Proposta di legge n. 3748:
Istituzione di un servizio civile obbligatorio per le giovani ed i giovani.
Osservazioni del Giurista Domenico Gallo

La proposta è stata presentata il 5 marzo 2003 dall’ on. Realacci e da altri 71 parlamentari. Il tema è divenuto di grande attualità nell’attuale dibattito politico-programmatico, non solo per l’ampio spettro di parlamentari che la sostiene (che va dalla Margherita a Rifondazione), ma soprattutto perché è stata recentemente ripresa da Prodi che, sia pure con grande cautela, l’ha presentata come una delle possibili proposte da inserire nel programma dell’Unione.
Non v’è dubbio che il tema del rilancio del Servizio civile sia una questione che non può essere elusa e quindi deve essere affrontata in vista della definizione del programma politico dell’Unione. Il valore positivo della proposta Realacci è tutto nel fatto che affronta un nodo cruciale che non può essere ignorato e che impone delle risposte politiche adeguate. Tuttavia occorre un esame approfondito per verificare se le soluzioni proposte siano praticabili.
Il problema fondamentale è quello della cancellazione del Servizio civile sostitutivo del servizio militare di leva, conseguente all’abolizione della leva, cessata con decorrenza dal 1 gennaio 2005.
Una delle conseguenze negative dell’abolizione della leva, che probabilmente non è stata - a suo tempo - attentamente valutata, è la inevitabile abolizione del Servizio civile sostitutivo. In questo modo è stato distrutto un bene pubblico repubblicano, un patrimonio pubblico che, concorreva – latu sensu – alla difesa della Patria, attraverso l’impegno sociale di decine di migliaia di giovani, nei settori più disparati, in Italia e all’estero.
La risposta che né è stata data, con l’istituzione del servizio civile volontario, della durata di 12 mesi, di cui alla legge 64 del 2001, evidentemente non è idonea a recuperare il bene pubblico perduto.
A questa esigenza va incontro la proposta Realacci, che, stando a quanto è scritto nella relazione illustrativa, è frutto di un ampio dibattito con le Associazioni di Servizio civile, quali Acli, Arci, Associazione nazionale Alpini, Focsv, Compagnia delle opere, Legambiente.
E tuttavia, nell’ambito di questa giusta esigenza di rilancio del Servizio civile, rimane inspiegabile la scelta di mutilare il Servizio civile della Difesa Popolare Non Violenta, la cui sperimentazione pratica era stata introdotta dalla legge riforma dell’obiezione di coscienza (L. 230/1998), che, dando riconoscimento ad una trentennale battaglia del movimento per la Pace, aveva attribuito all’Ufficio Nazionale per il Servizio civile il compito di “predisporre, d'intesa con il Dipartimento della protezione civile, forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta” (art. 8, comma 2, lett. e).
In tal modo verrebbe disperso per sempre un bene pubblico, che in questo contesto internazionale, invece, appare sempre più necessario per partecipare alla costruzione di un ordine internazionale pacifico, sconfessando – a posteriori – gli interventi che il volontariato italiano ha effettuato nei luoghi dei conflitti, dalla Palestina, alla Bosnia, al Kosovo.
In ogni caso la soluzione individuata per risolvere il problema del rilancio del Servizio civile, vale a dire l’istituzione di un servizio civile obbligatorio, per uomini e donne, della durata di sei mesi, sconta una non meditata valutazione dell’equilibrio dei valori costituzionali in gioco. A ben vedere la soluzione proposta appare giuridicamente impraticabile, in base osservazioni che seguono.
Nella relazione introduttiva si cerca di trovare una copertura costituzionale, per l’introduzione di un servizio obbligatorio della durata di sei mesi, facendo riferimento all’art. 52, I comma, della Costituzione (La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino) e tirando in ballo la famosa sentenza 164 con la quale la Corte Costituzionale nel 1985 ha respinto svariate eccezioni di illegittimità costituzionale della legge sull’obiezione di coscienza, statuendo che il servizio civile (sostitutivo) “non si traduce assolutamente in una deroga al dovere di difesa della Patria, ben suscettibile di adempimento attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato”. Con tale sentenza la Corte ha riconosciuto dignità costituzionale al servizio civile svolto dagli obiettori di coscienza, in base alla L. 772/1972, escludendo che la prestazione di tale servizio potesse costituire una deroga all’obbligo (inderogabile) di difesa della Patria.
Come è facile comprendere, il richiamo effettuato nella relazione introduttiva alla proposta di legge alla Sentenza 164/1985 è del tutto in conferente e non può essere utilizzata come base per fondare la legittimità di un servizio civile obbligatorio.
