Il Movimento degli studenti
A cura di Alberto L’Abate

Drammatico ciò che é avvenuto nelle scuole; l’insegnamento in lingua albanese viene abolito, e la storia va insegnata secondo i canoni serbi e non quelli albanesi, considerati viziati a causa della loro impostazione nazionalistica (forse anche a ragione, ma gli albanesi ritengono quelli serbi ugualmente viziati per la stessa ragione). Nel giugno 1991, nelle università vengono deposti i rettori e tutti i dirigenti di istituto di origine albanese, ed il numero di studenti albanesi che possono entrare nelle Università è ridotto talmente che ci sono più studenti universitari serbi che albanesi. Nel settembre-ottobre 1991 ai docenti di lingua e storia albanese di ogni ordine e grado viene richiesto di insegnare in lingua serba, e secondo le direttive del Ministro dell’Istruzione del Governo Serbo. Agli insegnanti, quasi tutti, che si rifiutano, viene tolto lo stipendio. Nell’ottobre del 1991 gli studenti ed i professori organizzano una protesta, ma vengono malmenati dalla polizia (28, p. 40). Per qualche mese gli altri docenti albanesi, di tutte le materie, anche quelle scientifiche, si autotassano e dividono il loro stipendio con i colleghi. Ma non molto dopo vengono licenziati tutti, e viene proibito l’accesso all’Università agli studenti albanesi. Lo stesso avviene nei livelli inferiori di insegnamento. Nel settembre 1992 migliaia di studenti e di professori sfilano per le vie di Pristina chiedendo la riapertura delle scuole agli studenti albanesi , e cercano di rientrare nell’Università e nelle scuole secondarie, ma la Polizia glielo impedisce (28, p. 40). Anche in questo caso la risposta del governo serbo è quella della repressione.
Dopo qualche mese di vuoto scolastico gli albanesi decidono di dar vita a delle loro istituzioni scolastiche chiedendo ai cittadini di offrire locali nelle loro abitazioni private. Comincia così un sistema scolastico parallelo che continua tuttora. L’Albania ed alcuni paesi europei, come la Germania, l’Austria, l’Inghilterra, riconoscono, almeno in parte, i titoli presi in queste scuole ed in queste università. Lo stesso avviene per gli Stati Uniti d’America. Solo qualche anno dopo, dietro pressioni internazionali, gli allievi delle scuole elementari parallele, fino al livello dell’obbligo scolastico, vengono in parte riaccettati nei locali delle scuole pubbliche, ma con grossi squilibri, dato che viene data la precedenza e maggior spazio agli studenti serbi. Quelli albanesi sono costretti a fare dei turni pesanti (anche quattro o cinque turni al giorno che finiscono, spesso, alle 8 di sera). Gli insegnanti albanesi, anche per la scuola dell’obbligo, e tutte le spese di gestione (riscaldamento, pulizia, ecc.), vengono pagate dal Governo Parallelo e non dallo Stato Serbo (46, p. 2).


Dall’intervista a Jsmajli
Per spiegare come gli albanesi siano costretti a vivere sotto il regime serbo, Ismajli ci parla poi della sua attività precedente all’Università di Pristina in cui era docente di linguistica generale, e non di linguistica albanese, ma insegnava in albanese. E racconta di come, con tutti i suoi colleghi (oltre 840), nel 1991 sia stato espulso. Con loro sono stati licenziati circa 6000 insegnanti albanesi delle scuole di tutti i livelli. Al Parlamento Serbo avevano infatti cambiato il curriculum non permettendo loro di insegnare la storia, oltre alla lingua albanese. Gli insegnanti di queste materie si sono rifiutati di obbedire. Allora il governo ha tolto lo stipendio agli insegnanti di lingua, di letteratura e di storia nazionale albanese. Allora gli altri insegnanti, di materie scientifiche, hanno diviso i loro stipendi con quelli di queste materie. La cosa è andata avanti per qualche mese e poi sono stati licenziati tutti. Nelle Università statali ci sono degli albanesi che continuano ad insegnare, ma insegnano in serbo.
