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lunedì 8 novembre 2010

Myanmar: militari manterranno potere, accuse di brogli su voto

YANGON (Reuters) - I militari continueranno a comandare in Myanmar dopo le prime elezioni tenute in 20 anni, grazie alla probabile affermazione di partiti a loro legati in un voto contrassegnato dalle frodi e condannato da Usa e Gran Bretagna.

Le regole complesse che presiedevano alle elezioni di ieri hanno impedito qualsiasi possibilità di cambiamento democratico nell'ex Birmania, governata da mezzo secolo da una giunta militare. La tv di stato dice che gli elettori sono andati a votare "liberamente e con felicità", ma secondo alcuni testimoni l'affluenza alle urne sarebbe stata bassa e il voto segnato da irregolarità.

Nel frattempo, sono scoppiati scontri armati tra ribelli della minoranza Karen e militari a Myawaddy, al confine con la Thailandia, hanno riferito testimoni Reuters sul territorio thailandese.

Sul lato thailandese del confine sono caduti numerosi razzi o colpi di mortaio. Almeno 10 persone sono rimaste ferite, dicono testimoni.

Molti gruppi etnici temono che il voto rafforzi la costituzione del Myanmar e distruggere ogni possibilità di avere la pur minima autonomia, e crescono i timori sulla diffusione della lotta armata.

I primi risultati delle elezioni sono trapelati attraverso i media di stato, indicando che i militari e i partiti loro alleati sono in testa, ma ci potrebbe volere almeno una giornata per capire chi avrà la maggioranza in Parlamento, in un paese in cui le informazioni sono scarse e date con ritardo.

Sia il presidente Usa Barack Obama che il segretario di Stato britannico William Hague hanno detto che le elezioni non sono state libere né eque.

Per il momento, nessuno prevede che l'Occidente ponga fino alle sanzioni contro Myanmar. Ma le elezioni potrebbero ridurre l'isolamento del paese asiatico, mentre la Cina sta aumentando fortemente i suoi investimenti in gas naturale e altre risorse nell'ex colonia britannica.

Mentre il risultato del voto era ampiamente atteso, l'attenzione internazionale si concentra ora sulla premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, che ha trascorso 15 degli ultimi 21 anni in detenzione, e che dovrebbe essere liberata dopo il termine degli arresti domiciliari, sabato prossimo.

Usa, Gran Bretagna, Unione europea e Giappone hanno lanciato vari appelli alla liberazione della leader democratica 65enne, la cui Lega Nazionale per la Democrazia aveva vinto le elezioni nel 1990, poi annullate dai militari.

Suu Kyi aveva invitato i sostenitori a boicottare il voto di ieri, mentre circa 2.100 attivisti e politici dell'opposizione sono agli arresti. Il suo figlio minore Kim Aris, è partito dalla Gran Bretagna alla volta di Bangkok, suscitando ipotesi sull'imminente rilascio della donna. ma oggi l'ambasciata birmana gli ha negato la richiesta di un visto d'ingresso.

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