In relazione al Training nonviolento di Amman
di Maurizio Cucci

relazione integrata con gli appunti,
di Martì Olivella e Carla Biavati.

Lasciamo una Palestina piena di muri e di nuovi insediamenti.
Il check point di Kalandia, per entrare a Ramallah, è diventato una fortezza di cemento armato con camminamenti video sorvegliati che conducono a terminali dove si arriva, tutti ammassati, davanti ad una serie di cancelli girevoli fatti con grosse sbarre di metallo e forniti di semaforo: verde apre, rosso chiuso.
Una sensazione disdicevole.
Lasciamo una Palestina piena di muri, a Betlemme attraversano i cimiteri, escludono gli uliveti e spezzano la via maestra che arriva da Gerusalemme, dove i muri si arrampicano sulle colline tagliando fuori le Moschee e complicando l’accesso all’Università.
Lasciamo una Palestina piena di muri che attraversano i campi profughi complicandone l’esistenza fino all’inverosimile.

In Giordania ci accoglie un Re che riafferma l’idea della pratica nonviolenta contenuta nel messaggio originale delle tre religioni monoteiste. Ne leggiamo in un articolo comparso su una “special edition” di fine anno del settimanale Newsweek, scritto dal Re Hascemita Abdullah II Bin Al Hussein; impegnato nella “riaffermazione” dei principi originari dell’Islam e della loro fonte comune alle tre religioni monoteiste della Terra Santa. In dura opposizione al tentativo, definito aberrante, perseguito dai terroristi di “riformulare” l’Islam. Rimarcando che questi non sono che un infima parte della società mussulmana. E sostenendo che questa decisa “riaffermazione” dei principi dell’Islam è la migliore arma per combattere l’estremismo ed insegnare ai giovani che coloro che cercano di reclutarli al fondamentalismo radicale offrono solo false promesse derivanti da ideologie aberranti. E prosegue appellandosi a tutte le risorse, morali e intellettuali, a disposizione dell’intera umanità per vedere, finalmente, gli estremisti sopraffatti su tutti i fronti da coloro che amano il loro prossimo come se stessi e auspicano i valori universali della buona volontà, della pace, della libertà e della giustizia.

Ad Amman ci attende un training nonviolento dedicato a rappresentanti della società civile irakena, sostenuto finanziariamente dall’Agenzia Catalana per lo Sviluppo e la Cooperazione. L’idea, per la verità, era stata proposta da Carla Biavati ad una precedente conferenza “Per una Cultura di Pace” tenutasi nel Castello di Figueres in Catalogna. Il training, invece, è stato deciso due mesi dopo al World Social Forum di Porto Allegre del gennaio 2005, durante un workshop sulla nonviolenza dove Martì Olivella, organizzatore della conferenza catalana, ha colto l’occasione per proporlo e perfezionarlo insieme a Jean Marie Muller, Martina Pignatti Morano, Muhammed Tarik, Saif Abukeshek e agli altri presenti al workshop.

Dopo una vigilia di incertezza a causa del sovraffollamento sui voli in uscita da Baghdad, per il tradizionale pellegrinaggio alla Mecca, i ventiquattro amici irakeni sono arrivati puntuali. Vengono da Baghdad, Kerbala, Nejaf, Kirkuk, Mosul, Samarra, Suleimania, Bassora, Nassiria, Falluja, ecc…
Non manca l’emozione dell’incontro, nella sala dell’Hotel Al Manar, seduti attorno ad un tavolo, con le traduzioni dall’arabo al francese e viceversa e l’attesa e l’interesse per le presentazioni.
La maggioranza sono avvocati interessati ai diritti umani e alle pratiche della nonviolenza attiva, ci sono due giornalisti, due rappresentanti del Partito Islamico Irakeno, il funzionario per le relazioni esterne dell’Assemblea Nazionale del Lavoro, il Vice Presidente della Conferenza Nazionale Irakena, un rappresentante del Consiglio Nazionale per il Dialogo in Irak, il Presidente della Summa degli Uleima, una Signora Cattolico Caldea che lavora al Ministero del petrolio, tre donne rappresentano le donne Kurde, le donne di Bassora e le donne Mussulmane, ci sono alcuni seguaci di Al Sadr, i più giovani, uno di loro è direttore al dipartimento di informatica dell’Università di Baghdad. Ci sono anche rappresentanti del Consiglio per le Minoranze in Irak, c’é un fuoriuscito da Abu Graib che si occupa delle vittime delle prigioni americane in Irak e porta su di se i segni delle torture subite in carcere. A loro si sono aggiunti, Ambra Abu-Ayyash del Centro per i Diritti Umani di Amman e, come appoggio al progetto, i due film makers Flavio Signore y Aitor Echevarria del Centro Culturale Gandhiji, un solo interprete, Akram El Neis, di Media Senza Frontiere che verrà aiutato da due dei trainers, Ziad e Jean, poi Stefano Ellero e Balsam di Un Ponte Per… che hanno puntualmente organizzato la logistica. Poi Marti Olivella, il geniale mediatore dell’intera impresa, e Belem Vicens di NOVA che hanno trovato i finanziamenti e coordinato il progetto insieme all’instancabile Martina Pignatti Morano e Simone D’Alessandro del Centro Gandhi di Pisa. Jean Marie Muller del Movimento per un’Alternativa Nonviolenta era il trainer principale che ha condotto la sessione insieme al libanese Jean Daoud, attore impegnato nella nonviolenza e a due palestinesi, Ziad Medoukh dell’Università di Gaza e Saif Abukeshek dell’International Solidarity Movement. Maurizio Cucci e Carla Biavati erano semplici osservatori dei Berretti Bianchi.

