Locarno 2009 - Piombo fuso - Intervista a Stefano Savona
di Edoardo Zaccagnini
giovedì 13 agosto 2009

Piombo fuso è tra le cose piu’ forti presentate al 62esimo Festival del film di Locarno. E’ un film documentario che offre una testimonianza diretta dell’attacco bellico compiuto da Israele nei territori della striscia di Gaza tra la fine del dicembre 2008 e il gennaio 2009. Un giovane regista italiano, Stefano Savona, già autore del bellissimo Primavera in Kurdistan, è riuscito ad entrare nell’area del bombardamento ed ha filmato in diretta la tragedia. Abbiamo deciso di incontrarlo per parlare un po’ con lui del film. Partendo dall’inizio, dalla nascita del progetto.
L’idea è venuta al mio produttore, il quale voleva realizzare una web tv che raccontasse la guerra da vicinissimo, da dentro. L’idea era di mettere giorno dopo giorno le immagini on line, perché né a me né a lui piaceva il racconto che di quella guerra veniva fatto in televisione. Così, nel giro di quattro giorni, eravamo già al confine con l’Egitto, pronti a raccogliere le testimonianze, a cercare di capire quello che stava succedendo.
Sapevi già che sarebbe stato difficilissimo entrare nella striscia ?
Beh, pensavo che sarebbe stato quasi impossibile. Non credevo che sarei riuscito ad entrare. Non avevo molte speranze.
Quindi ti eri preparato a costruire il documentario da fuori ?
Diciamo che mi ero preparato a varie evenienze. Sono partito con l’idea di avvicinarmi il più possibile, anche perché una volta lì, sul confine, c’era una situazione quasi surreale, con morti e feriti che arrivavano ed era forte il desiderio di andare a vedere ciò che succedeva dentro.
Ma come è stato possibile entrare ?
Abbiamo fatto dei documenti falsi. Entrare nei dettagli sarebbe pericoloso..
Ed una volta dentro ?
Una volta dentro ho iniziato a lavorare giorno per giorno, a girare, montare ed inviare queste clip per la web tv. Quindi ho lavorato a frammentario per definizione. Volevo realizzare delle ministorie che potevo girare velocemente e montarle nello stesso giorno. Pensavo che non avrebbe avuto molto senso mandarle in ritardo. C’era un po’ la sfida di capire se il lavoro di documentarista può essere fatto anche in tempo reale, e vedere se questo può incidere sul quotidiano in maniera diversa da come fa la televisione.
Quindi ogni giorno hai mandato del materiale..
Si, ogni giorno delle immagini che rispondevano ad una esigenza quotidiana.
E poi ?
Poi, pian piano, rivedendo a posteriori tutto il materiale mi sono reso conto che ce ne era abbastanza per un film. Già mettendo tutti i pezzi uno dietro l’altro, c’era un rapporto forte di causa/effetto..
E come hai lavorato nella trasformazione del materiale ?
Volevo mantenere la velocità e la freschezza dell’impatto quotidiano, la contemporaneità e quella specie di euforia che questa comporta. Volevo aggiungerci, però, quella sedimentazione della comprensione che appartiene ad un modo classico di lavorare. Ovvero, riguardare il materiale, aver il tempo di pensare, di ragionare sulle scelte di montaggio. Volevo che questi due aspetti convivessero, che ci fossero tutti e due, da un lato l’urgenza del quotidiano e dall’altra un lavoro accurato di costruzione cinematografica..
Una cura della forma che nel film è ben visibile… Si, c’è un lavoro importante nel montaggio del suono, una ricostruzione dell’universo sonoro delle singole scene, ed altrettanta attenzione all’uso del colore, considerando che avevo girato tutto da solo, ed è ovvio che ci fossero una serie di problemi tecnici che poi abbiamo affrontato.
Il lavoro sorprende per la sua qualità estetica.
Beh, questo nasce da una scelta fotografica di base fatta già in fase di ripresa, non c’è nulla di aggiunto. Volevo fare una fotografia di quella realtà che si distinguesse dalla consuetudine televisiva, che per me ha un approccio esteticamente sbagliato, prima ancora che brutto.
Nel senso che modifica cio’ che racconta ?