Ismajli passa poi a parlare di quello che gli albanesi definiscono “l’occupazione del Kossovo da parte dei serbi”. Le sei repubbliche della Ex- Yugoslavia (Serbia, Croazia, Bosnia, Slovenia, Macedonia, Montenegro) più le due Regioni autonome (Voivodina e Kossovo) avevano il diritto di veto per tutte le questioni votate dal Parlamento Federale che riguardavano la propria zona. “Ma nel 1991 il Parlamento serbo ha deciso di sopprimere il Parlamento del Kossovo. Per questo parliamo di “occupazione”, perché ci è stato tolto il Parlamento che era stato eletto democraticamente. Il Ministero dell’Educazione del Kossovo non era sotto il governo o il Parlamento della Ex-Yugoslavia, ma era del tutto indipendente. Ma dopo che ci hanno licenziato abbiamo deciso di organizzare le scuole, di tutti i livelli, per conto nostro, trovando edifici privati. La popolazione ci ha aperto le proprie case per farlo”.

......Per quanto riguarda inoltre le altre critiche Ismajli si lamenta che quando gli insegnanti albanesi sono stati licenziati o addirittura messi in prigione (come lui stesso), nessuno dei colleghi serbi di Belgrado, anche quelli che fanno parte di questi circoli di opposizione, hanno detto una parola ( se avessero protestato Milosevic sarebbe stato costretto a ripensare alle proprie azioni). “Parlano contro il regime, si impegnano per la Democrazia. Su questo siamo d’accordo. Ma loro vogliono una democrazia all’interno della Serbia. Se per avere una democrazia bisogna chiedere agli Albanesi di aiutare in questo i Servi, restando nella “Serbia” (come propone il Prof. Zivotic, di cui gli abbiamo parlato) ciò significa sacrificare gli albanesi ed è come una condanna per noi. Noi non ci stiamo. Ci sembra una logica assurda, come sarebbe assurdo dire che per democratizzare l’Albania c’é bisogno della Slovenia”.



Pristina 2/2/96
Incontro con Vlora Arifi, laureanda alla Facoltà di Elettronica,
Ex Vice-Presidente dell’Unione Studenti Indipendenti dell’Università Albanese.

Vlora viene a casa nostra a ritirare i libri che Simone Ginzburg ci ha dato da consegnarle. Sono libri molto belli, in inglese, soprattutto di arte. Sono stati richiesti dal sindacato studenti ed acquistati dal gruppo studentesco di Bologna che si interessa degli albanesi, Vlora ci dice che sta per prendere la laurea e che ha iniziato a lavorare in un computer service. Perciò, per mancanza di tempo, ha dovuto lasciare il suo incarico presso l’associazione studentesca. Comunque è sempre in contatto con loro e farà avere loro i libri portati, di cui è molto grata. Le chiediamo delle Università Parallele e della loro nascita. Questa, in sintesi, la sua descrizione di quel periodo. “Ho cominciato l’Università nell’ottobre 1989, il primo anno in cui era stata separata l’amministrazione serba da quella albanese. I rapporti erano già molto tesi, per esempio il preside albanese e il vice serbo si parlavano a stento. Nel marzo del 1990 tutti gli studenti albanesi sono stati espulsi dai dormitori. E’ in questa occasione che è nato l’embrione della nostra associazione. Abbiamo contribuito ad organizzare l’accoglienza -gratuita- presso famiglie della città fino alla fine dell’anno accademico. L’ottobre seguente l’accesso ai dormitori non fu più impedito. Ma fu richiesto a molti professori ed operai di firmare un documento nel quale dovevano dichiarare di far parte del sindacato della Serbia, e non più di quello del Kossovo. Si sono rifiutati e sono stati licenziati. Il 3 settembre 1990 il sindacato organizzò uno sciopero di protesta perchè non ci era permesso di vivere come volevamo. Ci veniva tolta l’autonomia. Il 3 dicembre 180.000 operai furono licenziati. Dal dicembre 1990 fu chiusa la Facoltà di Medicina, credo col pretesto che avevano aiutato le vittime dell’avvelenamento nelle scuole del marzo, non so se anche con altre scuse. Poi cambiarono la legge riguardo all’educazione: volevano che ci fosse lo stesso programma per serbi ed albanesi. I maggiori cambiamenti riguardavano lo studio della lingua. Gli studenti dovevano studiare più autori serbi che albanesi. Lo stesso avvenne per la storia. La storia nazionale degli albanesi non doveva più essere studiata. Per noi era inaccettabile. Le scuole e le Università non vollero accettare. Nel giugno 1991 i presidi delle varie