IMPARARE DAL KOSSOVO
tracce per un ripensamento

Se l’obiettivo dell’intervento in Kossovo era umanitario, occorre
- riconoscere che l’intervento armato è stato un errore,
- cercare di non ripeterlo.


1. E’ stato complessivamente un errore.

1.1 Nei mesi di guerra non sono stati fermati i massacri degli albanesi da parte dei serbi, anzi sono avvenute molte più uccisioni che in tutti gli anni precedenti.

Secondo fonti Nato le vittime della pulizia etnica nei due mesi e mezzo di guerra sarebbero state 4600 (cfr. Internazionale,n°288, 18 giugno 1999, pag.28), a questi si dovrebbero aggiungere le decine di persone ritrovate successivamente nelle fosse comuni, uccise anch’esse dopo l’inizio dell’intervento armato. Per gli anni precedenti si fa la stima di 2000 morti ( cfr. il manifesto, 12 maggio 1999). La Stampa del 31 dicembre 1998 parla di 700 desaparecidos di entrambe le etnie.


1.2 Non si sono create condizioni per una convivenza tra albanesi e serbi, anzi l’odio reciproco è aumentato a dismisura.

Simbolo di una convivenza ancor più difficile di prima della guerra è la città di Mitrovica dove quasi quotidianamente tra serbi e albanesi avvengono scontri che la Forza Multinazionale di Pace non riesce sempre a frenare.
Episodi gravi, come bombe sul mercato serbo di Kosovo Polje il 28 settembre con 2 morti e 40 feriti, si fanno sempre più frequenti.


1.3 E’ iniziata una pulizia etnica di segno opposto, e -cosa tanto più grave- in presenza della Kfor (la forza multinazionale di pace).

La pulizia etnica al contrario (degli albanesi nei confronti dei serbi) scatenatasi dopo l’ingresso delle truppe Nato era già presente prima. La Stampa del 30 dicembre 1998 titolava un articolo a pag.9 “Ora sono gli albanesi ad attaccare, è la tragedia della pulizia etnica al contrario”.
Circa 160.000 serbi su un totale di poco più di 200.000 hanno dovuto abbandonare il Kossovo.


1.4 I morti, i feriti e le distruzioni in Serbia hanno fatto crescere tra la popolazione il rancore nei confronti dell’occidente.


1.5 I gravi danni prodotti nel Kossovo, e anche di più in Serbia, richiedono somme ingentissime per la ricostruzione. Si parla di 60.000 o forse 100.000 mld di lire che dovranno essere pagati dagli stessi paesi che hanno condotto l’intervento; e che stanno già attivando l’appetito delle mafie locali e straniere.

“Chi conosce bene l’evoluzione delle vicende balcaniche sa quanto, in quei paesi, larghi interessi dell’economia locale siano intrecciati con forti tendenze all’economia criminale...Rapporti dettagliati di infiltrazioni criminali balcaniche nei paesi europei si accumulano da anni sulle scrivanie dei governi, denunciando connessioni pericolosissime tra la nuova “mala” balcanica e le vecchie e solide strutture della mafia e camorra in Italia e le nuove cosche russe...” (AA.VV. La pace e la guerra, I Balcani in cerca di un futuro, ed.Il Sole 24 ore,Milano 1999, pag.19-20).


1.6 Milosevic è ancora al potere e l’esercito jugoslavo è ancora in grado di nuocere.

2. Come è potuto accadere ?

2.1 Lo scopo umanitario è stato sbandierato per ottenere il consenso dell’opinione pubblica1, consenso necessario nelle nostre, seppure imperfette, democrazie.
Ma è ormai ammesso che lo scopo principale dell’intervento non era “umanitario2”, ma dettato da altri interessi: occupare una zona strategica per le vie del petrolio3, punire Milosevic, giustificare la presenza e la riforma della Nato, riaffermare la supremazia Usa. (Questi obiettivi infatti sono stati in gran parte raggiunti).

