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29/11/2010

Al via il Cop 16. Il clima di scena a Cancun
di Antonio Marafioti

Tadzio Mueller, politologo tedesco e attivista del Movement for Climate Justice, intervistato da PeaceReporter sulle principali sfide della conferenza sul clima di Cancun

Dopo il terremoto mediatico scatenato dalle fughe di notizie di Wikileaks, la sedicesima Conferenza delle parti (Cop 16) sulla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), non si inaugura nel migliore dei modi. Al summitt, che si apre in queste ore a Cancun, Messico, 194 Paesi cercheranno di evitare un fallimento simile a quello che l'anno scorso suggellò il Cop di Copenaghen. Allora, gli Stati si rifiutarono di compromettersi per trovare un accordo vincolante da sostituire a quello di Kyoto, che scadrà nel 2012. Cosa bisognerà aspettarsi dalla riunione nella penisola dello Yukatan? PeaceReporter lo ha chiesto a Tadzio Mueller, politologo tedesco, membro del Movement for Climate Justice e autore di numerosi testi sul "capitalismo verde" e "New Deal verde".

Le attese per il Cop 16 non sembrano essere ottimistiche. Crede che sia arriverà ad un accordo vincolante che sostituirà quello di Kyoto? No. Tutti quelli che pensano questo non hanno prestato attenzione a ciò che è avvenuto negli ultimi 15 anni, e sicuramente non hanno afferrato il fallimento di Copenaghen dello scorso anno. È un'ipotesi assolutamente irreale che si possa giungere ad un accordo vincolante a Cancun.

Quale dovrebbe essere il piano concreto delle nazioni? È molto difficile da dire. Se è vero che in summit come questo è molto difficile arrivare ad un accordo, allora, per essere assolutamente onesti, credo che Cancun non sia il luogo dove vedremo azioni reali per il cambiamento climatico. Faccio un esempio: io vivo in Germania, e sono dunque cittadino europeo, e tanto le politiche del mio governo come quelle dell'Unione Europea, sono state indirizzate a costruire, negli ultimi anni, trenta centrali a carbone. Dieci di queste sono state bloccate sul nascere, dieci si stanno costruendo e dieci sono in fase di progettazione. Non penso che, in queste condizioni, un accordo globale permetterà di ridurre le emissioni. L'errore è quello di aspettare per un patto mondiale e ignorare il fatto che le decisioni più significative sul cambiamento climatico devono essere prese a livello nazionale e regionale.

A poche ore dall'inizio del vertice molti pensano che Cina e Stati Uniti saranno i protagonisti. È una interpretazione corretta? Solo se si pensa agli Stati Uniti e alla Cina in termini di potenze globali. In questo caso sono certamente due attori chiave nello scacchiere di Cancun, ma credo che giudicare la riuscita del Cop 16 sulla base dei comportamenti di Washington e Pechino farà perdere di vista i reali problemi: la bugia che il sistema economico globale ha bisogno di crescere all'infinito per sopravvivere. Bisogna iniziare a pensare in modo completamente opposto e convincerci del fatto che possiamo creare un'economia stabile senza dover forzare costantemente la crescita. E questo non ha nulla a che vedere col comportamento, corretto o meno, degli Stati Uniti o della Cina al summit. Ci sono domande concrete che sono articolate dal Movement for Climate Justice e che prescindono dall'eventualità che Stati Uniti, Cina o Unione Europea siano necessariamente d'accordo su determinati argomenti o sul fatto che il Nord debba ripagare la morte climatica del Sud. Ciò che voglio dire, in definitiva, è che è illusorio pensare che sia solo una questione di comportamenti delle grandi potenze se le cose andranno meglio, la questione basilare riposa sulla linea del sistema economico.

Tra le tante incertezze, l'unico dato che sembra certo è quello sulla necessità di non aumentare il riscaldamento globale di più di 2 gradi rispetto alla media dell'epoca preindustriale.

Non è molto bello avere un piano se non hai dei gradini che possano condurti alla meta. Non è un piano. L'accordo di Copenaghen sostiene: "sì, vogliamo limitare il global warming di due gradi", ma non spiega quale sarà il passo concreto per riuscirci. Per questo penso che più che di piano si debba realisticamente parlare di una speranza. Attualmente abbiamo bisogno di iniziare a fare cose per ottenere cambiamenti reali come, per esempio, uscire dai sistemi di agricoltura industrializzati e riavvicinarci a quello di potenziamento dei cibi biologici. Finora abbiamo solo dichiarazioni politiche sulla necessità di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 2 gradi centigradi, che è una promessa del tutto vuota se allo stesso tempo si continuano a costruire nuove centrali a carbone, facendo leva sulla necessità della crescita economica e, dall'altra parte, chiedendo rinunce ai contribuenti per la crisi economica. Questo non è un piano, è solo una dichiarazione politica priva di effetto. Se si vuole un piano concreto, bisogna conquistarselo.

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