Facoltà furono licenziati. E le autorità serbe ridussero il numero degli studenti albanesi che potevano entrare all’Università, tanto che la proporzione dei posti riservati agli insegnamenti in lingua serba veniva ad essere molto maggiore della presenza di Serbi tra la popolazione. (In Jugoslavia c’era il numero chiuso per l’accesso all’Università. Nell’Università di Prishtina, a partire dalla sua fondazione nel 1969, i corsi erano tenuti in due lingue, con accessi separati). Dal 1 al 25 luglio furono messe in atto delle misure di emergenza. I professori dovevano stare in ufficio all’Università dalle 8 alle 14 senza mai muoversi; se qualcuno si assentava anche solo cinque minuti veniva licenziato (di norma verso metà luglio iniziavano le vacanze estive). Nel settembre e nell’ottobre del 1991 le autorità hanno chiesto ad alcuni dei professori rimasti (alcuni già erano stati licenziati) di impegnarsi a fare le lezioni in serbo-croato. Chi non accettava veniva licenziato. In ottobre abbiamo organizzato proteste pacifiche davanti alle Facoltà, per una settimana. Ma la polizia ha picchiato studenti e professori. (Nel 1992, tra il 4 e il 12 ottobre, abbiamo ripetuto la protesta). Abbiamo anche cercato di entrare nell’Università e nelle scuole secondarie. Ma la polizia ce l’ha impedito. Per tre mesi non abbiamo fatto nulla. Poi studenti e professori si sono dati daffare per cercare posti nelle case private per continuare a studiare. Mel marzo 1992 è cominciato il primo anno accademico dell’Università parallela, in case private e in condizioni di fortuna. Niente luce, niente riscaldamento. Ed è ancora così. La retta era inizialmente di 30 DM per semestre, ora è di 70, più 2 DM per ogni esame che si sostiene. Gli studenti sono in tutto circa 15.000. In Austria, e in qualche caso almeno anche in Inghilterra, i titoli di studio delle Università parallele del Kossovo sono riconosciuti. In altri paesi non lo so. Ed il governo ci impedisce di avere rapporti con l’Albania. Per andare lì dobbiamo richiedere il visto alle nostre autorità; ed è molto difficile averlo. E se andiamo in Albania senza visto, ci viene addirittura tolto il passaporto ”. [L’obbligo del visto è stato eliminato dall’1 aprile1996, ma si dice che ci siano parecchi problemi per chi rientra nel Paese con un timbro dell’Albania sul passaporto].


Intervista con Rrapi
La parte iniziale del colloquio riguarda la tavola rotonda sulla “Tolleranza” di cui ci aveva parlato il Prof. Agani. Essa è organizzata dal suo Istituto. Ci saranno tre relazioni iniziali, di Kadri Metaj, di Agani, e di un giovane sociologo non molto noto. Poi ci saranno gli interventi da parte di tutti i presenti. Si svolgerà verso la fine del mese di marzo, ma la data non è ancora fissata. Saputo che Alberto sarebbe partito verso il 25 per tornare a metà aprile, dato che lui sarà invece assente dalla metà di aprile in poi, dice che cercherà di vedere se è possibile organizzare la tavola rotonda nel periodo dal 20 al 25 marzo. Lui ci terrebbe, infatti, alla presenza ed alla partecipazione di Alberto che sarebbe resa possibile dall’aiuto dell’interprete. Alla domanda se vi parteciperanno anche dei filosofi e sociologi serbi dice di no. “Non c’è più collaborazione da parte dei Serbi da quando le nostre Istituzioni sono divenute indipendenti. Loro non ci invitano e noi facciamo altrettanto. Sarebbe giusto invitarli, ma sicuramente non verrebbero”. Ma mostra con orgoglio che il suo libro, in lingua serba, è stato stampato dall’Istituto di Ricerche Sociologiche dell’Università di Belgrado. E che una delle recenzioni alla ricerca, pubblicata nel libro stesso, è fatta da un professore serbo di quella Università. “Siamo per la collaborazione con i serbi - dice R. - ma c’è una differenza ta i serbi di qui e quelli di Belgrado. Questi ultimi sono, in genere, ancora più nazionalisti. Si è creata una grossa distanza tra i nostri due popoli. Ma la responsabilità maggiore è sicuramente dei Serbi”. Però R. trova che anche gli albanesi hanno una parte di colpa. Infatti, dirà più tardi “I serbi hanno cominciato con l’odiarci, e qualche volta noi abbiamo risposto con un contro-odio. Anche se naturalmente in parte questo era giustificato dallo squilibrio di potere. Quello dei Serbi era molto più grande del nostro”.