Jean Marie apre i lavori manifestando la volontà di capire la loro esperienza della violenza e il loro rifiuto della violenza. Riaffermando inoltre l’inadeguatezza della violenza e l’impossibilità di essere adottata come metodo per la risoluzione dei conflitti. Segue l’introduzione di Martì Olivella che presenta il movimento nonviolento in Spagna e Catalogna, le lotte per l’obiezione di coscienza e i Corpi Civili di Pace. Quindi uno alla volta tutti i partecipanti si sono presentati ed hanno espresso le loro motivazioni e le loro aspettative, facilitati da Ismaeel M. Dawood che insieme a Muhammed Tarik hanno coordinato i partecipanti irakeni.

Nel pomeriggio si é ridiscusso il programma secondo i suggerimenti dei partecipanti, tra l’altro:
- Definire la violenza e la sua legittimazione
- Come agire una limitazione della violenza
- Concetto di rivoluzione sociale come strumento legittimo per le lotte di liberazione
- Costituire un reseau, una commissione, una rete, un network di formazione alla nonviolenza, partendo dall’educazione ai diritti umani. Un’agenzia che permetta alla società civile irakena di implementare la nonviolenza, anche e soprattutto per agirla nella società femminile.
- Cercare di partecipare i principi della nonviolenza alla realtà della vita quotidiana
- Ruolo della nonviolenza nell’Islam
- Attenzione alla dignità umana e alle minoranze religiose
- Trovare e coivolgere ONG internazionali e locali per promuovere una strategia nonviolenta comune e attiva capace di raggiungere l’intera popolazione irakena
- Preparazione come trainers nonviolenti

La discussione é appassionata, ma é in arabo (sig), anche se c’é la traduzione in francese, non è facile mantenere il filo degli interventi. Comunque gli spunti sono profondi e serrati.

Dopo una breve introduzione alla nonviolenza di Jean Marie Muller, si riuniscono i quattro gruppi di lavoro per consentire lo scambio delle idee più importanti. Quando inizia il lavoro comune si produce una grande euforia, per la prima volta persone tanto diverse, per fede, provenienza e ideologia, si rendevano conto che potevano conseguire un risultato comune.

