“Istituzione del servizio civile obbligatorio per le giovani e i giovani”

Commenti alla proposta di legge
del Gruppo F. Jagerstatter per la nonviolenza – Pisa

La proposta di legge presentata da un nutrito gruppo di parlamentari del centrosinistra (primo firmatario Ermete Realacci) sulla “Istituzione del servizio civile obbligatorio” sarà sicuramente oggetto di molte discussioni nel movimento pacifista e in particolare nel movimento nonviolento, soprattutto all’inizio della prossima legislatura, quando crediamo che i proponenti aumenteranno gli sforzi per realizzare questa riforma. Pensiamo sia importante arrivare a questo punto con le idee chiare, e dopo aver discusso seriamente, sfuggendo alla logica del fatto compiuto e della delega su argomenti che sono per noi di enorme rilevanza. Proponiamo alcuni commenti come contributo a questa discussione.
Dal punto di vista giuridico, la proposta si basa essenzialmente sugli articoli 2 (dovere di solidarietà politica, economica e sociale tra cittadini ) e 52 (“sacro dovere” di difesa della patria) della Costituzione: l’elemento centrale è la definizione della solidarietà sociale (nelle varie accezioni assistenziali, ecologico-ambientali e di protezione civile) come attività di “difesa della patria” nel senso previsto dalla Costituzione. Il precedente richiamato è la legge 772 del 1972 che istituì il servizio civile sostitutivo del servizio militare per gli obiettori di coscienza (con le successive modifiche).
Una prima osservazione: ci sembra corretto considerare la solidarietà sociale come parte della “difesa della patria” finché significa costruzione della società civile, rafforzamento delle comunità, difesa della vivibilità dei territori (tema molto sentito, come dimostrano le lotte di Scanzano, Acerra, della val di Susa, e moltissime altre…), ma quando diventa, come spesso accade, supplenza dello Stato, sussidiarietà, privato sociale come “appaltatore” di servizi pubblici a basso costo, si tratta non di difesa ma semmai di “attentato” alla Patria nel senso di collettività portatrice di diritti. Non sembra che nella proposta di legge si individuino meccanismi “virtuosi” per garantire che gli addetti al servizio civile pratichino solidarietà nella prima accezione, al contrario emerge il concreto rischio che diventino, almeno in parte, forza lavoro dequalificata e sottopagata per attività di “dumping sociale”. E’ chiaro a tutti che esistono notevoli interessi, economici e politici, per questo potenziale bacino di lavoratori “forzati” da destinare alle varie mansioni di basso profilo del privato sociale, come dimostra anche il braccio di ferro tra amministrazioni centrali e enti locali per la gestione del servizio (anche di quello volontario attuale, tanto più di quello obbligatorio eventuale). Al di là delle intenzioni spesso ottime di alcune delle organizzazioni che appoggiano questa proposta, se verrà istituita questa forma di servizio civile, possiamo dare per scontato che vi saranno
tentativi di distorcerlo nel modo accennato sopra. Un altro punto di estrema inportanza: è significativo che manchi ogni riferimento all’articolo 11 (ripudio della guerra) della Costituzione. E’ un “non detto” pesante, visto il riferimento alla difesa che nella nostra tradizione è quasi esclusivamente demandata alle forze armate, e visto il richiamo al precedente dell’O.d.C. D’altra parte il servizio militare è esplicitamente citato più volte nella presentazione della proposta, in modo che il servizio civile viene considerato parallelamente all’”altro modo” di difesa della patria, cioè quello militare. Questa “dimenticanza” si traduce, nell’art. 1 della proposta di legge, nell’assenza di ogni riferimento alla gestione-soluzione-trasformazione dei conflitti interni e internazionali come campo di attività del servizio civile, rappresentando un notevole passo indietro rispetto alla legge 230 del 1998, che pone le attività di mediazione, interposizione e intervento non armato e nonviolento nei conflitti al primo posto tra i compiti degli obiettori di coscienza / addetti al servizio civile. Riportare le attività di solidarietà sociale nella fattispecie della difesa della patria, trascurando del tutto l’aspetto della difesa territoriale e istituzionale non armata e nonviolenta, è una forzatura della storia dell’OdC. E’ ben noto che il servizio civile fu accettato dagli obiettori di coscienza come una sorta di prezzo da pagare per evitare di svolgere il servizio militare: è vero che la Corte Costituzionale ha ribadito che le pratiche di solidarietà sociale durante il servizio civile costituiscono una modalità alternativa al servizio militare di adempiere all’art. 52, ma non possiamo dimenticare che la richiesta di base degli obiettori era di essere addestrati e di aiutare a costruire
