Testata: L'Unità
Data: 06 ottobre 2008
Pagina: 10

Umberto De Giovannangeli
Israele-Palestina le mappe della pace


Le mappe sono custodite nel suo ufficio alla Muqata. Mappe dettagliate sulle quali sono tratteggiati i confini dei due Stati. L’Unità le ha viste. Sono state presentate al presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) dal premier dimissionario israeliano Ehud Olmert nel loro ultimo incontro a Gerusalemme. La stampa israeliana, evocando quelle mappe, le ha liquidate come il "testamento politico" di un premier (Olmert) prossimo all’uscita di scena. Non è così. Perché quelle mappe, confida a l’Unità uno stretto collaboratore di Olmert, il premier israeliano le aveva mostrate anche agli uomini ai quali Barack Obama ha affidato il dossier mediorientale. "Se verrà eletto, da presidente degli Stati Uniti, Obama farà sua quella proposta come base per un accordo globale tra Israele e l’Anp", aggiunge la fonte. Le "mappe della pace" sono state visionate anche da Tzipi Livni. La premier incaricata, per quanto consta a l’Unità, le ha giudicate come un "prezioso contributo al rilancio del negoziato". Insomma, qualcosa di serio. Dettagliato. Coraggioso. Per ciò che quelle mappe indicano. E per la logica che le anime. Quella della reciprocità.

Quelle mappe riannodano il filo del negoziato che era stato tessuto a Camp David (luglio 2000), nella maratona diplomatica che ebbe protagonisti Yasser Arafat, l’allora premier israeliano Ehud Barak (attuale ministro della Difesa e leader laburista) e il presidente Usa del tempo, Bill Clinton. Ripartono da Camp David, quelle mappe, ma vanno oltre. In cambio del 7% della Cisgiordania che Israele intenderebbe mantenere per i propri insediamenti, ai palestinesi viene offerta della terra nel deserto del Neghev adiacente alla Striscia di Gaza, equivalente al 5,5% della Cisgiordania. Per compensare la differenza i palestinesi avranno diritto a un passaggio libero fra Gaza e la Cisgiordania senza controlli di sicurezza. L’accordo ventilato comprende una intesa di principio sui confini, la sicurezza e i rifugiati, mentre la questione dello status di Gerusalemme verrebbe rinviata, ma registrando la richiesta palestinese (Gerusalemme Est capitale dello Stato di Palestina) senza pregiudiziali da parte israeliana. Non solo i confini, dunque. Ma anche un’altra questione cruciale. Uno snodo decisivo: quello dei rifugiati. Un tabù infranto. Israele, per la prima volta, mette nero su bianco il riconoscimento che quello dei rifugiati del ’48 è un problema politico e non una generica questione umanitaria. E come problema politico va affrontato e portato a soluzione.

"Il popolo palestinese è uno e uno solo, ed esso contempla i palestinesi dei Territori e quelli costretti a vivere al di fuori dei Territorio", aveva ribadito il premier palestinese Salam Fayyad nell’intervista concessa a l’Unità. I rifugiati potrebbero tornare in Palestina ma solo entro i confini dello Stato palestinese, con alcune eccezioni nell’ambito della riunificazione di famiglie separate. Al momento della firma dell’accordo di principio, verrebbe istituito un fondo di risarcimento con il contributo della Comunità internazionale, gestito da una commissione ad hoc israelo-palestinese. Il cuore della proposta è comunque quello dei confini. La proposta delinea un confine simile a quello dell’attuale Barriera di sicurezza, con l’annessione da parte dello Stato ebraico delle terre dove si trovano i grandi insediamenti di Ma’ale Adunim e Gush Etzion, e quelli attorno a Gerusalemme, oltre a una parte di territorio nel nord della Cisgiordania, adiacente a Gerusalemme. Una volta raggiunto l’accordo, Israele sarebbe libero di costruire nuovi edifici in questi insediamenti. I coloni oltre il nuovo confine verrebbero evacuati in due fasi.

La prima, subito dopo la firma dell’accordo di principio, prevede risarcimenti per coloro che accetteranno di andarsene volontariamente. In base al piano, Israele entrerà subito in possesso del 7% di Cisgiordania, che potrà annettere. Ma il ritiro dal resto della Cisgiordania, e la concessione del libero passaggio, scatteranno solo quando l’Autorità palestinese avrà riconquistato il controllo della Striscia di Gaza, oggi in mano ad Hamas. In questa fase, avverrebbe lo sgombero forzato dei coloni rimasti ad est del nuovo confine. La fonte israeliana, trait d’union fra il premier dimissionario (ma ancora in carica) e la premier incaricata, mette l’accento sul fatto che il libero passaggio, che rimarrà formalmente sotto il controllo dello Stato ebraico, rappresenta una novità rispetto alla situazione precedente alla Guerra dei sei giorni (1967), quando non vi era alcun collegamento fra la Striscia sotto controllo egiziano e la Cisgiordania in mano alla Giordania.

Lo Stato palestinese sarebbe demilitarizzato, con una polizia dotata di armi di difesa ma senza esercito. "Demografia e territorio, i due pilastri dell’idea sionista, non possono essere riconciliati a meno che Israele non abbandoni le proprie ambizioni territoriali e si distacchi dal sogno irrealizzabile e moralmente corruttore di possedere le terre bibliche di Eretz Israel". Annota Shlomo Ben Ami, ministro degli Esteri israeliano ai tempi di Camp David . Quelle mappe sono una proiezione concreta di queste considerazioni. "Nessun leader palestinese, neanche il più disposto al compromesso, potrebbe sottoscrivere un accordo che tagliasse fuori Gerusalemme", aveva ribadito Fayyad a l’Unità. Ma quelle mappe, quei confini delineati, quella reciprocità accettata, rappresentano, al tempo stesso, un intrigante "nuovo inizio" e l’indicazione di uno sbocco negoziale che configura uno Stato indipendente di Palestina con una sua compattezza territoriale. Molto più di un "testamento politico". Le "mappe della pace" sono un investimento sul futuro. Il futuro di due popoli e due Stati.








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