Nel senso che non facilita la ricostruzione dello spazio e del tempo del luogo che stai raccontando, perché mortifica lo spazio e il tempo originari per adattarli ad uno spazio e ad un tempo televisivi. Perché la televisione impone spazi e tempi suoi a qualunque argomento. Spazi e tempi del mezzo che non hanno nulla a che vedere con la realtà.
E quindi per forza il cinema..
Il compito e la sfida del cinema è di lavorare sulle durate e sulle inquadrature. Il cinema puo’ dare l’orizzonte della spazialità e della temporalità e restituire il valore delle relazioni che si stabiliscono. Ecco, le immagini del mio film sono pensate da questo punto di vista : ci sono spesso campi larghi e non c’è la paura che il televisore sia troppo piccolo. Ho pensato le mie immagini per uno spazio grande che desse la possibilità allo spettatore di cercare non solo quello che sta in primo piano ma anche quello che sta sullo sfondo. Ho cercato di riportare la vita che ho trovato all’interno dell’universo che ho incontrato e credo che lavorando in questo modo si dia anche la possibilitä allo spettatore di empatizzare con la realtä narrata. E’ un discorso diverso da quello che fa la televisione. In Piombo fuso ho cercato un tipo di immagine nella quale ti puoi inoltrare.
Piombo fuso film descrive un dramma umano enorme e non offre grandi spiegazioni politiche. Come mai questo tipo di approccio ?
Perché secondo me le spiegazioni politiche non si potevano dare da dove ero io. Le spiegazioni politiche sono interessantissime, ma quello è un lavoro di sintesi per cui esiste già tanto materiale. Quello che mancava, secondo me, era una testimonianza diretta di cosa succedeva in quei giorni là dentro, ed è quello che io ho potuto fare adesso. Chiaramente l’argomento mi interessa da un punto di vista molto più ampio ma non potevo sviluppare, in questo film, nessun discorso obiettivo : non c’era la giusta distanza e c’era l’urgenza delle bombe.
Come hanno reagito le persone alla tua presenza ?
Per loro è stato strano che io ed altri giornalisti fossimo li’. Eppure c’è stata da subito una grande disponibilità : tutti volevano parlare. C’era un bisogno di parola enorme, un esigenza che ho dovuto anche gestire, perchè avevo molto bisogno di guardare e non volevo che la parola prendesse necessariamente il sopravvento.
Come hai lavorato in tal senso ?
Ho avuto la necessità di controllare che la testimonianza orale non si sovrapponesse a tutto il resto. E’ veroanche che a seconda ti come ti muovi e di cosa inquadri, la gente capisce quello che stai cercando e di conseguenza sa se deve parlare o no. Ma c’è stato anche chi è venuto spontaneamente e si è messo a raccontare, e sonoaccadute delle cose di cui li’ per li’ non mi sono reso conto bene, ma che sentivo forti. In quei casi guardavo, riprendevo senza capire bene, e poi, come nella sequenza finale della gente che cammina e parla, ho scoperto che c’era qualcosa di importante..
Nel film preferisci osservare ed ascoltare piuttosto che interrogare…
Si, certo, in questo lavoro assolutamente. Poi ci sono stati altri lavori in cui con le domande ho cercato di creare un cortocircuito, qualcosa che facesse uscire fuori la verità. Invece in Piombo fuso c’è una verità di primolivello talmente palese che era totalmente fuori luogo, secondo me, cercare dietro.
Non era il momento..
Non era il momento. Poi invece il lavoro che ho fatto nelle settimane successive cercava proprio di scavare attorno alle cose, dietro, e quindi anche di fare venire fuori delle argomentazioni che non vengono fuori subito. Durante i bombaradamenti era tutto talmente forte che l’unica cosa che dovevo fare era mettere a fuoco e cercare di non fare stupidaggini..
Quando parli di altri lavori, precedenti ti riferisci a Primavera in Kurdistan, naturalmente.