“L’operazione Arcobaleno sarebbe stata suggerita da una nota agenzia di ricerche di mercato. Interrogati sugli umori popolari intorno alla guerra, gli uomini dell’agenzia hanno fatto presente al governo la riluttanza ad essa del <popolo progressista>...e hanno proposto come rimedio di fare qualcosa che toccasse il cuore...per affiancare fino quasi a coprire l’intervento militare con una missione umanitaria. E così è partita l’operazione mediatica” (in Rocca n°18, 15 settembre 1999,pag.13)
“La guerra è poi oggi profondamente influenzata dalla rivoluzione dell’informazione. Si combattono sempre contemporaneamente almeno due guerre: quella reale sul teatro delle operazioni e quella virtuale della comunicazione (per influire sull’opinione pubblica ndr). Questa seconda porta spesso conseguenze più importanti di quelle dei combattimenti.” (AA.VV. La Pace e la guerra, op.cit., Pag. 68. Cfr. anche Carlo Jean, L’uso della forza, se vuoi la pace comprendi la guerra, Laterza, Bari, 1996, pag.61-62).

2 “La guerra nei Balcani, dunque, per l’Europa non è missione umanitaria, occasione per la solidarietà, i bei gesti, le lacrime di facile commozione. E’ invece la traduzione di un impegno politico diretto, forte, strategico,...” (AA.VV. La Pace e la guerra, op.cit.pag.17)
E Giuliano Ferrara, all’inizio della guerra, in Panorama del 15 aprile 1999 a pag.31: “Le guerre umanitarie non esistono. Quella della Nato...non è una guerra umanitaria. E’ una campagna a tutela della sicurezza europea...”

3“Si è detto che l’intervento militare della Nato si fonda su ragioni umanitarie: aiutare i kosovari. Ma la Nato ha altri obiettivi...allargare la sua zona d’influenza... e soprattutto c’è la ripresa del controllo degli Usa sugli alleati europei... noi abbiamo interessi abbastanza forti nei Balcani. Per esempio, l’Eni sta lavorando al progetto di un oleodotto che dovrebbe passare per il Kosovo”(Virgilio Ilari, docente di Storia delle Istituzioni militari all’Università Cattolica, in Famiglia Cristiana, n°13 del 4 aprile 1999, a pag.20)
In Kossovo “si combatte la battaglia per le vie del petrolio tra la Nato e Milosevic”, “quella dei corridoi (del petrolio ndr) non è soltanto una battaglia: è la posta in gioco nella guerra del Kosovo”( Il Sole 24 ore del 21 aprile 1999).

2.2 Ci sono stati errori di valutazione (“la guerra finirà in pochi giorni1”...)dovuti all’incomprensione della reale situazione storica e culturale della regione.
L’incomprensione è naturale per chi è abituato a comandare e a imporsi sempre2 e si affida alla forza delle armi per far valere il proprio pensiero.

“<Due giorni di bombardamenti saranno più che sufficienti a far cambiare idea a Milosevic> aveva giurato la Albright” ( Panorama del 15 aprile 1999, a pag. 38).

2“L’americano Weller, che ha assistito i rappresentanti kosovari per tutto il processo dei negoziati prima dell’intervento Nato riconosce: Assolutamente stupefacente per il Gruppo di Contatto, e soprattutto per gli Stati Uniti, deve essere stata l’incapacità di potenti Paesi riuniti in forza a Rambouillet a esercitare un’influenza decisiva su gruppi simili...” ( Limes,2,99, pag.30).

2.3 La guerra è inevitabile per una politica di potenza, per chi vuol imporre la propria ideologia (del mercato) a “tutti” coloro che in quel momento gli “interessano”.

“Perchè la globalizzazione funzioni, l’America non può aver paura di agire da superpotenza onnipotente quale è. La mano invisibile del mercato non funzionerà mai senza un pugno chiuso invisibile. Mc-Donald’s non può prosperare senza Mc-Donnell Douglas, il progettista degli F-15. E il pugno invisibile che tiene al sicuro il mondo per la tecnologia di Silicon Valley si chiama Esercito americano, Forza aerea, Marina militare e marines”(Th. Friedman, consigliere della Albright in New York Times del 28 marzo 1999).