Infatti dalla considerazione che il servizio civile (sostitutivo) rientra genericamente nel dovere civico di difesa della Patria, non può farsi discendere la possibilità di istituire un servizio civile di leva, dal momento che il secondo comma dell’art. 52, prevede come obbligatorio soltanto il servizio militare. Né nella Costituzione italiana vi sono altre norme che consentano una prestazione personale, così onerosa per la libertà personale, come potrebbe essere una leva civile obbligatoria per tutti.
Al contrario, il servizio civile obbligatorio si risolve in una prestazione di “lavoro forzato”, come tale interdetta dalle convenzioni internazionali ed, in particolare dall’art. 4 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo (divieto di schiavitù e del lavoro forzato), che esclude dal novero dei lavori forzati soltanto il servizio militare e gli eventuali servizi sostitutivi del servizio militare obbligatorio prestati dagli obiettori di coscienza.
La norma, infatti, recita testualmente:
“Nessuno può essere tenuto in schiavitù o in servitù.
2.Non è considerato come “lavoro obbligatorio o forzato” ai sensi del presente articolo:
a) ogni lavoro richiesto normalmente ad una persona detenuta nelle condizioni previste dall’art. 5 della presente Convenzione, o durante il periodo di libertà condizionale;
b) ogni servizio di carattere militare, o nel caso di obiettori di coscienza nei Paesi dove l’obiezione di coscienza è legale, ogni altro servizio sostitutivo del servizio militare obbligatorio
c) ogni servizio richiesto in occasioni di calamità che pongono in pericolo la vita o il benessere della Comunità;
d) ogni lavoro o servizio che fa parte delle normali obbligazioni civili.”
Dalla semplice lettura della norma risulta evidente che il nuovo servizio civile obbligatorio che si vorrebbe introdurre, non rientra in alcuna delle eccezioni consentite al “lavoro obbligatorio o forzato”. Né sarebbe possibile “inventare”, per via interpretativa, nuove cause di giustificazione, non previste, che possano derogare al divieto di lavoro forzato o obbligatorio.
Lo scoglio rappresentato dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo appare insuperabile per un duplice ordine di motivi:
a) la Cassazione ha statuito che le norme della CEDU non possono essere modificate da leggi ordinarie. Tale principio è stato ribadito dalla Prima Sezione civile della Corte di Cassazione con la Sentenza Galeotti (Sentenza 8 luglio 1998 n. 6672). In particolare quest’ultima sentenza ha statuito che: “le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ….. non sono dotate di efficacia meramente programmatica. Esse, infatti, impongono agli Stati contraenti, veri e propri obblighi giuridici immediatamente vincolanti e, una volta introdotte nell’ordinamento statale interno, sono fonte di diritti ed obblighi per tutti i soggetti. E non può dubitarsi del fatto che le norme in questione, introdotte nell’ordinamento con la forza di legge propria degli atti contenenti i relativi ordini di esecuzione, non possono ritenersi abrogate da successive disposizioni di legge interna, poiché esse derivano da una fonte riconducibile ad una competenza atipica e, come tali, in suscettibili di abrogazione o modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria” .
b) il rispetto della Convenzione è presidiato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che non fa sconti a nessuno. E’ quindi facile prevedere che i “coscritti” presenterebbero un fiume di ricorsi contro l’Italia innanzi alla Corte di Strasburgo. Basterebbe una sola condanna da parte edella Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per squalificare il servizio civile obbligatorio e far franare tale istituto.
Inoltre, c’è un motivo ancora più forte dell’antigiuridicità formale che rende la proposta del servizio civile obbligatorio impraticabile. Il servizio militare in tanto può essere obbligatorio in quanto i “coscritti” vengono inseriti in una struttura del tutto particolare, quali sono le Forze armate, nelle quali vige una disciplina rigorosa, fondata su un forte livello di costrizione. Inoltre si svolge in luoghi (le caserme) vigilati da guardie armate, dalle quali è impossibile entrare o uscire senza autorizzazione.
Il servizio reso negli enti di servizio civile, al contrario, non può essere reso (e non può neppure essere concepito), se non è frutto di una scelta “volontaria” di chi lo presta. Gli enti di servizio civile, per loro natura, non possono trasformarsi in “caserme” e “costringere” i coscritti a prestare un servizio obbligatorio, inviando i Carabinieri a catturare quelli che fuggono.
La critica di fondo che si può fare alla proposta Realacci è che essa non garantisce il risultato che vuole conseguire. E’ evidente che bisogna battere altre strade se si vuole salvare quel bene pubblico repubblicano rappresentato dall’impegno sociale di migliaia di giovani a difesa della nostra Patria.
Il servizio civile non può essere obbligatorio, ma deve essere incentivato. Si possono sperimentare varie soluzioni per incentivare il servizio civile, una volta tramontata l’illusione della leva civile obbligatoria.. Una soluzione potrebbe essere quella di estendere ai giovani che prestano il servizio civile le prerogative accordate ai giovani che prestano il servizio militare volontario per quanto riguarda l’accesso agli impieghi pubblici.

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