Direi proprio di si, e si tratta di situazioni differenti. Anche nel lavoro successivo che ho girato a Gaza, comunque, dopo la fine della guerra, ho adottato un metodo differente rispetto a quello di Piombo fuso. In questo lavoro la gente racconta la guerra, ed anche se c’è molta spontaneità sono intervenuto spesso per cercare di capire gli elementi di contraddizione. Ho scavato per vedere meglio che cosa era successo, ma ho potuto farlo perchè era cambiato il momento, era iniziata una fase di riflessioni, sono venute fuori altre parole ed altri pensieri. Durante il bombardamento tutto questo non lo potevo fare..
Hai parlato di un altro lavoro. So che sei rimasto a Gaza dopo la fine dei bombardamenti. Spiegaci meglio di cosa si tratta ?
Sarà un film più classico di questo e racconterà il massacro dei civili di un quartiere di Gaza city fatto dagli israeliani in maniera totalmente gratuita. Probabilmente a scopo intimidatorio per svuotare il quartiere retrostante nel corso dell’invasione di terra. Ho vissuto per tre settimane con una famiglia di questo quartiere e nel film voglio raccontare attraverso testimonianze dirette tutto quello che è successo.
Ma c’è anche dell’altro..
Nel film racconto anche l’inizio della ricostruzione e la progressiva presa di coscienza di quello che è accaduto. Ero con loro quando tornavano nelle proprie case e scoprivano quello che ne rimaneva. Da questa situazione vengono fuori tanti racconti ed anche il loro tentativo di ricostruire la comunità, perché quando in una comunità di un centinaio di persone ne muoiono trenta, puoi ben capire cosa accade.
In Piombo fuso il ritratto della popolazione di Gaza viene fuori con grande precisione : fiducia costantein Hamas e grande capacità di sopportare il dolore con l’aiuto di Dio. Questo aspetto è uno dei più importanti del documentario. Lo è anche secondo te ?
Si, si.. Io vedevo questo aspetto ancora prima di filmarlo e spero che venga fuori dal film. Quella è la sensazione che si ha sia ad un primo livello che stando un po’ di più immersi in quella realtà. C’è questo pensiero per cui l’unica alternativa alla disperazione è che questa è una prova che ci dà Dio e noi resisteremo perché Dio è dalla nostra parte.
Da cosa nasce tutto questo ?
Guarda, io sono convinto che se fossi andato lì trent’anni fa il linguaggio della resistenza sarebbe stato un linguaggio paramarxista, un linguaggio diverso da quello attuale ma della stessa sostanza. Cioè tutto serve ad assecondare lo stesso desiderio di resistere. Oggi chiaramente la controcultura nel medio oriente è quella dell’islamismo radicale. Possiamo dire che l’islamismo radicale ha dovuto creare il partito Hamas, perché altrimenti non avrebbe avuto seguito nella striscia di Gaza, ma a monte c’è un desiderio di resistenza.
Questo discorso viene fuori anche dal lavoro successivo che hai fatto a Gaza ?
Là si vede molto bene come un quartiere che non aveva niente a che fare con il fondamentalismo, ora, inquanto quartiere martire, è avvicinato da fondamentalisti che cercano di appropriarsi di quello che è successo, e di farne un simbolo della resistenza. Per cui io filmo proprio questo tentativo di appropriarsi di un tragedia in senso politico..
Questo argomento viene anticipato anche da una delle sequenze finali di Piombo fuso..
Quando alcuni cercano di far rientrare altri nell’ortodossia. E’ sempre così perché alla fine non c’è stata una vera guerra, con dei combattimenti : c’è stato un attacco che ha cercato di fare più distruzione possibile per intimorire. Quasi tutti quelli che hanno subito gravi perdite non hanno niente a che vedere con i movimenti di resistenza. Per cui, all’improvviso, si sono trovati di fronte due alternative : lamentarsi o accettare di essere considerati degli eroi, loro malgrado. E la scelta è sempre la seconda, perchè cosi’ si dà un senso postumo alla propria morte. Prendiamo il caso del bambino ucciso : la famiglia può decidere se maledire tutti quelli che ha attorno oppure accettare che il figlio sia considerato un eroe. Allo stesso modo nel momento in cui uccidono a freddo, e per motivi non politici, trenta persone di una singola famiglia, questa famiglia il giorno dopo appare sui manifesti di tutta la città come una famiglia dei martiri. E tutti vanno lì, e allora è anche difficile tenersi fuori da questo meccanismo..