Alberto chiede notizie sulle eventuali ricerche portate avanti dal suo Istituto. R. risponde che prima del 1989 l’Istituto collaborava con tutte le altre Università dell’Yugoslavia. Ad esempio c’era un grosso progetto di ricerca sulla condizione femminile che era finanziato dalla Lega Socialista, ma dopo la rottura la ricerca l’hanno portata avanti gli altri che si sono presi anche i finanziamenti. Dopo che nel 1989 l’Istituto è stato “usurpato”, ognuno lavora per conto suo e non ci sono più ricerche organizzate. Dal punto di vista sociologico questa è una terra non studiata. Mancano ricerche sulla struttura sociale, sulla qualità della vita, e su altri argomenti fondamentali. C’è moltissimo da fare, ma mancano i finanziamenti. Inoltre l’impostazione generale dell’Istituto e dell’Associazione è a carattere prevalentemente filosofico più che sociologico. Lui, ad esempio, che è d’impostazione empirico-positivista, è uno dei pochi che portano avanti ricerche empiriche, insieme con il Prof. Anton Berishaj che si occupa di problemi della donna. Lo scopo del loro Istituto e del loro Dipartimento è quello di preparare i quadri che insegneranno nelle scuole medie Filosofia e Sociologia.

continua intervista con Rrapi
Inoltre A. sta cercando di raccogliere tutto il materiale e la documentazione possibile sulle lotte nonviolente degli albanesi. Ed anche, in particolare, sul Movimento per la Riconciliazione, per il superamento della tradizione della vendetta, promosso da Anton Cetta, movimento che lui ed i suoi amici italiani ritengono molto importante anche per capire la lotta nonviolenta attuale degli albanesi. R. ringrazia per l’interessamento e dice che loro non hanno studi su questi aspetti “I problemi ci soffocano. Che si interessi un italiano di questi problemi è un bene. Se se ne occupasse un ricercatore serbo od uno albanese potrebbe cadere nel soggettivismo”. Il Prof. R. torna poi a parlare dei rapporti tra serbi ed albanesi ed al fatto che questa chiusura impedisce una ricerca seria: “La Sociologia richiede rapporti e scambi di opinioni diverse. Nella situazione attuale è difficile fare ricerche serie a carattere empirico. C’è una grande distanza tra i due popoli. Una distanza che dà vita ad una situazione ‘non civilizzata’ ”. E si dichiara disponibile a collaborare alla nostra ricerca per quanto gli è possibile. Ma R. ritiene che loro non hanno nulla da insegnare e tutto da imparare. A. sostiene invece che la lotta nonviolenta degli albanesi interessa tutto il mondo, e che in particolare questo è uno dei casi storici più importanti dell’utilizzo della tecnica del “governo parallelo”, anche se naturalmente il portarla avanti per cinque anni deve aver presentato difficoltà notevoli. E che questa ha molto da insegnare a tutto il mondo. Di fronte a queste dichiarazioni il colloquio esce dal tono abbastanza accademico avuto fino ad allora e si ravviva. R. ci dice che, dato che le Istituzioni Universitarie non possono far molto, lui ha del tempo libero ed è anche Presidente del Partito Liberale Albanese del Kossovo, e che, in quanto tale, ha alcune osservazioni ed alcune critiche da fare. “La lotta nonviolenta degli albanesi non è chiara per le persone che vivono fuori. Io sarò molto più critico nei riguardi degli aspetti politici di questa lotta. Quello che avete immaginato forse non l’abbiamo meritato. Comunque vale la pena di studiare questo periodo storico”.