strumenti non armati e nonviolenti di difesa (e di interposizione in luoghi di conflitto anche all’estero, coerentemente con la moderna definizione di difesa applicata dalle forze armate). Sembra che il modello previsto da questa proposta sia: il servizio civile per le attività di assistenza e di intervento in situazioni di disagio, oppure in occasione di calamità naturali (in contiguità con la protezione civile professionale), le forze armate per la gestione dei conflitti internazionali (e potenzialmente interni…). E se questa è l’idea, colpisce che (con un completo rovesciamento della storia dell’OdC !) i militari siano volontari, ben pagati e (almeno idealmente) ben attrezzati, e gli addetti al servizio civile siano “di leva”, sottopagati e potenzialmente usati in situazioni in cui i fondi pubblici non riescono a garantire servizi adeguati. Di certo non spiacerà ai vertici delle forze armate, perennemente in carenza di volontari per un impiego tuttora ben poco appetibile: di fronte alla prospettiva di essere richiamati per sei mesi di lavoro dequalificato e sottopagato, molti giovani considereranno diversamente l’offerta di arruolamento (pubblicizzato tra l’altro come un mezzo di qualificazione professionale).
Non c’è dubbio che è necessario reintrodurre l’intervento nonviolento nei conflitti e la costruzione di strumenti di difesa non armata e nonviolenta al primo posto tra le finalità di ogni servizio civile (come è almeno formalmente per la legge attuale), sia riservando tempi e strumenti congrui nella formazione di tutti gli addetti, sia prevedendo che una parte dei giovani possa optare per questa modalità di “difesa della patria”, con i mezzi e i finanziamenti adeguati. Inoltre se il servizio civile e’ proposto nell’ambito dell’art. 52 (usato anche per giustificarne l’obbligatorietà), non si capisce perché i finanziamenti non siano tratti dalle spese militari (in costante aumento, lo ricordiamo), ma cercati in capitoli di spesa molto più scarni e incerti. Riguardo all’obbligatorietà del servizio civile: abbiamo forti dubbi che questa sia la strada adatta per ottenere personale motivato e coinvolto nei progetti in cui verrà impiegato, condizione necessaria perché il servizio consista in vere attività di solidarietà. Ricordiamo ancora che persino le forze armate hanno abolito la leva obbligatoria con l’obiettivo di aumentare la motivazione e la professionalità dei militari: d’altra parte tutte le teorie moderne della “governance” (per esempio quella applicata dallo stato alle industrie e alle attività inquinanti) partono dal principio che è più efficace offrire incentivi e fornire strumenti, piuttosto che ricorrere a regole rigide. Perché anche per il servizio civile non si pensa a una rete di incentivi, non necessariamente economici, per volontari?
Per esempio, chiare normative di tutela per il posto di lavoro, punteggi e “crediti formativi” abbinati al servizio, infrastrutture pubbliche per facilitare il lavoro, e per comunicare ai volontari che la loro attività è considerata di alto livello e riconosciuta pubblicamente. Sicuramente un sistema di gratificazioni e di sostegno di questo tipo sarebbe più efficace per estendere un servizio civile di vera solidarietà.
Come detto sopra, queste note sono un contributo alla discussione sulla proposta di legge: ci auguriamo che una discussione di questo tipo si sviluppi al più presto nel movimento pacifista e nonviolento, anche attraverso incontri pubblici e di confronto con i proponenti.

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