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11/03/2010

Birmania, lo schiaffo del regime
di Alessandro Ursic

Altro che dialogo in vista delle elezioni; i generali fissano regole che escludono Aung San Suu Kyi da qualsiasi ruolo politico. Imbarazzo per Washington

Aung San Suu Kyi agli arresti domiciliari per tutta la durata della campagna elettorale. Il suo partito costretto a espellerla dai ranghi, se intende partecipare. Migliaia di prigionieri politici a cui è stato vietato di candidarsi. Milizie etniche che continuano a respingere le offerte della giunta, preparandosi alla guerra. Norme costituzionali che comunque garantiscono il controllo del regime, anche se il voto dovesse essere regolare. E a vigilare su tutto questo, una commissione elettorale di fedelissimi del regime, le cui decisioni non potranno essere contestate. Per chi guardava alle elezioni di quest'anno come a un possibile progresso in Birmania, le delusioni stanno arrivando una dopo l'altra.

Mentre una data per il voto non è stata ancora fissata, questa settimana la giunta ha iniziato a diffondere i dettagli delle varie leggi che regoleranno il processo elettorale. E in pochi giorni ha messo in chiaro la sua idea di elezioni "libere e regolari". Prima ha stabilito la composizione della commissione elettorale: almeno cinque personalità "eminenti e fedeli allo Stato", che decideranno senza possibilita' di appello, con potere di delimitare le circoscrizioni e annullare il voto in quelle dove qualcosa non dovesse andare secondo i piani dei generali; per esempio, come è plausibile, se nelle regioni controllate dalle milizie etniche i numeri dovessero rivelarsi imbarazzanti.

Poi è arrivata l'ulteriore stretta contro Aung San Suu Kyi, in detenzione per 14 degli ultimi 20 anni e agli arresti domiciliari - recentemente confermati in appello - fino al prossimo novembre, per aver dato breve rifugio l'anno scorso a un eccentrico americano che nuotò fino a casa sua. Le nuove norme vietano la candidatura ai "criminali" che stanno ancora scontando una condanna, proprio il caso di Suu Kyi. Tali persone non potranno neanche essere iscritte a un partito, pena la cancellazione di quest'ultimo dalle liste elettorali. Senza dirlo esplicitamente, il messaggio del regime alla Lega nazionale per la democrazia (Nld) è inequivocabile: se non espelle la sua leader, non potrà partecipare al voto.

Per il maggiore partito di opposizione, quello che nelle elezioni del 1990 trionfò conquistando l'80 percento dei seggi, è una condizione praticamente impossibile da accettare. Già prima l'Nld era tentato di boicottare il voto, in segno di protesta. La sensazione di essere presi in giro dal regime - che ammicca al dialogo con concessioni minime, per poi tirare dritto - era già forte; figuriamoci ora. Membri del movimento hanno confidato in forma anonima a PeaceReporter che l'orientamento pende sempre più per il "no" a queste elezioni. Il tempo per decidere però stringe: la giunta ha concesso 60 giorni ai partiti per iscriversi alle liste. E si sta facendo strada l'ipotesi che il voto venga organizzato subito dopo, forse già a giugno, in barba a qualsiasi buon senso nel concedere un margine sufficiente per fare campagna elettorale.

Per gli Usa è uno smacco. Da un anno strizzavano l'occhio ai generali, facendo capire di essere pronti a rimuovere le sanzioni se i generali fossero stati clementi nei confronti di Suu Kyi. Il movimento democratico birmano in esilio era più che diffidente. Con i militari non si ragiona, ammonivano: useranno le aperture di Washington finchè fa loro comodo, per poi fare di testa propria. E nel frattempo, senza aspettare gli ipotetici investimenti americani, il regime ha già iniziato una massiccia privatizzazione delle risorse e delle infrastrutture finora controllate dallo Stato.

L'altra incognita riguarda i gruppi etnici che hanno firmato un cessate il fuoco con il regime, in particolare quelli del confine nord-orientale. La giunta vuole obbligare le milizie etniche a diventare guardie di confine sotto il controllo delle forze armate nazionali, ma in poche hanno accettato. Le più organizzate, come quelle Wa e Kachin, si stanno invece preparando all'offensiva dell'esercito; l'attacco dello scorso agosto contro le milizie Kokang, sempre nel nord-est, ha già fatto capire che la pazienza dei generali ha un limite. Secondo Irrawaddy, il sito di riferimento della diaspora, nello Shan State sono chiari i segnali di una accresciuta presenza militare.

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