I civili devono essere difesi dai civili:
le Istituzioni devono riconoscere i Corpi Civili di Pace

Dopo la riunione del coordinamento della Rete Corpi Civili di Pace italiani tenutasi il 2 maggio a Bologna in cui abbiamo parlato della sempre più pressante necessità di vedere riconosciuta la presenza nei teatri di guerra internazionali di operatori civili a difesa delle popolazioni tenute in ostaggio o uccise e dimenticate dagli eserciti e dai molteplici gruppi armati che combattono su quei territori, sentiamo urgente il bisogno di aprire una riflessione e un appello a tutti coloro che con partecipazione e preoccupazione seguono quelle vicende.

Ci appelliamo anche alle nostre istituzioni che in alcuni di quei conflitti sono direttamente coinvolte. Un grave senso di sgomento e di incredulità ci assale ascoltando o leggendo i rapporti che ci giungono dai volontari civili impegnati in quei teatri, come per esempio la lettura dell'articolo di Jo Wilding, intitolato 11 aprile a Falluja e pubblicato sul numero del primo maggio della Repubblica delle Donne, dove una volontaria civile racconta la sua terribile esperienza all'interno della città irachena assediata. Come molti di noi, presenti per anni nel lunghissimo assedio di Sarajevo, essa racconta di cecchini che sparano sulla popolazione civile, di soldati che impediscono di soccorrere i feriti e di abbandonare la città a famiglie disperate, di mancanza di viveri, acqua potabile, farmaci e così via. Con in più, come terribile colonna sonora, il suono dei bombardieri che notte e giorno sganciano bombe sulla città. Azione che era stata impedita alle forze militari che assediavano Sarajevo.

La sola, inquietante, differenza che qui vogliamo rimarcare è che quelle truppe, quei cecchini, quei bombardieri non appartengono all'esercito di un’oscuro paese balcanico, ma appartengono alla coalizione anglo-americana a cui noi italiani partecipiamo con un cospicuo contingente.

Come se tutto questo non bastasse ci vengono anche mostrate dai principali network dell'informazione globale, le orribili immagini di torture e sevizie che i responsabili del carcere di Abu Ghraib hanno inflitto ai loro prigionieri di guerra. A rafforzare la nostra convinzione di una illegalità sempre più diffusa in questo intervento militare, cosiddetto preventivo, apprendiamo che ad interrogare e seviziare quei prigionieri non sono state solo le autorità militari preposte ma anche semplici civili occidentali che erano in quel periodo sotto contratto presso la coalizione per tutt'altri compiti.

Da anni lottiamo per ottenere dalla comunità internazionale il riconoscimento dei volontari che si impegnano a difendere ovunque nel mondo le popolazioni e i loro diritti fondamentali rischiando per questo la vita ogni giorno. Purtroppo al di là di mozioni approvate ma mai realizzate praticamente (vedi il percorso del progetto per i Corpi Civili di Pace Europei proposto da Alexander Langer nel 1994) non riusciamo ancora a vedere un impegno concreto da parte delle istituzioni alla realizzazione di questo importante strumento per la difesa delle popolazioni civili. Vediamo, invece, con apprensione con quanta celerità la neonata e ancora senza costituzione Unione Europea, corra alla creazione di un’agenzia per la difesa militare, e affidi la difesa dei civili, non a sperimentati gruppi di volontari internazionali, che da lungo tempo operano con successo, ma a quadri militari o militarizzati.

Sentiamo l'impellente necessità di interpretazione e condivisione diretta che le popolazioni di differenti culture richiedono per poter essere ricondotte ad una rinascita democratica. Occorre lavorare con tutti gli attori civili di quei territori perché esistono molteplici modelli di civismo altrettanto democratici dei nostri ma affatto simili. Vedi il libro “le democrazie degli altri” di A. Sen.
E’ infatti su queste nuove interconnesioni sociali, che i civili di tutto il mondo possono veramente incontrarsi e costruire un futuro comune di pace. Ed è sulla nostra capacità di formare e impiegare questi Corpi Civili di Pace che gridiamo il nostro appello e la nostra totale disponibilità a costituirli.

Per finire, desideriamo menzionare le già numerosissime persone che lavorano in quei luoghi, senza alcuna copertura o riconoscimento, se non quello della loro coscienza, e insieme a loro termino chiedendo con forza a tutti di aderire e sviluppare il nostro appello.

Maria Carla Biavati per la Rete Corpi Civili di pace
Bologna, 3 maggio 2004

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