Capisco..Piombo fuso andrà in onda su Rai 3, all’interno di doc 3, si passerà da una versione di 82 minuti ad una di 52. Che cosa cambia ?
Ci saranno più spiegazioni, perché in televisione è più difficile raccontare con i ritmi e le modalità che ho dato al lavoro che hai visto in sala. In tv sarà un film con più cartelli, probabilmente ci sarà anche la voce fuori campo che racconta in maniera un po’ più didascalica la stessa cosa che ora racconto con un linguaggio più cinematografico.
Come opererai i tagli..
Sarò necessariamente costretto a tagliare qualcosa, ma non vorrei fare nulla di diverso da quello che avetevisto qui. Preferisco eliminare del materiale e lasciare intatta la durata delle sequenze, che per me è in un certo senso la loro durata naturale.. Magari ce ne sarà qualcuna che qui non c’è, può darsi…
Non rinuncerai a quella del bambino ucciso né a quella del funerale..due scene una dopo l’altra che sono tra i momenti più intensi del film..
In quelle due scene c’è una importantissima relazione oggettiva di causa ed effetto. Tra il fatto che ilbambino di 12 anni fino ad un certo punto è un bambino di 12 anni e subito dopo è un martire di Hamas. Senza che sia successo niente in mezzo, se non il fatto che sia stato ammazzato.
Tra Piombo fuso e Primavera in Kurdistan ci sono molte analogie tematiche. Sono tra l’altro lavori incui hai messo a repentaglio la tua stessa vita. Quale molla scatta, perché questi progetti e non altri ?
L’urgenza di raccontare queste cose. E la mancanza di un racconto serio che viene fatto delle stesse. Se mi rendessi conto che questi argomenti vengono raccontati bene, allora non mi verrebbe voglia di andarli a raccontare io stesso. Nel caso di Piombo fuso io soffrivo di non essere a Gaza già prima. E’ avvenuto tutto durante le feste di Natale. Capita che sei a casa e vedi certe cose da lontano e non le capisci nemmeno bene. Il desiderio di andare era forte ed è come se il produttore lo avesse colto nell’aria quando mi ha chiamato. Senza il suo intervento non lo avrei mai fatto perché sarebbe stato troppo avventato.
Perché il fatto che si è trattato di un attacco di polizia non giustificato (nel rapporto tra obiettivo e conseguenze) non è esplicitato con forza nel film ?
Il film mostra le conseguenze di un atto politico, poi ci vorrebbe un giurista per dire cosa sia esattamente questo atto politico. Piombo fuso mostra esattamente quello che è stato fatto : un attacco che ha prodotto morte e distruzione. La sua giustificazione nell’ambito dei diritti internazionali, del buon senso, dell’opportunità politica, tutto questo è qualcosa che sta al di fuori di questo film. Sarebbe un altro film, certamente interessante, ma probabilmente dovrebbe farlo un cineasta israeliano, visto che ce ne sono di eccezionali in questo momento..
Che ti sta dicendo del film, chi ha visto il film…
Credo che il film stia piacendo, che stia passando l’aspetto narrativo nonostante il film sia frammentario.Credo che alcuni nessi logici siano colti con facilità, e che le persone non si annoino. Credo che alla fine rimanga una consapevolezza, sia pure minima, di quello che è successo lì, e questo è il motivo principale per cui ho montato queste immagini così come sono..
La rai..
La rai mi ha telefonato quando ero ancora a Gaza.. Hanno visto il sito e devo dire che le persone di doc 3 sono state molto sensibili all’argomento. Cosi’ hanno chiesto di poter avere il film e da subito si sono impegnati…
E questo non vi ha influenzato nello stile..
No, non credo anzi, per noi il film è questo, secondo me la dimensione è imortantissima in questo film. Qui c’èun senso storico che la televisione non permette : si esce dall’attualità e dal suo tritacarne per acquistare il senso di un momento storico..
La tv non preclude la sala…
Credo e spero di no. Anche perché per questo film ci sono apposta due versioni. La sfida e l’idea del film èproprio quella di vedere se il cinema in quanto tale può dire qualcosa su questi argomenti oppure se dobbiamo andare a rimorchio della televisione, comunque e per forza..
Grazie Stefano.
Grazie a te.


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