Israele perde la Guerra dell’Acqua
di Damiano Mazzotti

Agora Vox Italia
23 gennaio 2009


Mentre i politici israeliani giocano alla guerra-lampo prima dell’arrivo dell’Uomo Nero alla Casa Bianca, il tempo scorre indifferente ai piani dei grandi leader e la vita continua a proporsi una strada piena di minacce e di imprevisti. Così può capitare che mentre le energie del paese sono assorbite dalla guerra, gli esperti alzino la mano per annunciare che è finita l’acqua. L’inverno poco piovoso, se non secco, ha dato una mano, il più avaro di pioggia da ottanta anni, ma il problema per Israele è serio e sistemico ben oltre una pur severa siccità incombente. Il consumo di acqua pro-capite è cresciuto esponenzialmente dalla fondazione del paese e sebbene rappresenti un indicatore di benessere, per un paese con scarse risorse idriche è il sistema più semplice e sicuro per prosciugare ogni riserva in fretta. Secondo gli esperti Israele è più o meno a questo punto.

Ci sono alcuni margini di risparmio possibile, ma il problema rischia di essere già prossimo al momento nel quale la disponibilità di acqua crollerà precipitosamente. La situazione in sintesi è che Israele trae acqua da due bacini acquiferi, uno lungo la fascia la costiera che fornisce un terzo dell’acqua e uno in West Bank che provvede agli altri due terzi. Occasionalmente quello della West Bank è al di fuori dei confini riconosciuti di Israele, ma casualmente nella Palestina occupata, mentre Gaza preleva da quello costiero.

Dei due bacini quello costiero è quello messo peggio, c’è rimasta poca acqua, tanto poca che già il mare ha invaso le cavità che un tempo custodivano l’acqua dolce. Il bacino in West Bank non è ancora a secco, ma non riesce a ricaricare i livelli nemmeno negli anni piovosi, oltre ad essere inquinato dagli scarichi e dai prodotti chimici usati nell’agricoltura. Proprio l’agricoltura è sotto accusa, come in molti paesi avanzati opera in un mercato falsato dalle sovvenzioni, tanto che esistono sovvenzioni anche per la produzione del cotone e altre colture che richiedono molta irrigazione.

La questione è abbastanza semplice e già vista altrove, Israele e i palestinesi si riforniscono dai due bacini e consumano troppa acqua. Ovviamente Israele fa la parte del leone e anche il taglio delle forniture idriche a Gaza ha sicuramente aumentato lo sbilancio nella disponibilità. Da qualunque parte si voglia guardare la questione è chiaro che Israele deve ridurre il consumo idrico, visto che quello dei palestinesi difficilmente potrebbe essere compresso ulteriormente e visto che Israele non ha modo di procurarsi acqua dai paesi vicini come la Siria o la Turchia stante la situazione politica.

Per strappare la terra al deserto occorre acqua, ma occorre acqua anche per le piscine e per consumi relativamente voluttuari poco consoni ad una terra che non ha acqua sufficiente per una tale consumo da parte di un numero tanto alto di persone. Un’evidenza che precede anche le questioni etiche e le opportunità politiche, per le quali sembra comunque ingiusto che i legittimi proprietari delle risorse siano quelli che ne hanno goduto di meno, per non parlare di quanto possa simpatico vivere con la tua acqua razionata mentre il tuo vicino-invasore ci riempie le piscine sotto i tuoi occhi.

Come in molti altri paesi, quando si viene ai temi dell’acqua la classe politica ed economica faticano a comprendere la minaccia dello sfruttamento eccessivo delle risorse, così succede che in Israele per lunghi anni la questione è stata posta e spostata più volte senza esiti apprezzabili . Anche oggi la situazione non è tanto diversa, visto che la proposta più “attiva” è stata quella di costruire enormi dissalatori per coprire il buco tra domanda e offerta, senza nemmeno fare la fatica di spiegare con quale energia e quali soldi farli funzionare. Ma soprattutto senza considerare che una volta che i bacini acquiferi saranno pieni di inquinanti e di acque nere, per trarne acqua utile bisognerà separare l’acqua da tutto quello che è stato buttato dentro queste enormi vasche geologiche negli ultimi decenni.

Per il momento le uniche iniziative concrete sono state nel segno del già visto, da quella di porre limiti al prelievo per l’irrigazione a quella di aumentare le trivellazioni in West Bank, sul Golan e ovunque sia plausibile trovare acqua, compresi i parchi e le riserve naturali che poi moriranno perché resteranno senza acqua, nulla più che perdere tempo perpetuando comportamenti autolesionisti e logicamente sbagliati. Il liberismo sregolato in Israele ha da tempo soppiantato il sobrio collettivismo da Kibbutz del tempo dei pionieri e così sembrano essersi dimenticati dell’importanza e la preziosità dell’acqua, per non parlare della pianificazione nell’interesse pubblico, tanto che se per un accidente del caso Israele riuscisse ad escludere i palestinesi dall’accesso all’acqua, il problema sarebbe esattamente della stessa gravità, perché non basterebbe e perché l’acqua sarà sempre di meno e sempre più costosa da sfruttare se non si ridurranno drasticamente e velocemente i prelievi e gli sversamenti inquinanti.

I politici israeliani come molti altri colleghi di altri paesi non amano investire nelle fogne, i loro omologhi palestinesi non sono certo incentivati a farlo, senza considerare che anche se volessero avrebbero comunque bisogno del consenso dell’occupante distratto e forse sospettoso che diventino depositi di armi pericolosissime. Milioni di abitanti in più nell’arco di qualche decennio, che gravitano sulle stesse fonti e consumano acqua in misura molto maggiore di quanto non facessero gli antenati, hanno finito i giacimenti d’acqua, dopo aver succhiato a lungo molta più acqua di quanta non ritornasse ai bacini sotterranei attraverso le piogge. Senza considerare che ogni anno le precipitazioni calano, sia o non sia a causa del global warming.

Una banalità scontata, una realtà inevitabile, che però è rimasta per anni ignorata anche in Israele per dare fondo allo sfruttamento accelerato, non sostenibile oltre la velocità di rigenerazione della fonte naturale. Fa riflettere vedere governi dopo governi che hanno sempre qualche problema più importante di quelli che realmente minacciano la vita dei loro amministrati, Israele in questo senso non è un’eccezione, basta pensare alla sorte dei provvedimenti contro l’inquinamento ambientale o proprio alla privatizzazione delle acque in tanti paesi per concludere che segare il ramo sul quale si sta seduti è un comportamento tipicamente umano.

Se il controllo delle falde è stato uno dei pilastri della politica d’Israele, viene da chiedersi perché i governi che si sono succeduti non ne abbiano curato la salute, ma viene anche da considerare l’amara ironia di vecchi generali che combattono per decenni per ritrovarsi alla fine con un pugno di sabbia, perché l’acqua se la sono già bevuta tutta, senza che nessuno facesse niente per impedirlo.

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