Dall’intervista a Mirie del Movimento degli studenti

Anche nel Kossovo c’è stato un movimento nel 1968. E’ nato come movimento all’interno dell’Università per la sua democratizzazione, e non era etnicamente colorato. Nel movimento c’erano studenti albanesi e serbi, mentre dall’altra parte, da parte delle autorità che cercavano di impedire lo sviluppo del movimento e lo criminalizzavano, c’erano anche dei noti albanesi che poi avranno un ruolo importante all’interno dell’LDK. Le prime lotte nonviolente sono nate all’interno di questo movimento che, alcuni anni più tardi, si è trasformato in Partito, e cioè nel Partito Parlamentare, che è il secondo in ordine di grandezza, con 13 deputati. Gli studenti hanno dato vita ad un vero e proprio Parlamento Studentesco che poi si è allargato anche all’esterno e si è trasformato in un Parlamento dei giovani. Quando nell’89 il regime serbo si è accanito contro l’autonomia del Kossovo, all’inizio godendo del pieno appoggio anche degli altri stati (tanto che all’occupazione hanno partecipato soldati sloveni, croati, bosniaci, e montenegrini) un sostegno alle lotte degli studenti albanesi contro questo processo di uccisione della democrazia non è arrivato dagli altri stati, ma solo da un gruppo di studenti sloveni che si sono messi a disposizione per diffondere la stampa degli studenti e del movimento del Kossovo. In quella fase gli studenti hanno anche inventato varie forme di opposizione nonviolenta. Ad esempio la sera spegnevano tutte le luci ed uscivano nei balconi con pentole ed altri strumenti, cominciando a batterli ed a fare un baccano infernale, come forma di protesta contro l’uccisione dell’ autonomia e della democrazia. Solo più tardi, quando gli altri stati si sono resi conto della strategia di Milosevic che stava uccidendo il Parlamento Federale, anche attraverso una specie di colpo di stato per l’eliminazione dei Parlamenti locali, oltre che nel Kossovo e nella Voivodina anche nel Montenegro, ed hanno capito che dopo sarebbe stato il loro turno, hanno tolto i loro soldati dall’occupazione del Kossovo ed hanno portato avanti le loro iniziative per l’indipendenza e per il distacco dalla Federazione Yugoslava. Inizialmente l’L.D.K. non ha affatto appoggiato le lotte nonviolente che erano viste come pericolose perchè rischiavano di fare scatenare, secondo loro, la reazione dell’esercito occupante, ed ha fatto “da pompiere”, cercando di smorzare il movimento degli studenti, e di farlo ritornare in riga. Ed anche più tardi ha avuto un atteggiamento simile tanto da non voler partecipare al “funerale della violenza” cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone (forse anche oltre 200.000). Per questo il nostro interlocutore è d’accordo con quelli che trovano l’atteggiamento e la posizione di Rugova come troppo passiva ed attendista, e troppo poco coraggiosa. Secondo lui una lotta nonviolenta più decisa e generalizzata avrebbe ottenuto dei risultati molto più validi di quello che considera lo stato di “stagnazione” attuale. E sarebbe stata capita meglio anche dai serbi, almeno da quella parte di loro che non è del tutto d’accordo con la politica di Milosevic.


dall’intervista a Bozovic
Il Prof. Bozovic si presenta come Professore di Filologia all’Università Statale di Pristina, e come persona che svolge volontariamente il ruolo di Segretario per l’Educazione, la Cultura e la Scienza per il Kossovo. Precisa che oltre agli uffici centrali di Belgrado ci sono due segreterie decentrate, una a Novi Sad e l’altra a Pristina. Sottolinea come questa sia una zona dove convivono molte etnie e nella quale si tende, da parte sua e del governo da lui rappresentato, a salvaguardare la cultura l’educazione e la stampa dei vari gruppi.