Queste le frasi sulla nonviolenza acettate all’unanimità:
Gruppo 1
- Il “no” di nonviolenza, non deve essere interpretato come una negazione ma come un’affermazione.
- La Pace non può essere uno stato assoluto dell’esistenza se non è accompagnato dalla dignità e dalla libertà.
- Allo scopo di creare una società nonviolenta dobbiamo proteggere la dignità degli esseri umani. Ogni atto di violenza è una violazione della dignità e della personalità degli altri esseri umani.
Gruppo 2
- Usiamo la nonviolenza per rendere impossibile la violenza.
- L’obbiettivo più importante è di costruire ponti fra le culture e non di costruire muri.
- Demoliremo la legittimità dei pricipi della violenza se sapremo riconoscere i diritti degli altri.
Gruppo 3
- La bontà si trova in tutte le cose. La violenza si presenta come reazione, il potere si trova nella nonviolenza.
- La forza si trova nel confronto e non nella violenza.
- Fare il bene al prossimo è un buon inizio per ottenere un dialogo equilibrato.
- Essere autoriflessivo nel trattare con gli altri.
- E’ stupido costruire muri, è meglio costruire ponti fra le culture (tra l’est e l’ovest).
Gruppo 4
- La nonviolenza non è codardia, ma un metodo per evitare la violenza.
- Per aderire al cammino della nonviolenza dobbiamo conoscere i nostri diritti, quelli degli altri e rispettarli.
- Dobbiamo comprendere bene la terminologia linguistica che sta per; forza, aggressione, conflitto, resistenza …
- Come eliminare la cultura della violenza dalla nostra società mediante lo sviluppo della cultura della nonviolenza?
- Come influenzare la mentalità della gente con la cultura della nonviolenza?

Le sessioni del seminario e i lavori di gruppo sono intervallate da stages di Jean Daoud sull’affinità e il Teatro dell’Oppresso. Una delle sessioni inizia con un minuto di silenzio dedicato a tutte le vittime dellIrak.

Jean Marie Muller espone le dieci tappe per l’attuazione di una strategia nonviolenta:
1) Analizzare la situazione di ingiustizia
2) Trovare un’obbiettivo chiaro e preciso che si possa realizzare
3) Creare un’organizzazione adeguata all’obbiettivo
4) Tentare un primo negoziato
5) Appellarsi all’opinione pubblica nazionale e mondiale con azioni di sensibilizzazione che trovino l’appoggio dei media
6) Invio di un ultimatum
7) Lancio di un’azione diretta di non cooperazione
8) Iniziare un programma costruttivo e alternativo
9) Prepararsi ad accettare una repressione di tipo violento
10) Negoziazione finale mantenendo l’azione diretta di non cooperazione ad oltranza, fino al raggiungimento dell’obbiettivo

Nella sessione seguente per gruppi, vengono adottati alcuni temi sui quali proporre startegie d’azione, questi i quattro temi principali:
Sradicare la violenza
Agire la nonviolenza
Strategie da mettere in atto con la società civile
Strategie per coinvolgere l’ONU

I gruppi si alternano alla discussione e agli stages di Jean Daoud, Carla ha partecipato ad uno dei suoi stages :- Nella sala della conferenza liberata dai tavoli e messa in penombra lo stage inizia con il riscaldamento e il rilassamento per poter meglio esprimere il proprio se profondo, i propri sentimenti. Alcuni hanno gridato Allah è grande e misericordioso, altri vogliamo libero il nostro paese, vogliamo la pace, io mi sono inginocchiata chiedendo perdono per la guerra perché credo nella pace ma non siamo stati capaci di crederci al punto da impedire la guerra. Jean mi ha poi chiesto di ripetere la mia intenzione a qualcuno personalmente, allora mi sono avvicinata al giovane sciita, che prima, nell’esprimere i propri sentimenti aveva pianto. Così ognuno si è avvicinato al suo prossimo esprimendo i propri sentimenti. L’esercizio è poi proseguito per oltre un’ora.
Nella seconda parte dello stage Jean ha messo in scena esercizi del Teatro dell’Oppresso dividendo i partecipanti in quattro o cinque gruppi che replicavano episodi di violenza e sopruso cercando di modificarli con la difesa civile e la risposta nonviolenta. Lo stage si è poi trasformato in un esercizio di liberazione, quando tutti hanno cominciato a cantare canzoni tradizionali irakene continuando anche dopo la fine dello stage! Tra abbracci e un forte senso di fratellanza un signore mi ha ringraziato esprimendomi un grande rispetto, che io ho inteso più ampio e allargato alla figura femminile che è parte integrante della società civile. Questo suo gesto di stima ha illuminato quella zona d’ombra che vela il rapporto dell’Islam con la donna. -

Un pomeriggio vengono proiettati i DVD contenuti nella pubblicazione “A force more powerfull” (Una forza più potente), tutti scrupolosamente tradotti in arabo dall’organizzazione.
Si tratta di quattro esempi storici di rivoluzioni nonviolente che hanno raggiunto i propri obiettivi; la rivoluzione di Gandhi che conquistò l’indipendenza dell’India, scacciando gli occupanti inglesi. Delle lotte per i diritti civili guidate da Martin Luther King negli Stati Uniti e dall’African National Congress in Sud Africa. E, infine, delle lotte di Solidarnosc e degli operai dei cantieri di Danzika, in Polonia.

