Da Mustafa Barghouthi strategie di resistenza civile in Palestina
"Restare sulla montagna", il libro di Mustafà Barghouti
di Monica Ruocco

Nella tradizione islamica l’espressione "è venuto il momento di scendere dalla montagna" ricorda la battaglia condotta da Muhammad contro gli abitanti della Mecca: i sostenitori della nuova fede si raccolsero sulla vetta di un’altura dopo un attacco vittorioso, ma vennero redarguiti dal profeta che intimò loro di non scendere dalla montagna, pena la sconfitta. Esaltati dalla vittoria e dalla fuga dei nemici, i musulmani non obbedirono agli ordini e, una volta a valle, furono sorpresi dall’attacco degli avversari che, nel frattempo, si erano riuniti per riprendere l’offensiva.
La vittoria che si trasforma in sconfitta è, secondo Mustafa Barghouthi, personalità di primo piano nello scenario intellettuale e politico palestinese, l’immagine più opportuna per descrivere l’attuale situazione palestinese, diretta conseguenza degli accordi di Oslo: molti avevano creduto che fosse arrivato il momento di scendere dalla montagna.
Questa riflessione è anche l’ideale punto di partenza del libro-intervista Restare sulla montagna (trad. di Marilla Boffito, Nottetempo 2007, pp. 122, euro 13), in cui Barghouthi, dialogando a Ramallah nel 2004 con Eric Hazan, direttore della casa editrice francese La Fabrique, cerca di comprendere come si è arrivati all’attuale crisi della politica palestinese, ma soprattutto di individuare le future strategie della resistenza civile.
Nato a Gerusalemme nel 1954, Barghouthi ha studiato medicina in Unione Sovietica, per poi approdare alla carriera politica come segretario del Partito Palestinese del Popolo (ex Partito Comunista) e membro della delegazione alla conferenza di Madrid nel 1991. Nel 2005 si è presentato alle ultime elezioni presidenziali dove è arrivato secondo e attualmente ricopre un seggio nel parlamento palestinese.
Tra gli avvenimenti toccati nel corso del libro (che verrà presentato oggi alle 19 presso la Fondazione Olivetti di Roma alla presenza dell’autore), l’esperienza di negoziatore a Madrid e la delusione per gli accordi di Oslo firmati da una élite politica totalmente distaccata dalla popolazione ed egemonizzata dalla dirigenza dell’Olp, offrono a Barghouthi lo spunto per definire la propria posizione. Individuo al di fuori di qualsiasi schieramento, distante sia dall’Autorità Palestinese che da Hamas, entrambi sostenitori di un discorso tradizionalista, ma anche dai cosiddetti "partiti d’opposizione" che di fatto dipendono finanziariamente dall’Autorità, Barghouthi sostiene che la lotta contro l’occupazione e quella per l’instaurazione di un sistema democratico in Palestina fondato sulla libertà di espressione, siano due battaglie inseparabili.
Barghouthi è stato sempre un sostenitore di una resistenza popolare non violenta e, quando lo paragonano a Gandhi, afferma che il suo modello è piuttosto Gramsci, il cui pensiero - soprattutto i concetti di "rivoluzione passiva", "guerra di posizioni" e le riflessioni sulla società civile e il ruolo dell’intellettuale - è da alcuni decenni molto apprezzato dagli intellettuali arabi, primo fra tutti Edward Said.
Al centro della futura resistenza palestinese Barghouthi mette proprio quella società civile definita da Gramsci come lo spazio in cui funziona tutto quello che è indipendente dal governo. Indispensabile, a questo proposito, l’attività delle Ong, settore in cui Barghouthi è in prima linea dal 1979, quando fondò l’Union of Palestinian Medical Relief Committees, di cui è presidente, un’organizzazione presente in tutto il paese e che fornisce assistenza medica a oltre un milione di persone nei Territori Occupati e nella Striscia di Gaza. In quella che non è più soltanto una guerra tra due popoli, ma una questione di giustizia sociale, Barghouthi sostiene che il risultato di aver fatto diminuire, in ventiquattro anni di attività, il tasso di mortalità infantile dal 150 al 20 per mille sia la più efficace delle nuove forme di resistenza.
Il colloquio si sofferma poi sull’esperienza politica più significativa di Mustafa Barghouthi che, nel giugno 2002, si è dimesso dal Ppp per fondare, insieme a Haidar Abdul Shafi, Ibrahim Dakkak e Edward Said, la Palestinian National Initiative (al-Mubadara al-Wataniyya al-Filastiniyya), un movimento che si propone come alternativa riformista all’Olp e Hamas e di cui è segretario generale.
Scopo del movimento, che raccoglie personalità della società civile, gruppi laici della sinistra, sindacati, movimenti delle donne, è quello di ricostruire l’unità nazionale nella lotta per l’indipendenza attraverso l’istituzione, nei Territori Occupati, di un sistema democratico trasparente. al-Mubadara intende, inoltre, rafforzare i contatti tra i palestinesi dei Territori Occupati e quelli della Diaspora, promuovere una politica attiva della non violenza, aiutare la popolazione civile attraverso le attività sociali e l’azione politica e, infine, incoraggiare la solidarietà internazionale come strumento privilegiato per la resistenza all’occupazione.
Uno dei mezzi attraverso i quali Barghouthi lancia le proprie battaglie è il sito www.palestinemonitor.org, una rete che dal 2000 raccoglie le esperienze delle Ong Palestinesi (Ongp), coordinata ogni anno da una organizzazione diversa.
La dimostrazione che questi propositi non siano soltanto strategie politiche sta nei successi raccolti dalle azioni sostenute da Mustafa Barghouthi, l’ultima delle quali risale al 4 settembre scorso. In questa data la Corte Suprema israeliana ha reso nota la decisione di spostare il muro dal villaggio di Bil’in. La resistenza non violenta condotta per più di due anni dalla popolazione, dalle famiglie locali ma anche dai movimenti pacifisti israeliani e dai simpatizzanti stranieri, ha portato a questa importante sentenza.
Ma non è finita qui: Barghouthi afferma che la lotta continuerà finché il muro sia completamente rimosso da Bil’in e da tutto il territorio palestinese.

da "Il Manifesto" 11 settembre 2007



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