Dopo averci dato il benvenuto ci chiede di presentarci e di illustrare lo scopo della nostra visita.
1) Alberto si presenta come professore universitario che svolge ricerche sulla pace e sui pregiudizi etnici e razziali che ha chiesto un anno sabbatico per studiare il problema del Kossovo e le interrelazioni tra serbi ed albanesi in questa zona.
2) Si dichiara collegato ad una organizzazione italiana interessata ad una soluzione pacifica in Kossovo il cui volontario Massimo Corradi è stato espulso. Vorrebbe capire se ciò è avvenuto solo per motivi tecnici e se è possibile quindi riprendere le attività da questi portate avanti per conto del progetto Kossovo (gemellaggi triangolari tra scuole serbe, albanesi ed italiane; allargamento dei “focolai di pace”, sostenendo le iniziative miste in vari settori , dall’handicap al teatro; adottamento a distanza di famiglie delle due etnie che risultino bisognose).
3) Alberto presenta anche il progetto di un circolo di cultura italiana, per persone delle due etnie che abbiano già una certa conoscenza della nostra lingua, per perfezionarla discutendo insieme, ad esempio, su film italiani proiettati attraverso videocassette.
4) Anna Luisa si presenta come membro del Movimento Internazionale per la Riconciliazione, venuta qui per dare una mano al lavoro del marito , anche lui partecipe, da anni, a movimenti che si adoperano per la risoluzione nonviolenta dei conflitti, che sono interessati ad una risoluzione pacifica e nonviolenta del problema del Kossovo.
Alberto fa presente di essere al corrente del fatto che per portare avanti questo lavoro non è sufficiente il visto turistico (valido fino a tre mesi) ma è necessario un visto che permetta di restare più a lungo. Il Segretario agli Affari Esteri e della cooperazione internazionale del governo serbo, Dr. Maslovaric ha dato parere positivo, ma ci è sembrato richiedere anche l’assenso del Prof. Bozovic .
Il Segretario, che si presenta come una studioso di linguistica, umanista democratico che non appartiene ad alcun partito , che conosce bene la cultura di tutte le etnie di questa zona in cui vive da trent’anni, sostiene dapprima che non ci sono problemi nel Kossovo, che albanesi e serbi non si odiano, ma che, ad esempio, nella sua Università ci sono albanesi che insegnano la loro lingua ai serbi, e che le leggi statali permettono a tutti i gruppi etnici di frequentare le scuole pubbliche, dall’asilo all’università e di poter studiare addirittura nella propria lingua tutte le materie, cosa che pochi paesi al mondo sono disposti a concedere. Nelle scuole secondarie, dato che c’è un numero chiuso, sono riservati 90 posti per i serbi, 120 per gli albanesi, e 30 per i turchi; nei corsi di lingua: 60 per gli albanesi e 60 per i serbi, ecc. Il problema, secondo il Segretario, nasce da una strumentalizzazione dei partiti che vogliono dar vita ad una Repubblica Autonoma legata all’Albania, che non riconoscono né l’autorità di Belgrado né la sua autorità a livello locale, e che manipolano la popolazione albanese invitandola a non servirsi delle scuole pubbliche (buone e gratuite)ma di quelle private ( scadenti, e costose). Ci fa vedere dei moduli di pagelle, o di titoli di studio, concessi in alcune di queste scuole nei quali c’è scritto in grande “Repubblica del Kossovo”, e ci fa vedere come tra le materie la lingua serba sia del tutto esclusa. Così, dice il Segretario, gli studenti sono strumentalizzati. “Noi diciamo che possiamo decidere insieme del Curriculum, dei libri di testo, e di tutto quanto attiene ai programmi scolastici, in accordo con il Ministro dell’Educazione, ma non vogliamo che la politica entri in tutto questo”. Per farci vedere la disponibilità del Governo verso gli albanesi estrae dal suo armadio una pila di libri di storia, geografia, scienze, ecc., ecc., tutti scritti nella lingua albanese e da studiosi albanesi. Alberto ne sfoglia circa la metà cercando la data di stampa, e risulta che tutti sono stati pubblicati prima del 1990, anno in cui c’è stato, secondo gli albanesi (perché il Segretario nega anche questo) l’intervento che ha portato all’annullamento dell’autonomia fino ad allora goduta dal Kossovo. Ma all’osservazione sulla data di stampa il Segretario sostiene, ma senza mostrarli, che libri di testo di