Documento - Appello di Campagna Kosovo
per le Lotte nonviolente a Belgrado e in Kossovo
Gennaio 1997

SOMMARIO

Belgrado

Kosovo

Appello

CAMPAGNA PER UNA SOLUZIONE NONVIOLENTA IN KOSOVO
STORIA, FINALITA' E PROSPETTIVE


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Belgrado
Le manifestazioni nonviolente degli studenti di Belgrado e della coalizione "Zajedno" (Insieme) durano ormai da oltre due mesi. Esse rivendicano il riconoscimento dei risultati del secondo turno delle elezioni amministrative in Serbia che hanno visto la vittoria dell'opposizione in molte delle principali città compresa la capitale e che il regime di Milosevic ha annullato per "presunti brogli", con la connivenza di commissioni elettorali e di giudici compiacenti.
L'opinione pubblica segue con interesse quanto sta accadendo in Serbia perchè, dopo le atrocità del recente conflitto, vede che finalmente questo paese ha trovato un modo civile e moderno di lottare per la propria trasformazione democratica. E giustamente, questa volta, sia gli Stati Uniti che l'Unione Europea e l'OSCE sono intervenuti tempestivamente per evitare uno spargimento di sangue e per trovare una soluzione adeguata alla richiesta di democrazia proveniente dagli studenti e dalle opposizioni.
Determinante in questo connitto si è rivelato il ruolo svolto dalla Commissione di verifica dell'OSCE guidata dall'ex Premier spagnolo Gonzales. Tale Commissione, proposta dal Ministro degli Esteri italiano Lanfranco Dini e accettata da Milosevic, ha riconosciuto valida la vittoria dell'opposizione in 14 città della Serbia. Ma il problema non è ancora del tutto risolto in quanto Milosevic ha riconosciuto la vittoria delle opposizioni solo in alcune di queste città.
Perciò è necessario che continui la pressione internazionale su Milosevic affinchè le lotte in corso abbiano uno sbocco positivo e si introduca finalmente la democrazia in un paese in cui tutti i poteri - politici, economici (si veda la ricchezza acquisita dal clan del Presidente grazie all'embargo) e strumentali (ad esempio i mass media) - sono in mano ad una sola persona che li ha gestiti fino ad ora a suo piacimento ed interesse. Ed è necessario che la Comunità Internazionale tenga sotto osservazione e spenga le velleità del regime serbo di utilizzare il problema del Kosovo ai fini di distogliere l'attenzione internazionale e di ricompattare il nazionalismo serbo con un nuovo conflitto armato in quell'area.
Pertanto si chiede che la Comunità Internazionale si adoperi affinchè sia riconosciuta la vittoria delle opposizioni in tutte le città indicate dalla Commissione OSCE, sostenga il processo democratico avviato in Serbia dalla popolazione studentesca e dalle opposizioni e lo controlli affinchè siano evitate pericolose derive autoritarie e nazionaliste (non solo da parte del regime ma anche delle attuali opposizioni), inviti senza esitazioni il Governo Serbo a trattare nelle sedi istituzionali competenti il problema del Kosovo (come richiesto anche dalla "Risoluzione 1077" del 24/1/1996 dell'Assemblea Parlamentare Europea, par. V.e.).
Infatti se il positivo intervento ufficiale della Comunità Internazionale riguardo gli ultimi avvenimenti in atto in Serbia ha fino ad ora determinato il superamento della posizione del regime di Milosevic ("questo è un problema interno della Serbia e gli altri Paesi non clevono entrarci"), lo stesso intervento non si è verificato, da parte della stessa Comunità Internazionale, nei riguardi dell'altro conflitto, anche più grave, che vede da anni coinvolta le stessa Serbia ed il Kosovo.