2.4 La diplomazia ufficiale si è mossa male.
Non ha coinvolto la Russia1 e ha legittimato la parte kossovara più estremista (l’UCK); l’insuccesso era inevitabile2 ma la colpa è stata attribuita solo a Milosevic a ulteriore giustificazione dell’intervento armato.


I tentativi di raggiungere un accordo tra Serbi e Albanesi, nelle settimane immediatamente precedenti l’intervento armato, erano condotte di fatto dagli Usa, che cercavano di tenere a distanza la Russia, pur presente alle trattative. Non così si era comportata la diplomazia ufficiale per gli accordi in Bosnia con Milosevic firmati a Dayton, dove il coinvolgimento di Mosca aveva giocato un ruolo importante per convincere la Serbia. (cfr.Limes, 2,99 pagg.25-26).
2 “Washington potrebbe avere l’amabilità di spiegarci perchè...decise di aiutare in tutti i modi i guerriglieri kosovari (l’Uck) da essa stessa già bollati come “terroristi” tagliando fuori dal gioco i moderati attorno a Rugova e inasprendo la reazione di Belgrado...perchè a Parigi, come ricordano bene i nostri diplomatici, gli americani hanno modificato in extremis il testo dell’accordo con lo scopo di ottenere la firma dell’Uck e di evitare quella della Jugoslavia ?” ( Repubblica, 12 aprile 1999, pag. 1).


3. Era possibile capire meglio e comportarsi diversamente.


3.1 Diverse Organizzazioni Non Governative, senza interessi economici o strategici, si occupavano da anni del conflitto in Kossovo, e avevano capito la situazione.

Le Organizzazioni Non Governative (ONG) presenti da anni di cui siamo a conoscenza erano:
la Trasnational Foundation for Peace Research con sede a Lund in Svezia;
la Campagna per una soluzione nonviolenta del problema del Kossovo in Italia;
la Fondazione greca per la politica europea e estera;
l’Aspen Report <Unfinished Peace> International Commission for the Balkans, istituzione americana con sede a Berlino;
la Comunità di S.Egidio di Roma;
la <Toward comprehensive peace in southeast Europe>,Centro per l’azione preventiva di New York;
la Bertelsmann Foundation, di Monaco in Germania;
l’Associazione Papa Giovanni XXIII con l’Operazione Colomba (cfr. Il Regno,8,1999,pag.231, e Alberto L’Abate, Prevenire la guerra nel Kossovo per evitare la destabilizzazione dei Balcani: attività e proposte della diplomazia non ufficiale, Edizioni la Meridiana, Molfetta (Ba) 1997).
.
Queste organizzazioni avevano capito che:

3.1.1 C’era una distanza incolmabile, per il momento, tra gli obiettivi dei serbi e quelli degli albanesi, distanza che con il tempo cresceva ( gli albanesi volevano l’indipendenza, i serbi non intendevano rinunciare alla sovranità sul Kossovo).

“...i punti di partenza e gli obiettivi delle due parti in conflitto sono così distanti che una discussione, fin dall’inizio, sui contenuti di un possibile accordo rischia di servire solo a sottolineare le differenze e a dare l’impressione che una soluzione finale sia impossibile.” (Alberto L’Abate, op.cit. pag.34).

3.1.2 C’era una sfiducia reciproca, anch’essa crescente, che necessitava, per essere mitigata, dell’aiuto di terzi.

“..chi è stato a lungo in Serbia e nel Kossovo conosce la difficoltà di rompere il<muro contro muro> che si è creato tra Serbi e Albanesi, e non solo a livello di base, dove pure il problema è presente (anche a causa del reciproco indottrinamento nelle scuole separate) ma anche e soprattutto a livello di vertice.” ( Alberto L’Abate, op.cit. pag.35).

3.1.3 Erano inconciliabili la richiesta da parte degli albanesi di “internazionalizzare” il conflitto, e il rifiuto dei serbi che consideravano il problema del Kossovo una questione interna.

3.1.4 Ogni possibile soluzione del problema del Kossovo non poteva essere imposta con la forza da nessuno (né dai serbi, né dagli albanesi, né dalla comunità internazionale) senza aggravare la situazione .

