposta la creazione presso il Ministero degli Affari Esteri di una specifica divisione per la sicurezza umana.

Sul piano degli enti di governo locale, in Italia, il tema dei CCP è stato oggetto di discussione da parte di alcune amministrazioni regionali e cittadine, fra queste è da segnalare lo studio di fattibilità dellaa Provincia e del Comune di Ferrara sulla realizzabilità di una missione di Caschi Bianchi da parte di Enti Locali del 2004.


In fine le numerose iniziative autonome delle organizzazioni della società civile – e ONG – che ispirandosi al concetto dei Corpi civili di pace hanno realizzato diverse tipologie di interventi civili nei conflitti che vanno dalla presenza protettiva alla reinserimento dei militari smobilitati, dalla facilitazione della riconciliazione e mediazione al supporto delle azioni locali di consolidamento della pace in tutto il mondo.


Le ONG europee del peacebuilding e le loro proposte.

In Europa ed in Italia le organizzazioni attive nella costruzione della pace e della ricerca di soluzioni nonviolente ai conflitti sono molte con approcci, risorse e obiettivi operativi anche diversi.

Alcune di queste hanno focalizzato la loro azione nella promozione dei Corpi Civili di Pace (CCP) come strumento di intervento civile nei conflitti. Queste organizzazioni hanno creato a livello europeo una lo European network for Civil Peace Services (EN.CPS), allo scopo di promuovere il concetto dei Servizi Civili di Pace (CPS) presso le istituzioni politiche nazionali ed europee e realizzare i primi progetti pilota di CCP/CPS.
EN.CPS conta oggi una trentina di organizzazioni da diversi paesi europei .

A livello mondiale è stata creata da più di cento organizzazioni di tutti i continenti una ONGI, Nonviolent Peaceforce, allo scopo di realizzare il primo progetto mondiale di Corpi civili di pace .

Le maggiori organizzazioni europee che si occupano di costruzione della pace e gestione, nonviolenta dei conflitti, hanno creato nel 2001 l’ufficio europeo di collegamento del peacebuilding (European Peacebuilding Liaison Office - EPLO).

Le organizzazioni aderenti a EPLO sono 17 e sono in gran parte reti a loro volta, alcune sono vere e proprie “multinazionali” del nonprofit internazionale come World Vision o Oxfam, altre grandi organizzazioni specializzate nel settore, come Search for Common Ground e altre ancora reti di organizzazioni più piccole (come Nonviolent Peaceforce e EN.CPS), ciò che le accomuna è il fatto di operare nel settore specifico della prevenzione, gestione e trasformazione nonviolenta dei conflitti e della costruzione della pace .

L’azione dell’Ufficio di Bruxelles è diretta ad informare i decisori europei (burocrazia europea e diplomazia nazionale oltre che esponenti politici e della società civile) e ad influenzare l’attività delle istituzioni europee (Advocacy e Lobby), ad informare le organizzazioni aderenti a EPLO degli sviluppi delle politiche europee più rilevanti per la loro mission specifica e, in fine, a favorire la cooperazione fra le organizzazioni aderenti e fra EPLO e gli altri coordinamenti europei di ONG e OSC.

Le richieste politiche di queste reti di ONG possono essere così riassunte:

La riforma strutturale delle “politiche e degli strumenti del peacebuilding dell’UE al fine di renderle più efficaci ed efficienti anche attraverso la creazione di un’Agenzia europea per il peacebuilding che dovrebbe controbilanciare il ruolo dell’Agenzia europea per la difesa, evitando una PESD troppo sbilanciata su strumenti militari e favorire lo sviluppo di capacità civili anche utilizzando le esperienze e le risorse che le ONG possono mettere a disposizione.

Una più ampia consultazione e coinvolgimento delle ONG non soltanto nella definizione delle politiche ma anche nella definizione operativa degli interventi e della valutazione delle missioni.

Una chiara distinzione fra civile e militare dal piano politico a quello decisionale fino aspetti operativi delle missioni.
Vi sono infatti diversi segnali del rischio di scivolamento del militare nell’assolvere sempre più spesso compiti di aiuto umanitario, ricostruzione e sviluppo che sono stati fino ad oggi assolti dalle ONG nel rispetto del principio di neutralità ed imparzialità e che difficilmente operatori militari possono rispettare. Inoltre, parte dei finanziamenti che dovrebbero essere dedicati allo sviluppo dei paesi Africani (del Fondo Europeo per lo Sviluppo) si è deciso di finanziare le missioni di peacekeeping militare dell’Unione africana. Se poi consideriamo che la pianificazione delle operazioni civili in ambito UE è stata affidata ad una cellula di pianificazione civile-militare creata in seno allo Stato maggiore dell’UE, non si possono non condividere le preoccupazioni delle organizzazioni nongovernative.

Una politica di prevenzione dei conflitti e di peacebuilding di lungo termine e la definizione di strumenti di bilancio specifici per il peacebuilding civile delle ONG .

La creazione di un ECPC/ECPS e la creazione di CPS nazionali per affrontare tanto le crisi al loro nascere che la costruzione della pace nel lungo periodo.

Esigenze molto simili si hanno anche a livello nazionale, dove il settore del peacebuilding civile paga lo scotto, rispetto ad altri paesi europei, di essere abbandonato alla buona volontà dell’associazionismo di volontariato senza che vi sia alcun serio investimento del governo in una politica italiana di prevenzione dei conflitti, senza che nessuna delle diverse proposte di creazione dei corpi civili di pace siano state prese in considerazione , senza che siano destinate dallo stato un minimo di risorse specifiche per il finanziamento di progetti di prevenzione, gestione, e trasformazione dei conflitti o consolidamento della pace.
Tutto ciò appare tanto più grave se paragonato agli investimenti di altri paesi in ques’ambito così importante per la sicurezza del nostro paese in un epoca di globalizzazione ed interdipendenza crescenti e quando si guarda sempre più alla proiezione esterna delle forze militari ma non si prende minimamente in considerazione una strategia di proiezione esterna delle risorse civili in un’ottica di prevenzione della violenza, dell’escalation e dei conflitti armati.

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