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05/12/2010

Cancun: è arrivata la bufera
di Monica De Sisto

Responsabile Fair economie solidali e commercio internazionale
approfondimenti su http://www.faircoop.net/campagne/

Visti nero su bianco, i testi di avanzamento del nuovo accordo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), arrivati tra pomeriggio e notte dopo una settimana di lavori della COP16 a Cancun, sono la fotografia sbiadita dell’incapacità politica di arrivare ad un consenso di alto livello nemmeno su un tema tanto cruciale come i cambiamenti climatici. Partiamo proprio dal consenso: non ci sono stati testi segreti, rapporti privilegiati, camere separate per anticipare nessun contenuto negoziale rispetto ad altri, ne’ ce ne saranno all’arrivo dei ministri e dei leaders a Cancun. Lo ha ripetuto più e più volte Patricia Espinosa, ministra degli esteri messicana e presidente di turno del vertice. La “terrifica cumbre” di Copenhagen – per usare la colorita definizione della capo negoziatrice venezuelana Claudia Salerno – con le sue camere separate, i percorsi paralleli, le doppie convocazioni rimarrà un unicum, assicura la presidente. 
Peccato però che, quando arriva il testo del gruppo di lavoro sulle azioni di lungo termine (LCA) sul tavolo dei negoziatori direttamente nella lussuosa aula della plenaria nel colonial-barocco hotel Moon Palace, ad alcuni come la Salerno viene da mal pensare. Si perché la decisione con cui alcuni gruppi, tipo quello dell’ “ombrello” che raccoglie molti Paesi industrializzati come Australia, Usa, Canada, Russia e Giappone cominciano a commentarlo, fa mal pensare alla stessa Salerno, agli altri Paesi dell’Alternativa bolivariana (ALBA), ma anche alla Nigeria, alle piccole isole (AOSIS) e ai Paesi meno sviluppati (LDC). E’ più facile credere, più che ad una capacità fotonica di leggere e chiosare, che qualcuno quel documento l’abbia visto in anteprima. Un testo, reclamano più o meno all’unisono i gruppi di Paesi “contro” in quasi quattro ore di interventi serrati, in cui sono state fatte delle scelte che hanno forzato il consenso, tagliando di netto molte opzioni rimaste aperte, in realtà, e schiacciandolo sulle posizioni del più forte sotto la responsabilità dei chair.
“Se sono le parti che negoziano, e non i facilitatori, e non i chair, visto che il nostro punto di vista in questo testo non c’è, anche se scomodo e controcorrente, questo non è un documento delle Parti e non ha valore legale”, ha rincarato il capo negoziatore della Bolivia Pablo Solon strappando un non convenzionale applauso alla platea di delegati. E che alcuni, costosi, impegnativi, elementi per contrastare il riscaldamento globale da questo testo siano stati tranciati via senza tanti complimenti, è abbastanza evidente anche ai profani. Nel capitolo foreste, ad esempio, le Parti riconoscono, ma non decidono, che devono essere tenuti da conto i diritti delle comunità indigene, e tutta la parte delle regole di salvaguardia che dovrebbero assicurare un percorso partecipato per il riconoscimento del ruolo che le comunità hanno avuto storicamente nella conservazione della biodiversità resta tra parentesi, nonostante lo stesso presidente messicano Felipe Calderon si fosse speso personalmente perché si raggiungesse un risultato importante. C’è il riferimento ad un tetto da mettere all’aumento massimo possibile della temperatura globale rispetto all’era industrializzata fissato, però, ai 2 gradi centigradi e non agli 1,5 chiesti dai Paesi vulnerabili.
Sulla finanza, uno dei temi tra i più sensibili in discussione al vertice, si va ancora peggio: si lascia aperta la porta per la gestione dei fondi alla Banca mondiale, anche rispetto alla parte delle garanzie, e si accetta a a scatola chiusa l’entità dei finanziamenti per il contrasto dei cambiamenti climatici imposta dai Paesi industrializzati a Copenhagen, cioè 100 miliardi di dollari l’anno dal 2020. Rimane aperta nel testo anche la possibilità di scegliere l’altra opzione, destinando sempre dal 2020 l’1,5% del Pil dei Paesi industrializzati, mentre la Bolivia chiedeva il 6% e di questa richiesta non troviamo traccia. Con buona pace del tormentone Wto, il testo riconosce rispettosamente il fatto che tutte le azioni che vengono messe in campo non devono risultare distorsive del mercato, sia in forma diretta sia indiretta. Infine, e ciò è ancor più grave, si apre nel testo la possibilità di svincolare queste azioni di lungo termine, che sono in realtà rivolte sia a chi ha sottoscritto, sia a chi non ha sottoscritto il Protocollo di Kyoto, dal protocollo stesso, ammettendone, così, pur senza dirlo, la possibile morte alla scadenza della sua validità fissata per il 2012.
Le diffidenze con cui viene accolto il testo LCA porta a uno slittamento al mattino dell’arrivo del testo sul Protocollo di Kyoto (KP). E’ un testo molto complesso, e va valutato con attenzione. I punti di caduta certa sono, però, evidenti: le tante parentesi ancora presenti che imprigionano le percentuali dei tagli alle emissioni, visto che la scienza ci dà l’indicazione di tagliare il massimo e il più presto possibile. Poi la fissazione ancora aperta dell’anno da cui cominciare a misurare l’aumento delle temperature globali: si deve ancora scegliere tra 1990, 2000 e 2005. Lo capisce anche un bambino: se cominciamo a contare dall’altroieri, la maggior parte delle emissioni storiche rimane nell’atmosfera. Ora tocca ai ministri in arrivo a Cancun determinare gli scenari politici che devono accogliere o riformulare queste proposte insieme ai propri diplomatici. E tocca a noi tenerli sotto pressione, perché lo scenario cambi, e drasticamente.

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