3.2 Le stesse organizzazioni Non Governative avevano espresso una “diplomazia di base” che negli ultimi anni aveva formulato una serie di proposte molto serie. I “grandi” guidati dalla loro presunzione e dai reali interessi in gioco non hanno voluto prenderle in considerazione.

Per “diplomazia di base” si intendono tutti i tentativi delle organizzazioni non ufficiali che “dal basso”, partendo dalla società civile, cercano di aiutare a mitigare e/o comporre i conflitti tra popoli. Nel testo citato di Alberto L’Abate si trova un’ampia analisi delle proposte: dalle possibili soluzioni circa il futuro assetto del territorio, alle caratteristiche necessarie per un processo serio di superamento del conflitto.

4. Che lezione trarre dalla tragedia del Kossovo?

4.1 Se un ruolo essenziale hanno avuto i mezzi di comunicazione di massa nel creare il consenso all’intervento militare, occorre affinare il senso critico e riconoscere che oggi i principali mass-media sono in mano a chi ha il potere economico-politico-militare e le informazioni che ci raggiungono sono funzionali al potere stesso. Non è possibile formarsi un giudizio oggettivo basandosi solo sui maggiori organi di informazione, ma bisogna cercare fonti alternative.

4.2 Il diritto all’autodeterminazione dei popoli, garantito dai trattati internazionali, non conduce necessariamente alla costituzione di nuove entità statali. Altri passi sono da compiere prima; in ogni caso sono i diritti fondamentali di ogni persona che vanno garantiti all’interno di qualsivoglia assetto statuale.

“...il principio di autodeterminazione dei popoli...non necessariamente comporta la creazione di un nuovo stato, ma può trovare spazio anche in forme estese di autonomia...” “Questo è un diritto riconosciuto e legalmente obbligatorio per il diritto internazionale, confermato anche dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel suo testo sulle “relazioni amichevoli”. In questo testo si dice che il diritto di autodeterminazione deve essere realizzato come federazione o altro stato di autonomia in associazione con lo stato esistente, ma che se lo stato lo ignora o reprime questo diritto, questo può implicare anche il diritto alla secessione...” (Alberto L’Abate, op.cit. pag.29 e 16).

4.3 In presenza di conflitti tra culture diverse, occorre creare fiducia, comprensione tra le parti, e questo può avvenire solo lentamente e “dal basso”. Gli stati con i loro apparati, soprattutto con gli eserciti, non sono in grado di farlo.

4.4 E’ necessaria una rilettura critica della Storia, che attualmente è presentata in modo parziale, sia per giustificare il potere da parte di chi lo detiene, sia per giustificare la lotta da parte di chi lo vuole ottenere.

4.5 Sovente le guerre sono giustificate e rese accettabili all’opinione pubblica ricorrendo a nobili motivazioni umanitarie; occorre invece evidenziare i reali motivi economico- politici, e smascherare i condizionamenti della criminalità organizzata, che sempre più influisce sulla politica, soprattutto nelle scelte che richiedono ingenti quantità di denaro, come sono le guerre.

4.6 I capitali necessari per le guerre e le successive ricostruzioni sono enormi. Siccome nessuna guerra “scoppia” improvvisamente, c’è tutto un periodo di conflitto latente durante il quale, con risorse economiche notevolmente inferiori, si possono attivare programmi di aiuto economico e/o culturale alle parti in causa, facendo tesoro delle esperienze di azione nonviolenta già realizzate in molte situazioni di conflitto.

4.7 E’ necessario preparare e avere sempre a disposizione corpi civili di pace, se si vuole impegnarsi in interventi a difesa dei diritti umani.

Sulla fattibilità e su esperienze già in atto di missioni civili di pace e di interventi non armati anche di militari cfr. Jean-Marie Muller, Vincere la guerra:Principi e metodi dell’intervento civile, EGA, Torino,1999.
Importante è anche la raccomandazione votata il 10 febbraio 1999 dal Parlamento Europeo per la realizzazione di un Corpo Civile di Pace già proposta a suo tempo da Alex Langer (cfr.Azione Nonviolenta, marzo ‘99 e ottobre ‘95).

20 ottobre ’99.
a cura del recapito MIR di Alba, Località Altavilla 85, tel.0173 440345.

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