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Kosovo
Questa regione, a maggioranza albanese, secondo la Costituzione della Repubblica Federale Jugoslava del 1974, era una delle otto unità costitutive della Federazione Jugoslava, partecipava alla Presidenza della Federazione secondo il principio di rotazione (due volte questa carica è toccata ad un albanese del Kosovo), godeva del diritto di veto per tutte le decisioni prese a livello federale che non venissero accettate dai propri organi decisionali (Parlamento, Governo, Corte Costituzionale, ecc.), e poteva impartire ogni grado di istruzione nella lingua albanese parlata dal 90% della popolazione.
Il 23 marzo del 1989 tali prerogative sono state revocate unilateralmente e incostituzionalmente dal Governo Serbo dato che la Costituzione vigente richiedeva l'approvazione del Parlamento del Kosovo per simili modifiche. In quel giomo, infatti, manu militari, con i carri armati che circondavano il Parlamento del Kosovo, con la presenza in sala di persone che non avevano diritto ma che ugualmente votarono, con di fatto solo una minoranza che diede l'assenso ma senza alcuna conta dei voti - tanto che la Corte Costituzionale del Kosovo dichiarerà la decisione non valida - il Kosovo si vide abrogare la caratteristica di componente federale e il diritto di veto, e ridurre allo stato di "provincia autonoma" della Serbia.
Proprio grazie a questa politica anti-albanese Milosevic, in quel tempo presidente della Lega dei Comunisti della Serbia, venne eletto nel novembre dell' 89 Presidente della Repubblica Serba, e sono restate senza alcun esito le lotte nonviolente (petizioni, digiuni, marce, manifestazioni, luminarie, funerali della violenza, ecc.) attuate dalla popolazione albanese prima e dopo questi avvenimenti. Nel 1991 scoppiò la guerra tra le repubbliche della Federazione conclusasi nel '95 con gli accordi di Dayton grazie alla mediazione degli Stati Uniti.
Attualmente il Kosovo è gestito unilateralmente dalla Serbia ed è occupato da oltre 50.000 tra soldati e poliziotti serbi. Gli albanesi che non hanno accettato il colpo di stato costituzionale sono stati licenziati da fabbriche, scuole, ospedali, uffici pubblici e tutta la popolazione albanese continua a subire costantemente da parte degli occupanti gravi violazioni dei diritti umani (uccisioni, sevizie, arresti e perquisizioni arbitrarie) come denunciano i ripetuti rapporti delle Nazioni Unite, del Consiglio d'Europa (vedi anche la risoluzione su citata, art. I) e di altri organismi quali Amnesty International, Helsinkj Citizens Assembly e lo stesso Humanitarian Law Center di Belgrado.
A questa situazione gli albanesi del Kosovo hanno risposto con la strategia nonviolenta del Governo Parallelo, organizzando le proprie elezioni, eleggendo un proprio Presidente della Repubblica (Rugova) e dando avvio a un sistema scolastico, assistenziale e sanitario parallelo. Ma la situazione resta quanto mai grave e il conflitto rischia ogni giorno di esplodere in conflitto armato se la Comunità Internazionale non interviene nelle sedi istituzionali con i suoi organismi ufficiali e non impone una soluzione adeguata al problema.
Gli accordi di Dayton non hanno preso in considerazione il problema Kosovo e oggi, mentre si parla di fine della guerra e di normalizzazione, le tensioni tra la popolazione albanese e il Governo Serbo aumentano sia per lo stanziamento forzoso di profughi serbi nella regione, sia perché alcuni paesi europei, come ad esempio la Germania, hanno cominciato a rimandare in Kosovo gli albanesi; si parla di circa 350.000 profughi rifugiatisi in Europa durante la guerra. E in molti casi si tratta di giovani espatriati per non prestare servizio militare nell'esercito serbo e che per questo sono considerati "disertori". Secondo i rapporti del Consiglio per i Diritti Umani di Pristina (capitale del Kosovo) alcuni di essi, rimpatriati, sono stati arrestati e sottoposti a gravi maltrattamenti e punizioni, mentre recenti notizie riferiscono che il regime di Belgrado sta attuando il richiamo alle armi.
Sempre piu concreto si delinea quindi il pericolo che diventi realtà il detto "tutto è cominciato nel Kosovo, tutto f1nirà nel Kosovo" e che esploda un altro conílitto armato anche nella zona Sud dei Balcani con il coinvolgimento, oltre che della Serbia e del Kosovo, anche del Montenegro, della Macedonia, dell'Albania, della Grecia e della Bulgaria, paesi dove la presenza albanese è piu o meno consístente.
Fino ad ora sia gli Stati Uniti che singoli governi europei (Belgio, Francia,Italia) hanno ricevuto esponenti del governo albanese parallelo a livello ufficioso e solo grazie alla mediazione della Comunità di S.Egidio è stato sottoscritto un accordo tra Milosevic e Rugova che riguarda le scuole, ma la cui non applicazione sta peggiorando la già difficile situazione esistente e sta creando difficoltà allo stesso leader Rugova e alla sua politica di resistenza nonviolenta organizzata.
Perciò la Comunità internazionale e in particolare quella europea devono coinvolgersi direttamente e nelle sedi istituzionali anche in questo problema che non è - come sostengono Milosevic e gran parte della attuale opposizione - un problema interno della Serbia, ma un grave problema di portata internazionale da trattare, eventualmente, in una Conferenza Internazionale apposita.