Purtroppo Jean Marie Muller non ha permesso che si vedessero i film dell’International Solidarity Movement, dispiace per due ragioni: perché le due occupazioni sono simili e vicine, e poi perche’, ancora una volta, i palestinesi non hanno trovato cittadinanza.
D’altra parte i principi di Jean Marie sono inviolabili, egli sostiene che, se un’azione diretta è al 95% nonviolenta e al 5% violenta, allora quella non è un’azione nonviolenta ma, al contrario, è un’azione contaminata dalla violenza e i media proporranno all’opinione pubblica solo quel 5% dell’azione che si è rivelata violenta, ignorando completamente il restante 95% di azione nonviolenta.

Se e’ vero però che non si può utilizzare l’esperienza palestinese come modello perché la rivoluzione nonviolenta ha diverse forme e non si ripete con gli stessi schemi, è vero altresi che non la si può semplicemente escludere, perché la lotta del popolo palestinese resta un esempio storico. Ziad e Saif presentano alcune strategie nonviolente che si attuano nella striscia di Gaza e nella West Bank. Descrivono l’interposizione come metodo di azione diretta nonviolenta, anche partecipata da internazionali. E ne spiegano l’organizzazione e l’attuazione.
Uno dei temi della sessione è l’approfondimento di alcuni concetti, perché generalmente si crea un malinteso tra azioni senza violenza e azioni nonviolente. La nonviolenza è incompatibile con la violenza. Mentre l’azione senza violenza è compatibile con la violenza. La nonviolenza è un atto, un’azione, una strategia cosciente, che può ottenere un esito positivo alla sola condizione che si dissoci dalla violenza, perché la violenza è controproducente per la strategia nonviolenta.

E così via, procede il dibattito, si approfondiscono le conoscenze reciproche. Il venerdì e’ giorno di preghiera per gli amici mussulmani e i lavori sono limitati alla mattinata, inoltre è anche la festa del riposo che coincide con i cinque giorni di pellegrinaggio alla Mecca. Gli irakeni hanno potuto camminare per le strade di Amman liberamente, andare alla Moschea, al ristorante e nei negozi, a fare tutte quelle cose che si fanno durante le feste.

Il lunedì, l’ultimo giorno, i partecipanti lavorano in gruppi per disegnare strategie nonviolente per poter concretizzare iniziative organizzative che diano continuità al processo di promozione della nonviolenza in Irak.
La plenaria propone tredici temi sui quali elaborare una strategia nonviolenta di azione, ma i partecipanti si aggregano solo su sei proposte:
1) Liberare l’Irak dall’occupazione americana (sei persone)
2) Costruire un sistema giudiziario indipendente (tre persone)
3) Rischio di arresti collettivi (tre persone)
4) La religione usata per giustificare la violenza (tre persone)
5) Unire i differenti gruppi della società irakena (tre persone)
6) La disoccupazione (cinque persone)

Più tardi, nel pomeriggio, i gruppi affrontano le problematiche per dare continuità al processo di promozione della cultura nonviolenta:
1) Organizzare una Conferenza per la creazione di una rete nonviolenta in Irak
2) Creare un sito web sulla nonviolenza
3) Stabilire un piano di educazione alla nonviolenza
4) Creare un centro di studio e formazione alla nonviolenza

L’insicurezza di certe zone dell’Irak sarà determinante per verificare la fattibilità di queste iniziative.

Certamente l’esperienza è risultata positiva e rimarchevole per tutti, in particolare per gli iraqeni, molti dei quali, sono usciti per la prima volta dal loro paese. Una dozzina di loro hanno prolungato la loro presenza per poter partecipare ad un nuovo training presso il Centro per i Diritti Umani di Amman.

Infine non si può non rilevare l’urgenza della domanda di metodologie nonviolente e di educazione ai diritti umani per poter cambiare la società contemporanea. Una tendenza della società civile che si rivela ogni giorno più transnazionale non meno che transreligiosa e che tenta timidamente di implementare la Carta dei Diritti dell’Uomo, che appartiene a tutti i popoli dell’umanità.

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