albanesi in lingua albanese sono stati pubblicati anche in seguito. Il Segretario continua sostenendo che nelle scuole pubbliche si danno i libri gratuitamente agli studenti poveri (gli altri devono pagarli ma costano molto poco). Continua cosi: “ Invece gli studenti delle scuole “illegali” devono pagare sia per i libri, che per i professori. Molti di loro vorrebbero tornare alle scuole di stato ma non hanno il coraggio di andare contro corrente. E tutto perché RUGOVA dice che non devono andare nelle scuole pubbliche. Eppure noi concediamo loro le strutture pubbliche, ma loro non pagano né per l’uso dei locali né per l’elettricità. Noi diciamo ai docenti albanesi che possono continuare a pubblicare i loro libri, ma non devono dire che i serbi hanno occupato il Kossovo. Questo non permettiamo che lo dicano”. E parla dei monasteri di Gracanica o della Metohija , che sono tutti monumenti importanti della cultura serba. “Come si può dire che siamo degli occupanti? Non importa chi sia venuto qui prima, l’importante è vivere insieme. La cultura serba non è contro gli albanesi e la loro scuola. Ma devono riconoscere lo stato jugoslavo. Invece non fanno il servizio militare, non pagano le tasse allo stato, eppure noi compriamo nei loro negozi. Hanno le case e le auto migliori, ed allestiscono spettacoli teatrali pubblici in albanese. Ad esempio il Teatro Nazionale è in tre lingue, serbo, albanese, turco. Ci sono 75 attori albanesi e solo 15 serbi. E noi li abbiamo mandati al Festival Balcanico di Tirana a rappresentare un dramma serbo-albanese”.
Alberto chiede se gli è permesso aprire un contraddittorio prendendo lui la parte degli albanesi. Il Segretario dice che anche se fosse stato un albanese l’avrebbe lasciato parlare. Sarebbe troppo lungo riportare per esteso tutto il dibattito. Nella sostanza le tesi sostenute da Alberto sono state: che questa situazione non è nata spontaneamente, ma che è legata all’eliminazione dell’autonomia della Regione avvenuta nel 1990. Che in tale data, ed in quella occasione, molte delle prerogative degli albanesi previste nella Costituzione di Tito sono state eliminate, come ad esempio, il diritto di veto previsto per decisioni prese dall’assemblea nazionale riguardanti il Kossovo, ed il diritto a partecipare, a turno, alla carica di capo dello stato. Questo rendeva il Kossovo più di una semplice provincia autonoma, ma gli dava il carattere di “quasi stato”. Che non si può capire il comportamento degli albanesi se non ci si rifà a questi fatti. Che gli insegnanti e gli studenti albanesi non sono andati via di propria volontà ma sono stati cacciati. Che agli insegnanti albanesi, per restare nella scuola pubblica, veniva richiesto una dichiarazione di fedeltà allo stato. Il Segretario sostiene invece che l’autonomia non è mai stata ritirata, che siamo ancora nella Provincia Autonoma del Kossovo, e che l’autonomia vale sia per le scuole, che per l’educazione e la cultura. Che le leggi della Serbia la rendono ancora possibile, ma che gli albanesi non la vogliono, la boicottano. Boicottano le elezioni: se vi avessero partecipato il Segretario sarebbe probabilmente albanese, e poi, a turno, di un’altra etnia. Che agli insegnanti albanesi non è stato mai richiesto di firmare qualche cosa, solo di venire a scuola ad insegnare sui loro libri, con il curriculum deciso da loro, ma in accordo con il Ministro dell’Educazione. Che gli albanesi non vogliono l’autonomia ma uno “stato nello stato”. Che la loro mentalità è ancora patriarcale, e che Rugova è il loro “pater familias”. Che lo stato offre le scuole ma loro preferiscono non utilizzarle perché considerano i serbi come loro nemici, coinvolgendo nella politica anche i loro figli. Come la Voivodina anche il Kossovo non può essere uno stato come vorrebbe Rugova. La legge è decisa a Belgrado anche per il settore dell’educazione. Ed aggiunge: “Noi teniamo in considerazione la lingua, la cultura, il folklore degli albanesi. Noi finanziamo il loro folklore, i loro giornali. Gli albanesi hanno cinque giornali, i serbi uno solo. Ed hanno 17 riviste. Ad esempio ne hanno una di agricoltura che parla pochissimo di agricoltura e molto di politica. E parla sempre male dello stato. Eppure sono stampate nelle stamperie pubbliche, e noi permettiamo loro di farlo”.


