Le Donne del Movimento per la Pace in Medio Oriente celebrano 20 lunghi anni

27/12/07 - Brenda Gazzar, Corrispondente di WeNews

Le Donne in Nero hanno condannato pubblicamente l’occupazione militare israeliana della Cisgiordania per 20 anni. Nel momento in cui celebrano l’anniversario durante gli ultimi colloqui di pace, esse dicono che il loro messaggio resta sempre valido anche se le proteste di strada sono diminuite.



GERUSALEMME (WOMENSENEWS) – Come Donna in Nero, Gila Svirsky racconta di essere stata spinta da alcuni passanti, di essere stata definita traditrice e puttana ed anche minacciata da chi invitava a fare del male alle "vedove nere". Negli ultimi 20 anni ha ricevuto telefonate che minacciavano i suoi figli e sentito risuonare rumorose fucilate come avvertimento di quel che preparava per lei chi la chiamava. Ma Svirsky, 61 anni, dice che non ha più paura di tali "stupide chiamate" e continua a venire ogni venerdì in una piazza di Gerusalemme – vestita di nero per le vittime sia palestinesi che israeliane – tenendo un cartello che chiede la fine dell’occupazione militare di 40 anni da parte di Israele.
Le manifestazioni delle Donne in Nero sono iniziate qualche settimana dopo lo scoppio della prima ribellione palestinese e si sono rapidamente estese in dozzine di luoghi nel paese. Il 28 dicembre segna 2 decenni di vigil di protesta da parte di un movimento che è diventato globale, con donne che si riuniscono dappertutto nel mondo per combattere la violenza e l’ingiustizia, dice Svirsky.
Le dissidenti israeliane – per la maggior parte ebree ma anche alcune arabe – celebreranno il 20° anniversario con una speciale vigil di massa a Gerusalemme.
La "maledetta" occupazione continua e noi dobbiamo continuare sempre ad uscire tutti i venerdì per cercare di ricordare alle persone che non è finita" dice Svirsky. "Un sacco di gente pensa….la Cisgiordania ci appartiene e noi ce la terremo per sempre. Per noi è davvero importante ricordare alla gente che non è nostra; è palestinese. Non avremo la pace se non la restituiremo".
Questa opinione è molto contestata qui.
"Io credo che c’è un’occupazione. Credo che c’è un’occupazione da parte degli Arabi…della terra che appartiene agli Ebrei, com’è stato per migliaia di anni, se leggete la Bibbia" dice Ruth Matar delle Donne in Verde, che si sono costituite nel 1993 per opporsi alle concessioni territoriali.

Ambiziosi colloqui di pace
L’anniversario delle Donne in Nero coincide con una nuova tornata di colloqui di pace tra Israeliani e Palestinesi, uno sforzo ambizioso per firmare un accordo di pace che risolverebbe 60 anni di conflitto prima che il Presidente George W. Bush concluda il suo mandato prima della fine dell’anno prossimo. Gli ultimi colloqui sono falliti nel 2000 dopo lo scoppio della seconda ribellione palestinese.
I negoziati sono stati complicati dai piani israeliani di costruire abitazioni in territorio occupato nella regione di Gerusalemme Est – che i Palestinesi vogliono sia la loro capitale in uno stato futuro – come anche dai missili quasi quotidiani lanciati da militanti palestinesi dalla striscia di Gaza controllata da Hamas e dalle rappresaglie di risposta e dagli omicidi israeliani.
Allo stesso tempo il Primo ministro israeliano Ehud Olmert e il Presidente palestinese Mahmud Abbas sono ritenuti deboli nelle loro rispettive società, incapaci di concludere un accordo.
Quando le forze dell’islamista Hamas hanno cacciato violentemente le forze rivali di Fatah da Gaza in giugno, Israele ha chiuso le sue frontiere con Gaza a ogni assistenza umanitaria e ha imposto sanzioni economiche in risposta agli attacchi di missili e mortai.
Al loro apogeo, le vigil delle Donne in Nero si tenevano in più di 30 città israeliane ma oggi le vigil restano solo in 6 città. Gerusalemme, uno dei luoghi più attivi, una volta si vantava di avere più di 100-120 donne ma oggi, le vigil nella città girano attorno a 20-30 partecipanti. Malgrado il calo sensibile, le militanti dicono che il loro messaggio è più importante che mai.

