Cristina Piccino Intervista Shirin Neshat

[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 settembre 2009 col titolo "La zampata
della leonessa" e il sommario "Intervista con Shirin Neshat, artista e
filmaker in gara alla mostra del cinema di Venezia con Donne senza uomini
(Leone d'argento). 'Qualcuno dice che il movimento verde e' stato sconfitto.
Non e' vero perche' la societa' iraniana e' cambiata. Non si puo' pensare di
cancellare la realta' o di tornare indietro'"]


Shahrnush Parsipur e' una scrittrice molto amata in Iran nonostante la sua
opera sia proibita. Dopo anni di sofferenze, prigione, la malattia, un
figlio da cui e' stata separata a forza, ha preferito l'esilio in California
e Shirin Neshat non ha mai avuto un momento di esitazione. Conosceva i
romanzi di Parsipur sin da ragazza, quando viveva ancora in Iran prima di
fuggire, anche lei, negli Stati Uniti; sapeva che il suo primo film da
regista si sarebbe ispirato a lei, a quel romanzo dal quale tutti le
dicevano di stare lontana. E' un libro maledetto, le ripetevano. Donne senza
uomini e' invece diventato il suo film, un esordio bello e forte nel quale
l'artista Neshat incontra la filmaker Neshat distillando la potenza dei
molti anni di ricerca nella grana delle immagini in un cinema costruito su
un'emozione visiva resa sostanza narrativa, poetica, politica ove scorrono i
temi della sua arte di resistenza. Le donne soprattutto, dalla prima,
bellissima immagine con una delle protagoniste, Munis, che vola finalmente
verso la vita "reale", un salto nel vuoto come rivendicazione di liberta'.
Donne senza uomini racconta il viaggio di quattro donne nel loro tempo e
dentro se stesse alla ricerca di una nuova consapevolezza che diventera' la
loro forza per opporsi alla societa' che le annulla. Un cambiamento
"privato" che si innesta al momento di trasformazione vissuto dall'Iran
nell'agosto del 1953, quando viene democraticamente eletto Mossadegh che
nazionalizza il petrolio iraniano sottraendolo al controllo degli inglesi. I
quali insieme agli americani preparano un colpo di stato per riportare al
potere lo scia', il loro servo fedele, pagando milizie interne che
scatenavano scontri e violenze accusando i sostenitori di Mossadegh di
essere spie antinazionaliste.
Sembra l'Iran di Ahmadinejad e che il presente entri nel film e' fatto
voluto. Shirin Neshat sostiene apertamente il movimento verde, nel cuore di
tutti gli iraniani passati alla Mostra quest'anno e di ogni generazione, chi
e' nato nel '57 come Neshat e chi ha vent'anni come Hanna Makhmalbaf
coetanea dei ragazzi in strada questi mesi. "L'Iran in questo momento e' un
luogo in cui viene proibita ogni forma di espressione, sono stati chiusi i
giornali, internet viene spesso oscurato, migliaia di persone sono state
arrestate e torturate in carcere", dice. Piccolina, raffinatissima, gli
occhi truccati di nero, quasi una maschera antica.
*
- Cristina Piccino: Con la sua arte, e ora con questo film, lei ha sempre
messo al centro la liberta' di scelta nella societa' iraniana e in
particolare delle donne.
- Shirin Neshat: Sono loro a soffrire piu' di tutti, in questi ultimi
decenni sono state messe ai margini della vita sociale, a una donna quasi
ogni cosa e' vietata, studiare, avere la possibilita' di esprimersi
nell'arte o nella ricerca, lavorare... Donne senza uomini pero' non si
riferisce unicamente alla condizione femminile in Iran. La domanda che si
pongono le quattro protagoniste va al di la' del tempo e della connotazione
geografica, riguarda quel bisogno di conoscenza di se', l'acquisizione di
una identita' che appartiene un po' a tutti. Nel romanzo di Parsipur mi era
piaciuto lo stile surreale della scrittura, mi sembrava perfetto per una
traduzione cinematografica. Ci sono caratteristiche sociali, politiche,
religiose, filosofiche specifiche dell'Iran e, come dicevo, hanno un respiro
universale. Mi piaceva l'uso dei simbolismi e delle metafore, come il
giardino in cui le quattro donne si rifugiano, la figura del giardiniere, il
solo uomo che non cerca di sopraffarle ma offre loro una seconda
possibilita'...
*
- Cristina Piccino: Il film si ambienta nel 1957, un anno che poteva segnare
un cambiamento radicale per l'Iran. Oggi la stessa attesa si era concentrata