Dall’Intervista a Papovic, Rettore dell’Università Serba di pristina
Dalle testimonianze è possibile rricostruire quello che gli albanesi hanno fatto in quel periodo. Sono riusciti a separare i serbi dagli albanesi dalle scuole materne all’Università, tramite la legge che permetteva alle minoranze di avere le proprie scuole. Così abbiamo avuti questi risultati: che i separatisti albanesi volevano questa regione solo per loro, e che nessun altro vivesse qui.
Le autorità serbe hanno capito e sono ricorse a misure energiche per fermare l’aggressione. Ora ci sono le stesse leggi per tutti i cittadini e non ci sono più gruppi nazionali trattati diversamente: tutti sono trattati ugualmente.
La migliore comprensione reciproca la si raggiunge nelle scuole. Noi abbiamo sempre voluto vivere con gli albanesi, ma loro non vogliono vivere con noi. Questo è un esempio unico al mondo,: che una minoranza non voglia vivere con la maggioranza ed influisca negativamente sulle possibilità di vivere insieme.
Lo scopo di questo Stato è di integrare tutti i cittadini; Non abbiamo avuto questo, ma un’educazione verticale separata. Pensiamo che sia molto importante che tutte le scuole abbiano un curriculum unico: questo è un metodo per l’integrazione. Anche dal punto di vista socio-economico à importante che ognuno possa muoversi liberamente all’interno del paese. Sono certo che anche nel vostro paese le cose vanno in questo stesso modo. Gli ungheresi della Voivodina vanno a scuola nella loro lingua dall’asilo alla scuola media, ma io non ritengo che questo sia un bene. Per lo meno il curriculum deve essere lo stesso.
E’ diverso nei paesi scandinavi, la separazione dello Stato avvenne in un altro modo.
Gli albanesi nelle scuole elementari e medie non solo fanno scuola in albanese, ma stanno seguendo i programmi scolastici dell’Albania e non quelli della Yugoslavia. In tutti i loro libri si dice che questa regione appartiene all’Albania, che una delle più grandi città dell’Albania è Pristina, e che i serbi sono i loro maggiori nemici. A loro, come minoranza, erano stati dati tanti diritti, sono anche stati presidenti del paese, e poi insegnano così ai loro bambini! Non credo che avranno un futuro di pace, senza conflitti, se nei loro libri di testo sta scritto così. Ciò non aiuta la comprensione reciproca.
Penso che sia giusto che tutti i cittadini del nostro Stato abbiano un curriculum unico. Se si permette a questa situazione di continuare si crea un ghetto culturale per una minoranza perché il fatto che portino avanti qualcosa indipendentemente dagli altri e non imparino la lingua degli altri crea problemi per integrarli.
Nei programmi dati dallo Stato Federale sono compresi vari aspetti: l’identità culturale, la musica, la storia. Poiché gli albanesi non hanno avuto il diritto di scrivere questi libri di testo, essi non li accettano.
Noi permettiamo agli studenti di coltivare la musica, la storia nazionale, l’arte, la cultura. Tutti questi dipartimenti esistono nella nostra Università, e sono aperti a tutti, albanesi, turchi, ecc. Abbiamo anche studenti turchi. L’Università è una istituzione aperta a tutti coloro che vogliono studiare. Noi non guardiamo se gli studenti sono mussulmani, se sono turchi o albanesi; guardiamo che siano i migliori.

TOP