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Pertanto si chiede

che la Comunità Internazionale e in particolar modo l'Europa e l'Italia, la cui mediazione è stata recentemente accettata dal regime di Belgrado durante le contestazioni elettorali, si adoperino affinché in Kosovo siano riammessi gli osservatoori dell'OSCE, allontanati nel luglio del 1993 dal Governo di Belgrado;
chieda e ottenga precise garanzie per il rientro in Kosovo degli emigrati e specialmente dei giovani di leva;
tuteli i diritti dei profughi serbi nel territorio del Kosovo e i diritti degli stessi albanesi residenti nei luoghi forzosamente assegnati a questi profughi;
renda operativo l'accordo Milosevic-Rugova per le scuole, sottoscritto nel settembre 1996 e non ancora applicato;
predisponga una presenza costante e qualificata di civili europei in Kosovo con l'apertura di un " Centro di Cultura Europeo" o di un "Centro Europeo di Informzione" come già è stato fatto dagli Stati Uniti con la costituzione a Pristina dell' USIA (United States Information Agency) che ha costituito la prima occasione di incontro tra la dirigenza locale serba e quella albanese, anche in vista dell'auspicabile apertura a Pristina di un Consolato Italiano e di altri Paesi europei, o almeno di una "Ambasciata di democrazia locale", come richiesto dal Parlamento Europeo nella raccomandazione n. 1288 del 24.1.1996 par.1, iii.

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CAMPAGNA PER UNA SOLUZIONE NONVIOLENTA IN KOSOVOSTORIA, FINALITA' E PROSPETTIVE

La Campagna nasce ufficialmente nel maggio1993, co-promossa da Movimento
Internazionale della Riconcilizione (MIR), Agimi di Otranto, Pax Christi e Beati
i Costruttori di Pace. Attualmente aderiscono anche

Il suo impegno prioritario é rivolto a sostenere e far conoscere la resistenza nonviolenta del popolo albanese del Kosovo, che costituisce il più notevole esempio di difesa civile nonviolenta in atto in Europa: in pieno conflitto jugoslavo un popolo di due milioni di abitanti ha scelto l'alternativa nonviolenta in risposta alla continua violazione dei più elementari diritti umani di cui é fatto oggetto dal 1991, dopo che il
Governo serbo ha unilateralmente revocato i diritti ad esso riconosciuti dalla
Costituzione Federale del 1974, repressione più volte denunciata sia dalla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite che da Amnesty International.
L'impegno di Campagna Kosovo si é espresso con l'invio di delegazioni qualificate,
agendo sul Governo italiano con interrogazioni parlamentari e appelli rivolti
alle Commissioni Esteri di Camera e Senato, collaborando con gruppi e movimenti
internazionali al fine di evitare l'isolamento della popolazione, consolidando i contatti
con le associazioni di albanesi kosovari in Italia anche con l'obiettivo di organizzare
seminari di formazione e di approfondimento della difesa civile nonviolenta.
Nel 1995 fu avviato il progetto "Ambasciata di Pace" con lo scopo di assicurare
una presenza a Pristina per seguire gli sviluppi della situazione, mantenere i contatti
con i leaders e i gruppi di base, svolgere azioni di mediazione tra la popolazione
sia albanese che serba, sviluppare rapporti di conoscenza e collaborazione tra Università italiane e Università serba e albanese (parallela) e tra i rappresentanti politici di entrambe le parti.
Nel 1996 è stato inviato un dossier informativo a tutti i componenti delle
Commissioni Esteri di Camera e Senato insieme ad un appello in cui si chiedeva
che il Parlamento invitasse Rugova e i rappresentanti dei principali partiti politici
del Kosovo, che si chiedesse alle autorità serbe il rispetto dei diritti umani in
quella regione, che fosse offerta la mediazione italiana per l'avvio di concrete
trattative di pace, che in base alla L.180 del 1992 si studiassero le modalità per aprire un Circolo di cultura italiana a Pristina come occasione di dialogo tra le etnie
albanese e serba e per facilitare anche l'avvio di una "Ambasciata di democrazia locale", come richiesto dal Parlamento Europeo nella raccomandazione n.1288 del 24.1.1996.
10.000 cartoline sono state spedite al Ministro degli esteri e al Presidente
del Consiglio d'Europa con la richiesta di impegno per affrontare nelle sedi istituzionali la risoluzione della "guerra senza guerra" in atto in Kosovo e per la difesa dei diritti umani in quella regione.
Alle iniziative di carattere politico si affiancano interventi umanitari come adozioni
a distanza di famiglie, gemellaggi tra scuole, aiuti all'Associazione Paraplegici
del Kosovo.
Chi ci rappresenta in Parlamento deve capire che non si può restare inerti di fronte
alla sofferenza del popolo albanese del Kosovo che dal 1991 sta resistendo con i metodi
della lotta non violenta a indicibili soprusi e sofferenze. La diplomazia internazionale
si deve attivare con forza affinchè siano ripristinati i diritti umani e civili del popolo albanese
del Kosovo.

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