"Distruggere Israele dall’interno"
"Questa occupazione deve cessare perché distrugge Israele dall’interno" dice una Donna in Nero, Aliyah Strauss, 72 anni, immigrata dall’Ohio. Lei e suo marito hanno realizzato un sogno sionista quando sono arrivati in Israele, 50 anni fa e ora vivono a Tel Aviv. "Non possiamo restare una società democratica sana e nello stesso tempo controllare brutalmente un altro popolo".
Nel corso degli anni, le Donne in Nero hanno subito una trasformazione, diventando più una rete internazionale di pace centrata su una serie di questioni rientranti sotto il tema generale dell’anti-militarizzazione, dal conflitto arabo-israeliano al neo-nazismo, alla guerra in Irak, alla violenza del crimine organizzato.
Nel 2005, più di 700 Donne in Nero di circa 40 paesi hanno partecipato all’incontro del movimento a Gerusalemme, ha detto Svirsky, che è originaria del New Jersey. "Penso che la nostra principale realizzazione sia stata dare vita ad una grande rete internazionale di Donne in Nero che si oppone all’occupazione israeliana e ad altre ingiustizie nel mondo" dice. "Per noi è importante aiutare le persone a comprendere che i conflitti devono essere risolti politicamente, non con la violenza".

Questione tattica
Gadi Wolfsfeld, professore di Scienze politiche e di comunicazione all’Università ebraica di Gerusalemme, s’interroga sulla scelta di protesta pubblica del gruppo. "Sono chiaramente delle donne convinte ed io le rispetto ma non credo che sia il modo più efficace di provocare un cambiamento politico" dice. Piuttosto che organizzare vigil pubbliche, secondo lui, per influire su chi decide e sull’opinione pubblica sembrano più efficaci dei gruppi che monitorano e diffondono rapporti su abusi o violazioni.
Una professoressa in Sociologia dell’Università Ben Gurion a Beer Sheva non è d’accordo. Sara Helman dice che le Donne in Nero hanno indicato la via oltrepassando le frontiere nazionali durante la prima ribellione palestinese, chiedendo la fine delle sofferenze e degli Israeliani e dei Palestinesi. "Voi potete vivere perfettamente la vostra vita quotidiana come ebrea israeliana e dimenticare l’occupazione" dice. "Quel che hanno fatto le Donne in Nero, è non lasciare ignorare la questione dell’occupazione…L’hanno resa evidente. L’hanno portata all’attenzione pubblica". Uno studio pubblicato da Helman in collaborazione con la Professoressa Tamar Rapoport dell’Università ebraica di Gerusalemme valuta che i metodi di protesta delle Donne in Nero "hanno incarnato una sfida aperta a delle nozioni di femminilità profondamente radicate in Israele" offrendo un’interpretazione alternativa sul posto delle donne nella politica e nella società israeliana. Secondo loro ogni donna ha creato un nuovo spazio che sfidava e sovvertiva le categorie politiche, sociali e culturali che relegavano le donne nella marginalità. "Hanno portato il corpo delle donne nella sfera pubblica" dice Helman. "Se ne sono state là, fuori, nella sfera pubblica, tranquillamente e in silenzio solo con un cartello che dice "Stop all’Occupazione". Hanno usato solo i loro corpi per protestare. Anche questo è stato rivoluzionario".
Il 21 dicembre, Efrat Halper, 31 anni, ha partecipato alla vigil delle Donne in Nero nel centro di Gerusalemme con sua madre e sua figlia di 3 anni. Sua madre Shoshana si era unita alle Donne in Nero poco dopo la loro nascita e Halper, un’infermiera, ha cominciato a venire in piazza quando ancora studiava. Le vigil settimanali sono per lei, dice, un mezzo per dare sollievo alla sua coscienza come una che resiste contro l’occupazione militare da parte del suo governo della Cisgiordania. Halper, che è anche volontaria dei Medici per i Diritti umani, non avrebbe mai immaginato che l’esistenza delle Donne in Nero sarebbe stata ancora necessaria dopo 20 anni. Dopo la firma da parte dei dirigenti israeliani e palestinesi degli accordi di pace di Oslo – che comprendevano i principi di un periodo provvisorio di autogoverno palestinese e un calendario per dei negoziatii permanenti – lei e altre del gruppo hanno smesso di protestare, pensando che la pace fosse vicina. Ma dopo 15 anni, lei sta ancora aspettando una soluzione del conflitto israelo-palestinese. Spera che sua figlia Zohar, non debba partecipare alle stesse vigil a cui sua madre e sua nonna hanno partecipato per lungo tempo. "Ma non sono ottimista" dice. "Vedo quel che accade".

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