LA DRAMMATICA SITUAZIONE DELL’EDUCAZIONE

L’età media della popolazione del Kossovo è di 25 anni. Dalla fondazione, nel 1970, dell’Università di Prishtina, l’unica con corsi in lingua albanese di tutta la Jugoslavia, il numero degli studenti è andato costantemente crescendo. Il numero dei laureati rispetto alla popolazione si è innalzato molto, a fronte delle scarse possibilità di impiego per le cattive condizioni economiche della regione e la predominanza di diplomi in materie umanistiche (specialmente storia e cultura albanesi). Il rapido cambiamento della struttura educativa e sociale della regione, con il corrispondente aumento della percentuale di albanesi nella classe dirigente, ha oggettivamente ridimensionato le possibilità di carriera per serbi e montenegrini del Kossovo, aumentando la loro insicurezza e portando molti di loro ad emigrare.
Dopo l’abolizione dell’autonomia, una delle prime misure prese in campo educativo è stata la diminuzione del numero di accessi ai corsi universitari in lingua albanese. C’è stata poi la modifica dei programmi scolastici di storia e letteratura, con una forte caratterizzazione culturale serba, e infine, nel periodo che va dalla primavera del 1990 all’estate del 1991, sono stati licenziati praticamente tutti gli insegnanti e i professori di etnia albanese. Nel settembre 1991 l’accesso agli edifici scolastici e universitari è stato impedito agli studenti albanesi da soldati e poliziotti armati .
Gli studenti sono stati molto attivi nell’organizzare manifestazioni di protesta stroncate spesso duramente . Da allora gli edifici semivuoti dell’Università sono adoperati solo da studenti e professori serbi e montenegrini. Nelle scuole elementari e medie, invece, l’accesso negli edifici statali è consentito anche agli albanesi grazie ad un accordo del 1992. Tutto però è organizzato in modo da evitare contatti tra serbi e albanesi: le scuole a volte sono divise fisicamente tramite muri, a volte usate con orari diversi, e con grosso squilibrio di spazi e tempi a favore dei serbi. Le scuole albanesi comunque non sono finanziate dallo stato: gli insegnanti sono pagati in parte dai genitori, in parte dal fondo di solidarietà organizzato dal governo parallelo cui contribuiscono in misura del 3% del proprio reddito i kossovari in patria, e soprattutto all’estero. La scelta di organizzare un sistema educativo parallelo è una delle scelte portanti della loro strategia nonviolenta. Ancora oggi i corsi delle scuole secondarie e dell’Università sono tenuti in case private quasi sempre prive di riscaldamento e talvolta anche di luce elettrica. Ci sono frequenti interventi della polizia durante le lezioni, e arresti dei docenti.
Il 1° settembre 1996, con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio di Roma, è stato firmato un accordo che prevede il ritorno, senza condizioni, di studenti e allievi negli edifici scolastici e universitari. L’attuazione dell’accordo, a febbraio 1997, è però ancora in alto mare. La situazione è resa ancora più grave dall’aumento della repressione poliziesca e dalla recrudescenza di attentati terroristici, di dubbia provenienza, rivendicati dal sedicente Esercito per la Liberazione del Kossovo. Ultimi fatti gravi sono stati la morte il 10-12-1996 del professor Feriz Blakcori, torturato, secondo varie testimonianze, nella Questura di Prishtina, e il 16-1-1997 l’autobomba che ha ferito gravemente il rettore dell’Università serba professor Papovic.

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