intorno alla sfida elettorale tra Mossavi e Ahmadinejad con una lotta che ha
coinvolto migliaia di persone e una repressione, forse, ancora piu' feroce.
- Shirin Neshat: Qualcuno dice che il movimento verde e' stato sconfitto.
Non e' vero perche' la societa' iraniana e' cambiata e quanto e' successo
negli ultimi mesi ne e' la prova. Non si puo' pensare di cancellare la
realta' o di tornare indietro. Oggi in Iran la maggior parte dei cittadini
vive in realta' urbane, ha nuove esigenze e deve combattere con la poverta'
causata dalla politica di Ahmadinejad. Qualcun altro dice che il movimento
verde riguarda solo le classi sociali benestanti. E' una bugia, in strada a
affrontare la violenza delle milizie di Ahmadinejad c'erano milioni di
persone. Sono tutti ricchi? Se fosse cosi' non ci sarebbe alcuna ragione di
conflitto sociale... Il governo che si e' installato con l'imbroglio dice
invece che il movimento verde e' solo propaganda, che siamo
destabilizzatori. Per questo e' importante continuare a essere presenti, a
gridare le nostre ragioni. La comunicazione aiuta, strumenti come internet o
i telefonini che hanno permesso di documentare agli occhi del mondo la
brutalita' di Ahmadinejad. Anche il verde e' una forma di comunicazione,
permette subito di identificarci. Si deve resistere, in questi ultimi giorni
la situazione e' precipitata, le violenze si sono moltiplicate, hanno
arrestato migliaia di oppositori, li torturano, li violentano, in carcere ci
sono stati molti stupri. Ahmadinejad ha tagliato i canali verso l'esterno,
e' molto difficile avere notizie. Per questo, e lo ripetero' all'infinito,
e' fondamentale dare voce a chi lotta, dire siamo li', siamo con voi, vi
sosteniamo. Abbiamo appena cominciato.
*
- Cristina Piccino: In questo senso l'arte può aiutare molto...
- Shirin Neshat: Credo che sia impossibile in un paese come il mio essere
artisti senza essere impegnati. Un film come Donne senza uomini e'
ambientato nel '53, ma si puo' riferire anche al presente. Nel mio caso e'
cambiato il mezzo, il cinema e' diverso tecnicamente da un'installazione,
pero' le mie necessita' rimangono le stesse.
*
- Cristina Piccino: Cosa cambia in questo confronto?
- Shirin Neshat: In una installazione lo spettatore e' anche il montatore,
passeggia da una stanza all'altra e puo' ricomporre la storia dall'inizio
alla fine. Un film ha bisogno di una narrazione lineare, anche se non
convenzionale. La cosa piu' difficile e' stata trovare un punto di
equilibrio tra la mia estetica visiva e il linguaggio cinematografico che
presenta un altro tipo di difficolta' come lo sviluppo della storia, il
dialogo, e soprattutto la costruzione dei personaggi.
*
- Cristina Piccino: Esiste una memoria collettiva nel paese dei fatti che
racconta il suo film?
- Shirin Neshat: Quando ero ragazzina non si poteva parlare del colpo di
stato contro Mossadegh. Solo molto tempo dopo ho saputo che in molti nella
mia famiglia erano stati dalla sua parte. Pero' lo scia' dopo il colpo di
stato aveva stretto il controllo, utilizzava una polizia segreta feroce e
efficace. La Cia e' stata la diretta responsabile di quello e di molti altri
passaggi nel mio paese. Forse dovremmo rivedere la storia per comprendere
con maggiore profondita' le ragioni del conflitto tra occidente e musulmani.
*
- Cristina Piccino: Nel suo film una donna e' stuprata, un'altra si ribella
alla prigionia che le impone il fratello integralista e si butta dal
balcone. Una terza e' umiliata dal marito militare e un'altra, prostituta,
viene usata dai maschi. Ognuna incarna una sofferenza e un sopruso
esercitato da diversi modelli maschili che dominano la societa'.
- Shirin Neshat: L'Iran non incoraggia le donne a partecipare alla vita
sociale, non lo ha mai fatto in nessuna epoca, e il problema non e' solo
vestirsi o meno all'occidentale. Nel film, le donne possono scegliere tra il
velo e i vestiti occidentali ma questo non cambia la loro condizione che e'
sempre subalterna. Anche per questo il movimento verde e' rivoluzionario,
uomini e donne condividono lo stesso spazio... Le protagoniste del film sono
umiliate dagli uomini, ma hanno il coraggio di prendere la vita in mano e di
fare scelte diverse. Anche se cio' significa morire...

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